HABANERA, LA DANZA DELL’AMORE TRA LIRICA E TANGO

Tra le opere che maggiormente hanno un richiamo artistico internazionale, al punto tale che tutti, ma dico tutti, sanno riconoscere l’aria cantata alle prime note, vi è Carmen.

Carmen, di Georges Bizet, è un’opera tragica in quattro atti, liberamente tratto dal romanzo Carmen di Prosper Mérimée, andò in scena per la prima volta all’ Opéra -Comique di Parigi, il 3 Marzo 1875.

Siamo talmente catturati dalla sua musicalità e dalla trama rocambolesca, che tutta la nostra curiosità di contemporanei la spendiamo per documentarci sull’opera e conosciamo ben poco del compositore stesso.

La profondità e la complessità psicologica dei personaggi, – Carmen la zingara voce da mezzosoprano, don José il sergente voce da tenore, amante di Carmen, Escamillo torero voce da baritono, corteggiatore di Carmen e rivale di don José, Micaela innamorata di don José voce da soprano e sua amica fedele – hanno fatto di quest’opera un vero capolavoro tanto innovativo nell’ intreccio della storia da apparire scandaloso. Non vi sono figure di riferimento positive o negative, hanno tutti uno spessore umano reale, luce e ombra, come nella vita.

Carmen che canta l’aria di Habanera, il cui testo è scritto direttamente da Bizet, suscita in tutti noi, ancora oggi, la spontanea seduzione della fantasia, della sensualità mascherata dall’ illusione d’amore. Attraverso la rappresentazione scenica, siamo spinti emotivamente a riflessioni personali sul nostro stato attuale di vita sentimentale – immaginate l’effetto che deve aver fatto su un pubblico di fine ‘800 -. Gli spettatori alla “prima” rimasero ammutoliti al punto da ritenere l’opera sovversiva all’ordine sociale.

Bizet, così come la sua Carmen, non si aspettava un finale tragico ed imprevedibile che il destino aveva in serbo per lui, beffandolo della soddisfazione di essere riconosciuto un grande tra i grandi in vita.  Morì all’età di 37 anni, il 3 Giugno 1875, tre mesi dalla rappresentazione della prima, presumibilmente per motivi di salute, era cagionevole e soffriva di “angina pectoris”, dolore al petto causati forse da un’ischemia.

 Un arresto cardiaco improvviso, sicuramente causato da più motivi, non ultimo l’insuccesso di una vita artistica dalle alte aspettative, prognosticatogli ancora da piccolo per il suo talento geniale verso la musica e il pianoforte.

Bizet nacque in una famiglia di musicisti, la madre lo seguì nello studio del piano ed all’età di dieci anni venne ammesso al conservatorio.

Uno studio rigoroso lo portò presto a vincere delle borse di studio, fino a conseguire il premio più ambito il Prix de Rome all’età di vent’anni, garantendogli un soggiorno di cinque anni in Italia, con il compito di inviare una composizione musicale all’Accademia francese una volta all’anno .

 Il periodo in Italia fu il più felice e sereno della sua breve vita.

E’ presumibile pensare che nei suoi viaggi tra Roma, Napoli e Firenze si portò via dei ricordi, delle musiche sentite per strada, frammenti di quadri di vita che ha sintetizzato magistralmente nella Carmen, trasmettendo quella vitalità complessa fatta di contraddizioni che la vita stessa è.

Un magnifico baccano da circo” venne definito dagli orchestrali che trovarono difficoltoso seguire questa nuova partitura.

 La trama della Carmen è complessa – un dramma – che finisce con il femmicidio, – di una donna la cui unica colpa era stata quella di scegliere il proprio destino e di rimanere libera a qualsiasi costo. Questo non era sicuramente il soggetto giusto per una teatro tradizionale ed famigliare, come quello della Opéra -Comique di Parigi, tanto è che venne classificata sotto il  genere opera-comique.

La prima venne accolta freddamente e questo certamente non sostenne il povero Bizet, il quale già usciva provato da un periodo depressivo, a conseguenza della salute cagionevole, dell’affettività familiare difficile con la moglie e il mancato riconoscimento dei suoi lavori da compositore che lo costringevano a lavori alternativi come quello di dare lezione d’insegnamento musicale.

Posso solo immaginare le insicurezze profonde e l’ amarezza che tutto possa avergli causato. La musica, comporre, diveniva così  il suo rifugio privato, ed ecco che Carmen è la sua voce al femminile che esprime la disillusione di una passionalità fatta di carne e sangue che non trova riconoscimento continuativo, perché l’amore è un sentimento ribelle.

L’amore è un uccello ribelle

che nessuno può imprigionare

Ed è proprio invano che chiamiamolo

Se per lui è comodo di rifiutare

Niente lo muove, né minacce né preghiere

Uno parla bene, l’altro rimane zitto

Ed io preferisco quest’altro

Non mi dice niente ma mi piace

L’amore! L’amore! L’amore! L’amor

 L’euforica vitalità musicale che non lascia spazi vuoti e tiene il ritmo serrato si contrappone al dramma della povertà e alla crudezza delle scene di “vita reale”, in un forte contrasto che crea scandalo come solo un’altra opera era stata capace di fare la Traviata.

Carmen, seduce con la sua femminile presenza scenica, è padrona di sé stessa e non si lascia manipolare dalle debolezze dei caratteri maschili, non accettando alcun tipo di compromesso sfida la fatalità drammatica del suo destino, svelatole dalla lettura dei tarocchi. Lei è la padrona del suo corpo, del suo desiderio e della sua vita, ma nello stesso tempo è anche la personificazione di quell’amore bellicoso, tortuoso, che ti spinge nei baratri bui della tua personalità, forzandoti ad osservare cosa c’è oltre il confine dell’amore inteso come la ricerca della propria metà che completa la tua anima.

Nietzsche ha da poco trent’anni quando l’ascolta per la prima volta, ne rimane catturato.   Esultò di ammirazione definendola l’opera perfetta il cui messaggio è quello di interrogarsi sull’amore conflittuale tra i sessi, ed arriva ad affermare che Carmen:

E’ un esercizio di seduzione, irresistibile, satanico, ironico provocante. È così che gli antichi immaginavano Eros. Io non conosco nulla che si avvicini da cantare in Italiano, no in tedesco”.

Con sfacciata presunzione mi permetto di evidenziare come Nietzsche non ebbe l’opportunità di ascoltare certi tanghi o milonghe dove l’esercizio di seduzione è ”irresistibile, satanico, ironico e provocante” , aggettivi perfetti con il quale descrivere il magico connubio tra musica e poesia tanguera, una ricerca filosofica del sentimento umano tanto intenso quanto quello espresso nella lirica.

George Bizet prese ispirazione per la composizione della Habanera, da Sebastian de Iaradin con il brano “El Arreglito“, ne cambia l’armonia e diventa un capolavoro assoluto frutto d’ispirazione per altri brani musicali.

La sonorità di “Oh Sole mio“, di cui vi propongo l’ascolto musicale di Tito Schipa, riconosciuto come il primo tenore del Tango, ne è un esempio, ma non l’unico, anche per la cultura tanguera un filo rosso lega Habanera di Bizet alla milonga “Se dice di me”.

 Doveroso è l’omaggio all’ interpretazione cantata da Tita Merello.

Non sono solo, il testo e la musica frizzante della milonga a creare questo collegamento con Habanera, bensì la struttura psicologica del personaggio femminile interpretato da Tita Merello nel tango simboleggia  la stessa  della Carmen.

La milonga ha origini legate alla musicalità africana che sono ampiamente esplicitate in un bellissimo saggio scritto dalla professoressa Lisa Avanzi, la quale  ha reso usufruibile il testo tramite il portale  “socialtango” in Facebook.

In questo saggio, la Calenda, viene descritta come una danza d’amore afro – americana, di cui si ha ha la prima testimonianza dai documenti scritti nel 1805 da parte di un ufficiale inglese Marcus Rainsford, che la vide durante un suo viaggio ad Haiti. Il percorso dettagliato dell’evoluzione di questa danza descritto da Lisa Avanzi, evidenzia come sia arrivata a Cuba in un processo di contaminazione nato dagli scambi commerciali del tabacco e dello zucchero. La musica e la danza, così come il cibo e la lingua parlata, sono elementi di evoluzione ed integrazione sociale.

La migrazione di conoscenze crea contaminazione e dà vita ad ispirazioni di danze nuove che, tra Santo Domingo, Cuba, Argentina ed  Uruguay, viene definita “controdanza”.

Gli schiavi africani nell’adattarsi al contesto sociale di convivenza con i bianchi e i loro usi, modificano la loro espressione comunicativa nel ballo.

Alcune movenze diventano sessualmente meno esplicite e  viene introdotto il ballo di coppia con una forma più leggibile alla cultura europea; ottenendo in questo modo, il permesso di esibirsi alle feste popolari.

Dal 1840  Walzer, Polca e Mazurka sono ballati ovunque.

Questa volta sono i “negri” che si appropriano delle movenze adattandole ai loro ritmi e dando vita al filone della musica e della danza latino americana: rumba, samba, maxixe e tango.

La danza Habanera, secondo lo studio musicologo cubano Emilio Grenet è un’evoluzione della “controdanza”, divenuta espressione della coppia che balla unita.

Non si sa con precisione quando arrivi l’Habanera nell’area di Rio de la Plata, gli storici collocano il periodo introno al 1860.

Probabilmente si diffuse attraverso due percorsi diversi, uno con i marinai nelle classi popolari, adottando la versione più spinta, e un altro attraverso le classi agiate nei teatri, adottandone una forma più elegante e sobria per le sale da ballo.

Il ritmo del tango africano dell’ Habanera portava con sé il desiderio di libertà dalle costrizioni sociali e morali dell’epoca vittoriana.

Se Habanera ha accesso la scintilla d’ispirazione a Bizet nel 1875, niente esclude che attraverso il teatro Colon e la rappresentazione della Carmen, la sua forza passionale non abbia ispirato le più belle milonghe dei nostri tempi.

La musica è quella forma di comunicazione trasversale che ci aiuta comprendere chi siamo e dove vogliamo andare.

Buon Ballo a tutti.

Rosapina Briosa ©️

HABANERA, Georges Bizet – Carmen, Conchita Supervìa
HABANERA Georges Bizet – Carmen. Elena Obraztsova
HABANERA Georges Bizet – Carmen. Maria Callas
OH SOLE MIO – Tito Schipa
EL ARREGLITO Sebastiàn Yradier
SE DICE DE MI – Tita Merello

TEATRO COLÓN l’anima dell’Argentina: LIRICA e TANGO

Teatro Colón

Vi è un luogo, dove lirica e tango si incontrano, si comprendono e si rispettano.

Le prime pietre ne forgiano il carattere e la bellezza, simulacro di quella architettura rinascimentale italiana, fatta di linee eleganti ed equilibrate, che ci hanno resi famosi nel mondo dal Bernini al Palladio.

Parlo del Teatro Colón di Buenos Aires, la cui realizzazione fu iniziata nel 1889 per opera di due architetti Italiani, Francesco Tamburini e Vittorio Meano, che ne vedono la nascita, ma non la realizzazione finale, completata nel 1908.

Il teatro Colón trasuda passione ancor prima della sua progettazione, quasi che il destino dell’uomo che ne disegnò la prospettiva architettonica, Vittorio Meano, con la sua vita rocambolesca e passionale, fosse predestinato a lasciare il suo nome legato a quelle pietre.

 Un avvincente romanzo storico “C’era un italiano in Argentina”, scritto da Claudio Martino e Paolo Pedrini, delinea non solo un’epoca storica e catapultandoci nella Argentina di fine ‘800, ma fa luce ad una vera storia di intrighi, potere, soldi e tradimenti dietro alla costruzione del Teatro Colón pari all’omicidio di  Michele Sindona per il crack del Banco Ambrosiano dei giorni nostri.

Francesco Tamburini, noto ed apprezzato architetto in Argentina, durante una visita a Torino ha modo di apprezzare i disegni innovativi di Vittorio Meano e lo invita a partire con lui per l’Argentina.

Meano accetta di buon grado, perché questa nuova vita gli permette di coronare il suo sogno d’amore, parte con la compagna Luigia che, pur di seguirlo, abbandona marito e figlio. Possiamo solo immaginare il dolore straziante dell’abbandono del figlio che quella donna provò allora in una società che non solo la condannava moralmente per aver scelto la propria felicità, ma le precludeva addirittura il diritto di madre; i figli erano tutelati per legge come proprietà del padre.

La bellissima Luigia parte con Meano, non sapendo a quale tipo di vita sarà destinata, probabilmente non immaginava che presto Meano avrebbe raggiunto grazie al suo talento, il successo sociale e uno stato di ricchezza ragguardevole.

 La morte prematura di Francesco Tamburini nel 1891, causato probabilmente dal forte stress dovuto al tracollo finanziario per la crisi inflazionistica che colpi l’Argentina, lascia Vittorio Meano a capo dello studio di architettura più importante di Buenos Aires.

L’ architetto Meano, modifica ed apporta migliorie sostanziali al progetto iniziale di Tamburini, si avvale della collaborazione per i lavori della impresa di costruzioni Ferrari che dopo pochi anni fallisce. Responsabile dei lavori maneggia i fondi destinati alla costruzione e li distribuisce, il sospetto di illeciti si fa strada, la stampa e l’opinione pubblica chiedono chiarezza.

Ne nasce un processo che lo vede unico imputato e responsabile di corruzione complessiva.

Oggi lo definiremmo un sistema di tangenti.

Meano non ci sta, lo fa capire probabilmente ai suoi amici di merenda, poco dopo, lo scandalo, assassinato per mano dell’amante della bella Luigina.

Una storia di passione dove il coltello è l’arma con la quale si regolano i conti tra uomini, avrà infiammato l’opinione pubblica distogliendo l’attenzione sui possibili politici corrotti, un dramma verdiano, amore tradimento e sangue, un richiamo alle storie cantate dal tango, questo è il sangue che scorre nelle vene del Teatro Colón.

Le linee intrecciate delle vite parallele di questi invisibili protagonisti, sarebbero andate perdute nell’oblio della storia, se non fosse per il certosino lavoro di ricostruzione storica di Pedrini e Martino.

Alla morte di Vittorio Meano nel 1904, subentra l’architetto Julio Dormal che porta a termine i lavori rispettando i disegni di Meano, sia per il teatro Colón che per l’imponente Palazzo del congresso che accoglie il Parlamento Argentino.

Nel 1908 i lavori sono conclusi, seppur non definitivamente; proseguiranno negli anni successivi, arricchendo il teatro di decorazioni pittoriche. Ciò nonostante il teatro con i suoi 2487 posti, è pronto ad accogliere i più grandi artisti nella sua meravigliosa sala con 7 ordini ed un’acustica tra le migliori del mondo, frutto di calcoli precisi, del materiale utilizzato e di un gioco di spazi, rifrazioni. Nessuno aveva previsto un risultato simile.

Un sogno si realizza, il teatro assume per l’intera Argentina il valore della rinascita, rappresenta il suo riscatto sociale e nell’immaginario collettivo è la fenice che risorge dalla povertà.

Questa ora si presenta all’ Europa ed al resto del mondo con il volto di una nazione colta e ricca.

La prima assoluta è il 25 Maggio 1908. L’Aida di Giuseppe Verdi, diretta da Luigi Mancinelli, la quale sarà anche l’opera più rappresentata negli anni a seguire.

Il programma lirico di apertura è degno dei più prestigiosi teatri internazionali, grazie alla collaborazione artistica manageriale dello Stin (Società teatrale internazionale) fondata nel 1908, per contrastare la crisi profonda che l’opera stava attraversando in quegli anni, dei più bei nomi della cultura artistica presente in Italia: Ettore Mascagni, gli editori Sozogno l’agente Walter Mocchi e Emma Carelli.   Si creò una rete di collaborazione con i teatri di maggior prestigio estero. Lo scambio delle compagnie tra l’Italia ed il Sud America, diventa un business internazionale, gettando le basi di una collaborazione proficua  tra Il Costanzi , la Scala , Il Colón, l’Operà Comique e l’ Operà di Parigi.

Questo è lo scenario con il quale il teatro Colón diventa il tempio della lirica.

Il Colón è argentino, è espressione di un forte sentimento nazionale e le sue porte si aprono da subito anche al tango.

Nel 1910 si ballava all’interno del Colón per Carneval e  la banda comunale diretta da Alfonso Paolantonio nel suo programma inserì anche dei tanghi. Questi eventi ricorrenti crearono le basi per il “Grande Festival artistico”, che dal 1928 in poi sdoganò il tango definitivamente venendo riconosciuto ed apprezzato nella sua forma artistica e poetica.

Nel 1931 una gara di canto dette il titolo di “regina del tango” a Libertad  Lamarque, voce splendida, la sua interpretazione di “El dia que me quieras” rivaleggia e tiene testa con le più belle voci di oggi e di sempre, come Mercedes Sosa e Susana Rinaldi.   Attendo con curiosità l’ascolto di voci nuove che sappiano con profondo equilibrio trasmettere la poeticità di questo testo, una voce come quella di Lucia Conte, potrebbe stupirci.

Da lì in poi, fu un susseguirsi sul palco del Colón le più belle orchestre di tango, Francisco Cannaro, Miguel Calo, Juan D’ Arienzo, Carlos di Sarli, Julio de Caro,  Mariano Mores e tanti altri.

Nel 1964 venne presentato lo spettacolo “Tango” con Anibal Troilo, come figura centrale, lasciò il pubblico letteralmente senza fiato; ma l’ovazione più forte che il tango ancora oggi ricorda nel tempio della lirica è per Pugliese quando nella esibizione del 1985, all’età di 80 anni incantò con la grazia del suo magnetismo ed una platea intera si alzò in piedi all’urlo “ Al Colón”.

Per concludere, il 10 Marzo 2021 il Teatro Colón ha riaperto le sue porte per omaggiare il rivoluzionario del tango “Piazzolla”.

Che augurio mi faccio? Quello di poter assistere allo sdoganamento del Tango anche in Italia, la possibilità di apprezzare la sua voce grazie all’acustica perfetta dei nostri teatri lirici.

Buon Ascolto!

La vostra Rosaspina.

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

Aida di Giuseppe Verdi – Teatro Colón 1968 -Carlo Bergonzi e Martina A rroyo
Anibal “Pichuco” Troilo
Libertad Lamarque – El dia que me quieras di Carlo Gardel
Susana Rinaldi – El dia que me quiera – di Carlo Gardel
Osvaldo Pugliese – Desde el Alma – concerto 1985 teatro Colón

Fonte :

Professore Matteo Paoletti : Mascagni, Mocchi, Sonzogno Società Teatrale Internazionale (1908-1931) e i suoi protagonisti

European Musical Heritage and Migration.

Articolo di Paola Mildonian del 26 Settembre 2003

Articolo del 17 Gennaio 2016  “Il signor nessuno a Buenos Aires.”

Paolo Pedrini e Claudio Martino

http://www.vivilargentina.com/signor-nessuno-buenos-aires/

Rivista Wam articolo Columa de tango: El teatro Colón

http://www.revistawam.com/columna-tango-duo-la-vida-2-2/

https://teatrocolon.org.ar/es/historia