La Magia di musicalizzare una Milonga: Bruno Comastri “El Gato Loco”

L’onda energetica della Milonga deve essere simile a quello che prova un surfista, quando si gira e la vede arrivare … non può mai sapere come sarà, se non nel momento in cui la cavalca. La passione spinge avanti i nostri sogni e ci permette di non mollare e non rendere abitudine la bellezza della routine. Fa bene all’anima ricordarsi di ciò: la passione esiste, non dimentichiamocene !

Buon Ascolto, vostra Rosaspina Briosa.

Bruno Comastri – El Gato Loco

Vecchioni Canta alla Luna l’Amore per la Vita

Roberto Vecchioni – 10 Luglio 2022 – Vittoriale

10 luglio 2022, il concerto al Vittoriale di Vecchioni rimarrà una data storica per coloro che hanno potuto assistervi, uno spettacolo magistralmente gestito sotto lo sguardo della Luna, pure lei ieri sera ha pianto.

Vecchioni, un poeta, uno degli ultimi cantautori del ventesimo secolo, ha presentato ogni canzone partendo da una riflessione personale, arricchendola di aneddoti e citazioni che hanno strappato più di una risata.

Samarcanda questa volta ha aperto il concerto, un omaggio alle nipotine presenti in sala, che si erano lamentate con il nonno perché solito inserire questo brano in chiusura dei suoi spettacoli, e loro troppo stanche, addormentandosi lo perdevano.

Vecchioni ci ha preso per mano, uno ad uno e nelle due ore e mezza che sono seguite, ci ha fatto vedere una notte illuminata dalla parola amore.

Un amore grande per la vita e per l’uomo, rammentandoci che è la forza del nostro sorriso a determinare gli anni della nostra vita.

Le canzoni più belle si susseguono e sono i versi a rimanere leggiadri nella loro profondità:

“ogni destino nasce dentro un addio, oppure il mio mestiere è la mia ragazza e tutta la bellezza mi scappa via e mi lascia una malattia, tutta la bellezza se ne va in un campo, la bellezza che è la tua e la mia muore dentro in un canto.”

Gli applausi si susseguono e il pathos raggiunge il suo massimo alle prime note di caro amico Vincent, le parole, i colori è la voce del cuore che canta e senti sulla pelle gli ultimi raggi del sole che baciano i girasoli.

La band, lo segue nelle sue variazioni Massimo Germini alla chitarra, Antonio Petruzzelli al basso,  Roberto Gualdi alla batteria e Max Elli alla tastiera del pianoforte.

Le canzoni di Vecchioni, come le arie dei grandi compositori, siano essi  lirici o  di tango,  lasciano nei nostri cuori  una forza speciale che ci rende temprati alle sferzate della vita, perché la luce dei grandi artisti è contagiosa, perché appunto  gli anni di vita si misurano … in sorrisi

Grazie Maestro !

I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA: l’ Opera come il Tango per essere vivi devono essere popolari

Giuseppe Verdi – I lombardi alla prima crociata – Enrique Santos Discépolo

Qualunque sia il teatro lirico nel quale stiamo per entrare i nostri sensi vengono immediatamente sollecitati, per primo l’udito da un concitato brusio di sottofondo, un parlare veloce a mezzo tono, che non disturba, crea l’attesa dell’inizio. Il secondo elemento al quale non ci è concesso di sottrarci è la luce del teatro, rimbalza sui velluti, sui palchi fino a toccare i tendaggi del sipario ed è lì che tutti noi focalizziamo la nostra attenzione.

Le luci si abbassano, il mormorio si affievolisce e nel silenzio assoluto, il direttore d’orchestra alza la bacchetta, l’orchestra suona, il sipario si alza e l’opera racconta una storia di vita.

I Lombardi alla prima Crociata di Giuseppe Verdi, rappresentata per la prima volta alla Scala, l’11Febbraio 1843, ritorna alla Fenice l’8 Aprile 2022, dopo oltre un secolo di silenzio dal suo debutto.

La trama è quanto mai arzigogolata, nel più irruente stile verdiano, racconta di una Faida Familiare: Pagano uccide il padre al posto del fratello Arvino di cui era profondamente geloso, avendo quest’ ultimo sposato la donna che lui amava, Viclinda e dalla quale  nasce una figlia, Giselda.

Fin qui tutto normale per le trame verdiane, gli intrecci familiari, l’esasperazione delle emozioni, la ricerca del dramma scenico, sono tutti elementi che il Primo Verdi porta già in scena.

É il sentimento della gelosia a governare l‘animo dei protagonisti, ma questa volta a differenza del Rigoletto o dell’Otello, i colpi di scena disorientano lo spettatore, al punto da perdere il filo della storia se non si conosce l’opera prima della sua visione.

Il primo atto è ambientato a Milano, siamo intorno all’ anno 1100, la scena si apre all’interno della Basilica di S. Ambrogio, dove Pagano viene accolto e perdonato dal lungo esilio e il Priore annuncia la partenza di Arvino per le crociate.  Ci si sposta nel palazzo di Folco, dove Giselda impedisce l’uccisione di Pagano, dopo aver scoperto la morte del nonno.

Nel secondo atto ci ritroviamo catapultati nelle stanze private del tiranno Acciano e subito dopo nell’ harem del suo palazzo e ci si domanda: “Ma come ‘è arrivata Giselda la figlia di Arvino ad Antiochia in Gerusalemme ed innamorarsi di Oronte figlio del tiranno?”

Si è talmente presi dalla bellezza di questa musica, dal coro che accompagna lo sviluppo scenico, che i dettagli della trama passano in secondo piano.

L’edizione andata in scena al teatro la Fenice è probabilmente quella che più si avvicina a come Giuseppe Verdi l’avrebbe voluta sentire interpretata nel 2022.

Il maestro Sebastiano Rolli alla guida dell’Orchestra alla Fenice ha saputo dirigere magistralmente sia l’orchestra che il coro, con la giusta dose di energia per sostenere il ritmo dell’azione e tenere alta la tensione nello spettatore.

Ci ha restituito tutta la bellezza di quest’opera che, per i rimaneggiamenti poco attendibili nel corso degli anni forse aveva perso la sua briosa lucentezza. Oggi siamo in grado di riscoprirla, grazie alla partitura   David R.B.Kimbell che  si è basato sulla copia  autografata di Giuseppe Verdi conservata nell’archivio storico Ricordi a Milano.

Michele Pertrusi, basso nel ruolo di Pagano, è praticamente perfetto e cavalca la scena, ma è in buona compagnia. Era da molto tempo che non avevo più avuto l’occasione di assaporare un cast così equilibrato, dove le voci si sostenendosi l’una con l’altra sono riuscite a risaltare vicendevolmente nella recitazione teatrale, le proprie caratteristiche principali.

La Giselda interpretata da  Roberta Mantenga è un’eroina romantica ma di carattere e tale forza ben è espressa dagli sbalzi e da una limpidezza di canto che raggiunge l’apice nella preghiera.

Oronte di Antonio Poli, finalmente un fraseggio chiaro e limpido, Mattia Denti ci regala un Pirro autorevole mentre Marianna Mappa riesce a dare personalità a Viclinda e Antonio Corianò un Arvino incisivo, ma sono le giovani voci di Adolfo Corrado, Acciano, breve passaggio ma intenso, Christian Collia priore della città di Milano e Barbara Massaro nella parte di Sofia madre di Oronte, a sorprendere e hanno le potenzialità di emergere nello scenario artistico non solo Italiano.

Riuscito è l’intermezzo della scena del ballo in chiave moderna, creato per accompagnare lo spettatore nella comprensione del dramma verdiano nel rapporto tra Pagano e Arvino, si è cercato una soluzione stilistica al vuoto di continuità che la trama ha.

L’operazione è talmente ben riuscita che ha suscitato applausi a scena aperta, l’esecuzione artistica dei due giovani ballerini vestiti da studenti porta in scena il dramma più antico; quello di Caino e Abele.

Peccato che nessuna recensione li abbia nominati.

Gli applausi del pubblico hanno ridato all’opera quel sapore di popolarità che oggi non ha più, ma non perché manchi la passione o la curiosità di crescere da parte di un pubblico attento, ma perché è difficile trovare oggi delle belle voci e delle voci che abbiano avuto il tempo di lavorare assieme ed amalgamarsi come è accaduto per questa edizione.

La regia, i costumi scenici, la scenografia, sono tentativi d’interpretazione che possono più o meno riuscire, ma non tolgono e non aggiungono niente all’opera in sé stessa, se prima la direzione orchestrale, l’orchestra, le voci dei cantanti ed il coro non sono in grado di eseguirla in modo virtuoso ed emozionare un pubblico popolare.

Valentino Villa, ha cercato di reinterpretare l’opera per catturare l’attenzione dei giovani e l’ha attualizzata Massimo Checchetto, scenografo e Elena Cicorella costumista, si sono adeguati alla linea definita da Valentino Villa per dare uniformità e continuità al messaggio artistico.

Operazione riuscita o non riuscita? 

Io non mi porto a casa il ricordo del coro vestito da infermiere, ma la passione con la quale ha cantato sì.

Ci si dimentica che l’opera lirica per rimanere viva deve rinnovarsi nella sua dimensione popolare, anche per il tango accade la stessa cosa, è il messaggio musicale ad emozionare, non l’ambientazione della Milonga.

Vi è un tango, la cui letra forse ci può aiutare a riflettere è stata scritta nel 1934.

CAMBALACHE /  Robavecchia

Tango 1934

 Musica: Enrique Santos Discépolo

Letra : Enrique Santos Discépolo

Traduzione Pablo Helman dal libro “Canzoni di una vita, canzoni di tante vite”

Che il mondo fu e sarà una porcheria

Già lo so…

(nel cinquecento sei come pure nel duemila!).

Che sempre ci sono stati ladri,

i machiavelli, i truffati, i contenti e gli amareggiati,

valori e falsità…

Ma che il ventesimo secolo sia uno sfoggio

di malvagità insolenti

già non c’è chi lo neghi.

Viviamo mescolati

In una meringa

Tutti immersi nello stesso fango

Tutti manipolati…

Oggi risulta che è lo stesso

Essere onesto o traditore,

ignorante, saggio o ladro,

generoso o truffatore.

Tutto è uguale!

Niente è migliore!

È lo stesso essere un somaro

Che un grande professore!

Non ci sono bocciati

 né graduatoria

gli immorali

ci hanno eguagliato.

Se uno vive nell’ impostura

e un altro ruba nella sua ambizione,

fa lo stesso che sia prete,

materassaio, re di bastoni,

faccia tosta o clandestino!..

Giuseppe Verdi – “O Signore dal tetto natio” – I Lombardi alla prima crociata

Enrique Santos Discépolo – Cambalache

LUCIA CONTE: la voce del cuore tra Lirica e Tango

Il buongiorno di Lucia Conte, è come il buon caffè alla mattina, rilascia un profumo avvolgente che ti accompagna per tutto il giorno. Le sue parole sono acqua pura, nascono da un profondo rispetto e amore per la musica e l’arte.

LUCIA CONTE: la voce del cuore tra Lirica e Tango
CARMEN, George Bizet – LUCIA CONTE, “Je dis que rien ne m’épouvante”
LA DIAVOLESSA, Baldassare Galuppi – LUCIA CONTE, “una donna che apprezza il decoro”
LA FUGA IN MASCHERA, Gaspare Spontini – LUCIA CONTE, “La mia lanterna magica”
LUCIA CONTE, “Histoira de un amor” – Letra y musica de Carlos Almarán
LUCIA CONTE

LETRA HISTORIA DE UN AMOR

Carlos Almarán

Ya no estás más a mi lado, corazón

Tu non sei più al mio fianco, cuore mio

En el alma solo tengo soledad

Nella mia anima tengo solamente solitudine

Y si ya no puedo verte

E se non posso averti

¿Por qué Dios me hizo quererte?

Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?

Para hacerme sufrir más

Solo per farmi soffrire di più..

Siempre fuiste la razón de mi existir

Sei sempre stata la ragione della mia esistenza

Adorarte, para mí, fue religión

Adorati per me è come una religione

En tus besos encontraba

Nei tuoi baci ho incontrato

El amor que me brindaba

L’amore che mi hai dato

El calor de tu pasión

Il calore della tua passione

Es la historia de un amor

Questa è la storia di un amore

Como no hay otro igual

Diverso da tutti gli altri

Que me hizo comprender

Che mi ha fatto comprendere

Todo el bien, todo el mal

Tutto il bene, e tutto il male

Que le dio luz a mi vida

Che ha dato luce alla mia vita

Apagándola después

Per poi spegnerla poco dopo

Ay, qué noche tan obscura

Oh, Che notte oscura

Todo se me ha de volver

Senza il tuo amore non vivrò

Ya no estás más a mi lado, corazón

Tu non sei più al mio fianco, cuore mio

En el alma solo tengo soledad

Nella mia anima tengo solamente solitudine

Y si ya no puedo verte

E se non posso averti

¿Por qué Dios me hizo quererte?

Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?

Para hacerme sufrir más

Solo per farmi soffrire di più..

Es la historia de un amor

Questa è la storia di un amore

Como no hay otro igual

Diverso da tutti gli altri

Que me hizo comprender

Che mi ha fatto comprendere

Todo el bien, todo el mal

Tutto il bene, e tutto il male

Que le dio luz a mi vida

Che ha dato luce alla mia vita

Apagándola después

Per poi spegnerla poco dopo

Ay, qué noche tan oscura

Oh, Che notte oscura

Todo se me ha de volver

Senza il tuo amore non vivrò

Ya no estás más a mi lado, corazón

Tu non sei più al mio fianco, cuore mio

En el alma solo tengo soledad

Nella mia anima tengo solamente solitudine

Y si ya no puedo verte

E se non posso averti

¿Por qué Dios me hizo quererte?

Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?

Para hacerme sufrir más

Solo per farmi soffrire di più..

LUCIA CONTE, SOPRANO ITALIANO.

FONTI

Materiale fotografico reso disponibile da Lucia Conte

Si ringraziano i seguenti fotografi:

Antonio Perrone http://www.perronephoto.it/

Fabio Gianardi https://www.fabiogianardifotografo.com/

Mariateresa Contando https://www.facebook.com/mariateresa.contaldo

Chiara Cecchinato di Endlesschic https://www.endlesschicnaturecolors.com/

La violenza

Perché la violenza e il tango?  

Perché per superare la violenza, bisogna ritrovare la bellezza che c’è in noi e il tango ci prende per mano per aiutarci a riscoprirla.

Perché la violenza e il tango sono suoni e fisicità, si muovono insieme, crescono con noi, si camuffano tra le pieghe della vita, ma mentre la violenza, lentamente ci paralizza, il tango ci guarisce.

La violenza è fatta, di brividi, sudore, vuoto, disorientamento, un tormento che non trova pace al punto tale che lo si nega prima di tutti a se stessi.

Questa è la violenza, una scissione dell’anima tra il prima e il dopo, non si riaggiusta, senza rinascere da un nuovo “io”.

Un nuovo io che nasce da una nuova voce. Qual è quell’elemento che unisce le voci delle donne al Tango?

Il rispetto è l’anello di congiunzione.

Difronte alla devastazione, la musica in particolare è in grado di curare la ferita dell’anima.

Il tango è musica.

Si avvicina silenziosamente e nel suo abbraccio, ricerca una fisicità fatta di vita e ogni “tanda” diventa unica in quanto incontro tra due persone.   Nel ballo e nell’ascolto si esplorano le emozioni: la tenerezza, l‘accoglienza, la passione, la sensualità e il rispetto.

Il tango ha una storia lunga e complessa, nasce dal flusso migratorio di culture diverse che si sono incrociate tra Montevideo e Buenos Aires tra l’estuario del Rio della Plata tra la fine dell‘800 ed i primi del ‘900.

Attraverso il linguaggio della musica e del corpo, il tango è stato catalizzatore di un grande e continuo processo rivoluzionario sociale e culturale che ancora oggi è in atto, tanto da essere nominato, nel 2009, patrimonio immateriale dell’umanità.  

Il Tango è espressione di uno sviluppo dell’emancipazione femminile straordinario, per la prima volta la donna è legittimata, attraverso un ballo, ad esprimere la sua femminilità e sensualità in pubblico. Per ballar bene il tango, la donna deve contrapporsi all’uomo, riconoscendo la sua stessa importanza, non abbandonandosi ad un ruolo passivo.

Attraverso la letra, il testo della canzone del tango, diventa così possibile esprimere quello che diversamente non sarebbe stato possibile sulla condizione femminile, ma anche su quella sociale.

Ci si sofferma tropo poco a comprendere i testi delle letre, che balliamo, presi come siamo dalla musicalità, mai ci aspetteremmo di ballare su parole poetiche, crude e taglienti come solo la vita può esserlo.

I brani che vi propongo per l’ ascolto, mi sono stati suggeriti da cari amici tangueri di Genova. Gli ho trovati molto attuali e perfetti da dedicare oggi a tutti noi, senza distinzione di donna o uomo, perché la violenza non ha sesso, non ha età , non ha colore della pelle.

Naranja en flor”, musica di Virgilio Exposito, e letra di Homero Exposito, orchestrata da Anibal Troilo, cantata da Floreal Ruiz.

Era più pura dell’acqua sono le parole inziali di questo meraviglioso tango, si parla di stupro, attraverso una metafora, poiché negli anni ’20 non era ancora pensabile pronunciare questa parola ad alta voce. Solo l’acqua è l’elemento primario per la vita, nell’acqua nasciamo, dell’acqua necessitiamo per vivere e  per ripulirsi dopo uno stupro. Solo un poeta avrebbe potuto con occhi amorevoli trovare un simile paragone.

NARANJAN EN FLOR – Orchestrata da Anibal Troilo, musica di Virgilio Exposito, e letra di Homero Esposito, cantata da Floreal Ruiz

Il brano successivo è: “Un crimen”, musica e letra di Luis Rubistein, orchestrata da Miguel Calò, cantata da Raùl Beron.

Il tema purtroppo sempre attuale, il femmicidio, dramma che nasce dal sentimento della gelosia.

Le parole scritte nel 1942, possiamo  ritrovarle sulle testate giornalistiche di oggi: “La mia gelosia è finita in follia e nel mezzo dell’inferno mi sono perso…”.

Letra:

Mi drama señor juez es la historia
Que puede comenzar por el final
Ya se que en lo grotesco de mi gloria
No es facil parecer sentimental
La vida que le di fue una tortura
Y su alma soportó mi frenesi
Mis celos terminaron en locura
Y en medio de un infierno me perdi
Y vi neblina en sus ojos
Cuando mis dedos de acero
En su cuello de nacar
Bordaron un collar
Rodo besando mis manos
Y apenas pudo gritar
Su voz se ahogo sin reproche
Y así mansamente tu fin???
Tengo su angustia en mis ojos
Y no la puedo arrancar
Yo quiero señor juez con esta historia
De un crimen tan perverso y tan brutal
Que no haya ni una marca en su memoria
Ni sepan que era buena y le hice mal

Traduzione:

Il mio dramma signore giudice è  la mia storia
Che posso raccontare  dalla fine.

 La mia fama è grottesca e mi precede.
Non è facile sembrare innamorato
La vita che le ho dato è stata una tortura
e la sua anima ha sopportato la mia frenesia
La mia gelosia è finita in follia
e nel mezzo dell’inferno mi sono perso
e ho visto la foschia nei suoi occhi
Quando le mie dita d’acciaio
sul suo collo di madreperla
hanno ricamato una collana
Rotolò baciandomi le mani
e riusciva a malapena a gridare
La sua voce era soffocata, senza rimproveri
E così dolcemente è stata la tua fine ???
Ho la sua angoscia nei miei occhi
e non posso dimenticarlo
Desidero  signore giudichi che questa storia

un crimine così malvagio e  brutale
non ne rimanga il segno della sua memoria
Non so più se fu bello e le feci  male

Non ricordo più se fosse buona e le feci del male

UN CRIMEN, orchestrata da Miguel Calò, musica e letra di Luis Rubistein, cantata da Raùl Beron.

Per ultimo, per chiudere in leggerezza, dimensione di cui necessitiamo, per avere speranza e fiducia, un tango, la cui poeticità e il ritmo melodico e turbinoso, rende consapevoli che la felicità è l’istante di un momento.

“Lavida es una milonga”: musica di Fernando Monton, letra di Rodolfo Sciammarella, orchestrazione di Pedro Laurenz,  cantata da Martin Podestà.

La vita è una milonga e devi saper ballare, perché è triste star seduto mentre gli altri ballano.”

E con queste parole, Rosaspina Briosa, augura a tutte le donne di ritrovare se stesse!

Rosaspina Briosa ®️

LAVIDA ES UNA MILONGA. orchestrazione di Pedro Laurenz, musica di Fernando Monton, letra di Rodolfo Sciammarella,  cantata da Martin Podestà.

LIRICA E TANGO: “Il perdono come fiore della vita”

Vicenzo Bellini – Norma e Enrique Santos Discépolo – Tormenta

Il perdono è uno dei sentimenti più complessi con i quali nell’arco della nostra vita, prima o poi, tutti noi ci dobbiamo confrontare.

“Davanti a questa emozione il tempo è una variabile determinante” afferma Giovanni Jervis, noto psichiatra e sottolineando come questi influenzi il nostro modo di giudicare e di sentire.

Il perdono non è un obbligo e non è pertanto possibile istituzionalizzarlo per quanto ci si provi, rimane prima di tutto un atto libero e personale verso se stessi e verso l’altro.

Ho letto in questi giorni cercando di approfondire la complessità dell’argomento, che chi ha una stima tale da non ammettere che qualcuno lo possa offendere, non avverte il bisogno di perdonare, così come chi avverte l’offesa come un affronto alla propria dignità, non concederà il perdono.

I due casi estremi sono il riflesso e la sintesi della mancanza di dialogo, tanto si è narcisisti o fragili, quanto si innalzano muri in protezione.

La lirica e il tango sono in grado di accompagnarci nei sentieri di questa riflessione, lasciando ad ognuno di noi la libertà di cogliere sfumature diverse e forse abbassare quelle rigidità che ci portiamo dentro; riuscendo così a perdonarci e a perdonare.

Ho trovato particolarmente attuale l’opera di Bellini Norma, per comprendere la complessità della sua trama e le dinamiche degli attori principali, la chiave di lettura è il perdono.

Vicenzo Bellini, artista unico nella panoramica del Bel Canto Italiano, nacque a Catania il 3 Novembre 1801, morì a Parigi all’età di 34 anni nel 1835. Morì quindi giovanissimo ed oltretutto poco dopo il debutto della sua più acclamata opera, I Puritani, proprio come accadè quarant’anni più tardi a Bizet, a pochi mesi dal debutto dell’opera la Carmen, nel 1875.

Parallelismi e fili rossi invisibili legavano artisti unici in quegli anni a Parigi, l’amore e la creatività si intrecciavano come nei romanzi d’amore di quel periodo.

 Rossini, Balzac e Bellini, tutti dovevano aver avuto un tratto comune nella loro intima personalità per essere riusciti a cogliere le attenzioni di mademoiselle Pélissier. Olympe Pélissier era una donna estremamente intelligente e raffinata, ricercatrice, nel gioco della vita, del sentimento di passione, forse questo il filo conduttore che legò i tre uomini e di cui è giunta a noi testimonianza storica.

Tornando a Norma, fu composta in Italia, in tre mesi nel 1830 durante il soggiorno di Bellini a Villa Passalacqua a Moltrasio sul lago di Como. La bellezza di quel luogo non può che predisporre l’animo alla creatività, la giovinezza e la genialità di Bellini fecero il resto e gli permisero di dare vita ad una musica le cui arie ancora oggi sono tra le più difficili da interpretare, richiedono una padronanza tecnica della voce sia del legato che nel fraseggio e non ultimo degli acuti richiesti, non facile da raggiungere senza aver ricevuto in dono, da madre natura, una voce bellissima, bella non è sufficiente.

Per queste ragioni Norma è considerata da tutti i soprani una prova di  “coraggio”, solo la Callas e poche altre riuscirono a rendere a pieno l’intensità drammatica legata a  questa figura.

La trama di Norma, opera in due atti, tratta dal libretto di Felice Romani, scrittore poeta e critico musicale , narra di una vicenda ai tempi dei Galli e del conflitto con i Romani.

La scelta del periodo storico per l’ambientazione è dettata dai canoni della moda di quel tempo, non rappresenta un valore aggiunto per la trama ed è questo a far sì che il messaggio di Norma possa essere attualizzato ancora oggi.

 La musica è al servizio dei personaggi per indirizzarli verso un viaggio nella complessità dell’animo umano, dove per la prima volta nella storia della lirica le personalità degli attori non sono pennellate completamente buone o completamente cattive.

Nel dramma dei rapporti familiari ed istituzionali che le figure di Pollione, Norma, Aldagisa e Oroveso hanno tra loro è sempre il perdono a rimanere al centro del confronto, come un fuoco, una luce con la quale ognuno si deve confrontare.

Norma perdona Pollione per il tradimento alla promessa di fedeltà, nel momento in cui lo percepisce non più come una lesione alla sua dignità, perché l’amore parte sempre da una scelta personale e nessuno può in ciò ledere la stima di sé stessi, ma può avvenire, solo nella dimensione in cui lo permettiamo all’altro.   Norma nel riconoscere questo, perdona se stessa dal senso di colpa per non aver rispettato la promessa dei voti sacri di castità ed espia attraverso il suo sacrificio, il suicidio, il giudizio di una colpa sociale.

Questo passaggio è estremamente delicato, Bellini offrì l’opportunità ai suoi contemporanei, di riflettere sulla variabile tempo e l’insieme dei valori sociali che condizionano il giudizio di colpa sociale e che spingono il genere umano verso comportamenti contrari alla sua natura intima.

 Ciò che una volta veniva inteso deplorevole al punto da richiedere il sacrifico umano e l’ espiazione della colpa con il suicidio, un domani potrebbe forse non essere più necessario.

Pollione inizialmente non si riconosce nessuna colpa, perché ha una stima tale di sé da ritenersi migliore e da non riconoscersi nella posizione di aver ferito l’altra parte.

 Raggiungerà la consapevolezza, del proprio pentimento nel momento in cui riconosce la superiorità morale di Norma.

 Norma, nell’atto di rinunciare alla vendetta, fa sì che Pollione avverta la responsabilità delle proprie azioni e la rabbia iniziale di Norma, non più come un affronto alla sua dignità, al contrario, è il perdono di lei che lo spinge ad un cambiamento profondo.

Aldagisa, figura femminile antagonista di Norma nell’amore a Pollione è l’ inconsapevole miccia che dà via a questo conflitto di emozioni.

Aldagisa, perdona se stessa per aver amato Pollione ed aver infranto a sua volta gli stessi voti di Norma.

Il riconoscersi tra donne le permette di comprendere la debolezza dell’altro.

Aldagisa rimane sola con il suo amore e la consapevolezza che forse il sentimento di Pollione per lei fosse nato dalla spinta della giovinezza, ma non dal quel sentimento profondo che lega le anime in un rapporto di amore e odio.

Oroveso, capo dei Druidi e padre di Norma, rappresenta il perdono istituzionalizzato, quello sociale, nell’accettare il sacrifico della sua unica figlia   e nello stesso tempo rappresenta il perdono, quello più privato ed intimo tra padre e figlia nel mantenere custodite le sue le ultime parole e il suo segreto.

Oroveso mette in salvo la vita dei figli nati da questa unione d’amor tra Pollione e Norma, ma condannati dal senso di colpa sociale.

Vi propongo l’ascolto di un breve pezzo da abbinare con la lettura del testo sovrascritto con un video che permette anche a chi non è solito alla comprensione della lirica di poterlo seguire.

 In mia man al fin tu sei: la scena è una delle più intense, si svolge alla fine del secondo atto.

Pollione è stato scoperto nel suo tentativo di rapire Aldagisa dal tempio, ora è solo con Norma, la quale, con la scusa di volerlo interrogare, ha allontanato i guerrieri e suo padre il druido Oroveso.

Il dialogo tra Norma e Pollione si fa accesso ed intimo, in questa fase passione, amore, odio perdono, tutte le riflessioni fin qui fatte, sono presenti.

Vicenzo Bellini, Norma – In mia man alfin tu sei – Maria Callas, Norma – Mario Filippeschi, Pollione

Se l’opera lirica è riuscita a regalarci emozioni intense e spazi di riflessione profondi, altrettanto è in grado di farlo il tango con una lirica poetica ma completamente diversa, perché arricchita di quella leggerezza che pur non esclude la profondità.

Se qualcuno volesse divertirsi a scrivere la parola tango e perdono su Google, rimarebbe attonito dalla valanga di pagine che gli si aprono.

Ho scelto un tango dove la ricerca della musicalità non fosse da meno dell’intensità delle parole della letra .

Non è possibile mettere a confronto due generi musicali talmente diversi e complessi nelle loro radici e memorie storiche, tanto da rendere quasi impossibile un linguaggio trasversale, tra lirica e tango, se non nella dimensione del rispettoso ascolto dell’ elemento musicale.

Tormenta è un tango scritto e musicato da  Enrique Santos Discépolo, definito  il poeta del tango, un filosofo della vita, figura unica nel panorama della cultura argentina .

Enrique Santos Discépolo nacque in una famiglia di artisti il 27 marzo 1901.

Perse i genitori da piccolo e suo fratello maggiore Armando lo avviò sulla strada dell’arte avendo intuito le sue eclettiche potenzialità: fu compositore, poeta, scrittore, drammaturgo, attore e filosofo.

I suoi testi parlano della vita delle esperienze umane ed è sempre una rilettura della realtà in poesia. La sua forte sensibilità lo portò ad essere sempre un uomo estremamente attento alle tematiche sociali, denunciando la povertà e le disuguaglianze del suo paese. Ne è una testimonianza il video che condivido con voi dove parla con Gardel poco prima di eseguire uno dei suoi brani, Yira Yira.

Nel 1918 a soli 17 anni scrisse le sue prime opere teatrali : El señor cura, El hombre solo, Día Feriado, da lì in poi la sua carriera artistica si fermò solo con la sua morte.

Ebbe un infanzia sofferta, dura, privato del calore di entrambi i genitori, durante la quale subì, umiliazioni da parte di familiari stretti che non erano in grado di accogliere una sensibilità come la sua e riversò nella musica e nelle parole quel sentimento angoscioso che i suoi testi di tango esprimono.

A Montevideo nel 1926 visse il suo primo fallimento come compositore, scrisse un testo marcatamente di denuncia sociale “Qué vachaché”, non fu capito, ma quel tango segnò la sua firma ed unicità, un vero poeta.  Rinunciò più volte a lavori che lo avrebbero arricchito per non scendere a compromessi con il suo sentire ed il rispetto verso se stesso e la sua arte.

La sua composizione come paroliere conta non più di una trentina di testi, ma la qualità delle opere composte rivaleggia con i più grandi poeti contemporanei.

Quando compose il testo del tango che ho proposto nel 1939, Tormenta (Tempesta) , implorando Dio per un perdono verso l’umanità che non comprendeva in un impeto di disperazione scrisse:

“Cosa ho imparato dalla tua mano non va bene per vivere?

Sento che la mia fede sta tremando che le persone cattive vivono, Dio, meglio di me. “

Parole che ancora oggi ci fanno tremare per l’attualità del loro significato.

Il perdono dov’è in questa lirica ?

Il perdono è tutto nell’abbraccio del tango, Tormenta nella sua musica intensa, vibrante con il suono del piano e dei violini, ci accompagna mentre balliamo nella ricerca della connessione e ci trasmette, quel calore necessario per  affrontare la tempesta della vita.

Amo credere che  Enrique Santos Discépolo, ci regali un filo di speranza,  certo che il fiore della vita è lì ad attenderlo, oltre la notte buia del dolore, lo stesso fiore che Norma e Apollonio nel perdonarsi vicendevolmente  hanno trovato.

 Vi propongo l’arrangiamento dell’ orchestra di Di Sarli con la voce intensa e piena dal timbro  tenorile di Mario Pomar  e vi aspetto alla prossima video intervista, ritratti, con il soprano Lucia Conte, con lei proseguiremmo la nostra riflessione sul perdono.

Buon ascolto, come sempre vostra Rosaspina Briosa ©️

Testo della letra Tormenta:

¡Aullando entre relámpagos,  perdido en la tormenta de mi noche interminable, ¡Dios! busco tu nombre…
No quiero que tu rayo me enceguezca entre el horror, porque preciso luz para seguir…
¿Lo que aprendí de tu mano no sirve para vivir?
Yo siento que mi fe se tambalea, que la gente mala, vive ¡Dios! mejor que yo…

Si la vida es el infierno y el honrao vive entre lágrimas, ¿cuál es el bien…
del que lucha en nombre tuyo, limpio, puro?… ¿para qué?…

Si hoy la infamia da el sendero y el amor mata en tu nombre, ¡Dios!, lo que has besao…
El seguirte es dar ventaja y el amarte sucumbir al mal.

No quiero abandonarte, yo, demuestra una vez sola que el traidor no vive impune, ¡Dios! para besarte…

Enséñame una flor que haya nacido el esfuerzo de seguirte, ¡Dios!
Para no odiar al mundo que me desprecia, porque no aprendo a robar…
Y entonces de rodillas, hecho sangre en los guijarros moriré con vos, ¡feliz, Señor!

Traduzione

Urlando in mezzo ai lampi, perso nella tempesta della mia notte interminabile, Dio, cerco il tuo nome.

Non voglio che il tuo raggio mi accechi nell’orrore, perché ho bisogno di luce per continuare….

Quello che ho imparato da te non serve per vivere? Sento che la mia fede traballa,
che la gente malvagia vive, Dio, meglio di me.
Se la vita è l’inferno e l’onesto vive in lacrime, qual è il bene… di chi lotta nel tuo nome,
pulito, puro? … Per che cosa?

Se oggi l’infamia paga e l’amore uccide nel tuo nome, Dio, quello che hai baciato…
ed il seguirti è dar vantaggio e l’amarti soccombere al male.

Non voglio abbandonarti, io, dimostra una sola volta che il traditore non vive impunito, Dio, per baciarti… indicami un fiore che sia nato
dallo sforzo di seguirti, Dio, per non odiare il mondo che mi disprezza, perché non imparo a rubare…

E allora fatte sanguinare le ginocchia sui sassi, morirò con te, felice, Signore!

Enirique Santos Discépolo , Tormenta – Carlos di Sarli, Mario Polar
Carlos Gardel e Enrique Santos Discépolo.

FONTI:

Paul Recoeur; Ricordare, dimenticare, perdonare. L’ enigma del passato (2004)

Giovanni Jervis; Il concetto di colpa, (1996) – da filosofia.rai.it, 4 Aprile 1996

Paolo Cecchi; Temi letterari e individuazione melodrammatica in Norma di Vicenzo Bellini, (1997)

Mónica Fernández ; Enrique Santos Discépolo: una mezcla milafrosa de poesìa y filosofìa.

Enrique Santos Discépolo: A miraculous blend of poetry and philosophy, (2013)

LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio IV

Episodio IV

I giorni si susseguivano, uno accanto all’altro in una ripetitività come solo lo scorrere del tempo può generare: l’attesa del giorno nuovo.  

Elena, si rifugiava nel tango, rappresentava una bolla nella sua quotidianità esistenziale che le permetteva di fermare il tempo.

L’attrazione ed i giochi di sguardi precedevano l’euforia pre mirada; è sottile il confine tra complicità di coppia e amore per il tango.

Ridacchiava ed ammirava con un velo di sarcasmo quelle tanguere che pur non essendo più giovani, si trasformavano nelle braccia del partner al punto da non poter più dare loro un’età.

Quel tipo di sicurezza derivava solo ed unicamente dalla femminilità di ogni donna porta dentro di sé.

Talune ne avevano talmente in abbondanza che neppure si rendevano conto dell’effetto che provocavano; queste rare ballerine, rimanevano inconsapevoli del loro potenziale. Spesso ballavano al di sotto delle loro capacità, non osando mirare o contraccambiare lo sguardo con coloro che definivano bravi.  La scelta di rimanere nella loro zona confort, le proteggeva dalla delusione di provarci.

Che spreco, si disse tra sé e sé, l’autostima è fondamentale.

Un sorriso amaro le increspò il labbro pensando a Francesca, non le mancava l’autostima, eppure, anche lei, non voleva vedere la vera natura di Marco.

Marco è un bluff!

Il giorno della resa dei conti si stava avvicinando sempre di più.

Lo aveva capito da come ultimamente ballavano in milonga e presto nel gioco delle coppie, si sarebbero ritrovati a rimescolare le carte … niente era destinato a rimanere come sembrava.

L’ estate con le sue lunghe notti, la carezza dell’aria fresca, l’inganno delle stelle predisponevano gli animi ad incontri talvolta fugaci, raramente autentici, ma quando questo accadeva faceva tremare le fondamenta anche della coppia apparentemente più stabile.

Non è vero che il tango inganna, eppure porta a confondere ciò che non si vuol riconoscere.

Il bip del suo cellulare l’avviso dei messaggi in arrivo su WhatsApp.

Sorrise, si divertiva a tenere vivo l’interesse di più uomini, ognuno non collegato all’altro, in modo tale che le possibilità che si incontrassero o condividessero amicizie o passioni comuni era praticamente nullo.

Aveva una preferenza accentuata per quelli fuori regione, le permetteva di vederli con meno regolarità, riuscendo a mantenere vivo la curiosità verso di loro.

Il guaio vero era che pochi riuscivano ad intrigarla con una conversazione ricca al punto tale da farle scattare il desiderio di approfondire la conoscenza.

Ahimè quello era il suo limite grande… al terzo incontro quando le cose stavano prendendo la piega giusta e tra una risata profonda e dell’allegra euforia, regalo di un buon bicchiere di Amarone, accadeva quasi sempre una caduta di stile, talmente inappropriata da rivelare tutta l’arroganza maschile, così ben camuffata da un accentuato narcisismo, al punto che si chiedeva se non fosse meglio essere un po’oca e scopare di più.

Ma ecco che il retaggio culturale, invece di aiutarla sostenendola a ragion veduta, di non perdere una , che erano le ultime cartucce, fregatene e concludi la serata, tutte le volte le faceva l’auto sgambetto…

Si ritrovava a girare le chiavi nella toppa di casa, tutta sola.

Ridendo si toglieva le scarpe e gettandosi nel letto quasi vestita, ripensava ancora a quella prima volta dopo la sua vedovanza, aveva bevuto talmente tanto che a forza di farlo ridere, gli era diventato piccolo e non avevano concluso più niente.

 Si erano addormentati abbracciati.

Si guardò allo specchio con uno sguardo nuovo e si chiese, se anche lei non facesse parte di quelle poverine che fino a pochi minuti prima aveva scanzonato.

Si guardò allo specchio, aveva poco seno per attizzare, la vita sottile e le gambe lunghe, le garantivano alla sua età una figura ancora armoniosa e slanciata.

Non si stupiva degli sguardi accesi nei suoi confronti, quello di cui si meravigliava, ora ripensandoci con calma, era che benché riconoscesse la sua passionalità femminile, al punto tale da comprendere di desiderare un uomo, poi di fatto non riusciva ad instaurare una comunicazione che perdurasse oltre il periodo canonico dei due mesi. Come se ci fosse una tacita regola non scritta tra il “gentil sesso maschile”, che allungare il periodo dei due mesi, avrebbe provocato una paralisi fulminante alle articolazioni inferiori ed il cervello sarebbe andato in pappa. Addirittura sembrava, che l’emotività affettiva, sprigionata dall’intimità fisica di due persone, non dovesse superare lo strato protettivo intimo dell’anima, altrimenti era la fine.

Una volta attivato il processo dell’innamoramento, il rischio di creare una dipendenza emozionale era talmente alto, tanto quanto la persona difronte a te risplendeva di sincero affetto.

Gira che ti rigira il tango visto da questa prospettiva diventava catalizzatore di energie cariche di erotismo, infiammando le fantasie di taluni e portando in milonga una brezza di euforica confusione.

Ma veramente il tango è in grado di allontanarti da ciò che ti è più caro?

La sua mente, come un filtro della macchina del caffè, tralasciava solo ciò ritenuto corretto: un insieme di valori e convinzioni, il resto, rimaneva ben nascosto.

 Il persistente bip del cellulare le impose l’attenzione su dinamiche familiari più complesse.

Uscì dal bagno guardando l’orologio, lo sguardo oltrepassò quel disordine distribuito in modo uniforme, i vestiti indossati la sera prima spiegazzati adagiati un po’ sulla poltroncina e un po’ a terra.

Le scarpe invece non si ricordava che fine avessero fatto, ecco, una si intravedeva da sotto il letto, ma l’altra?  Percorse la stanza senza trovarla fino all’ angolo della scrivania dove una catasta di libri, ogni giorno si alzava sempre di più, storcendosi come la torre di Pisa.

La situazione sarebbe stata recuperabile, se avesse perso meno tempo dietro ai suoi pensieri, avesse fatto andare le mani invece che rincorrere i ricordi.

L’occhio scanzonato e di sufficienza con i quali i suoi figli erano soliti a commentare quello stato di cose, la catapultò nello sconforto di sentirsi una madre inadeguata.

L’ansia fece capolino, inducendola a muoversi nel più breve tempo possibile, almeno le lenzuola e far cambiare l’aria, “la stanza con i letti in ordine ha subito un altro aspetto” era solita a dirle su nonna.

Nel tirare le lenzuola, sentì le mani rugose di sua madre, accarezzavano le sue, nella semplicità di quel gesto, rivide per un breve attimo la stanza di sua madre come la sua, anche lei da giovane donna osservava e giudicava.

Vedova, non divorziata, un’eccezione alla sua età e tra le sue amiche si riteneva fortunata, aveva potuto preservarne il profumo dei fiori di arancio, e dalla distruzione la terra calpestata, giorno dopo giorno, aveva riassorbito la perdita del dolore.  I ragazzi un faro nelle notti più buie. 

Matteo rientrava da una vacanza con gli amici in campeggio e Stephy da Ferrara. L’ affitto del monolocale la costringeva a continue piccole economie, aveva rinunciato all’auto pur di vivere in uno spazio tutto suo.

Si era trasferita da un anno a Ferrara , per completare il dottorato   in poliambulanza nel reparto pediatrico, ultimo arduo step, fatto di sacrifici e rinunce, senza quelle tranquillità sul futuro e l’aiuto economico dei genitori che la sua generazione aveva goduto.

 Stephy sarebbe arrivata in stazione per le 13:00 realizzò tutto di colpo.

La sua spinta affannosa nel coprire con la mente tutte le mancanze sottolineate dai suoi ragazzi le si rivoltò contro in una smania di compiacere; cercava di recuperare una metodicità che non le apparteneva.

I cinque minuti necessari per finire un lavoro, diventavano dieci di ritardo su quello successivo e il rincorrersi delle lancette l’avvisavano del limite che si era data.

 Alle 12:30 avrebbe dovuto trovarsi in macchina se voleva assolutamente arrivare puntuale.

Nell’azionare la macchina, l’orologio sul cruscotto segnava le 12:40.

Traffico, il cellulare iniziò a squillare. “Pronto, ciao Mamma”

“È arrivata?”

“Sto andando a prenderla in stazione, ti chiamiamo noi..”

“Si, va bene , aspetto. Baci”

Doveva riconoscere che sua madre aveva due grandi capacità: la prima, chiamarla sempre nel momento di maggiore tensione tra la partenza o l’arrivo. La seconda capacità mantenere una serena accondiscendenza sugli imprevisti della vita, ed un innegabile tocco contorto nel farti sentire in colpa ed inadeguata, tanto quanto l’inconsapevolezza di questo suo atteggiamento, aveva finito di minare il loro rapporto, al punto che un meccanismo di dipendenza affettiva, giocato sulla sudditanza dei ruoli aveva garantito alcune certezze a sua madre a discapito della sua sicurezza.

Chi con forza affermava che l’amore materno è sempre e solo protettivo e benevolo, lo guardava con perplessità, non esprimeva una parola, in coscienza sapeva che sarebbe andata incontro ad una conversazione sterile.

Già tanto era comprenderlo da sola, per non riproporlo, nel fagocitante gioco al massacro nella comunicazione familiare con i suoi figli, impossibile metterlo in discussione con gli estranei.

La mente e il cuore possono parlarsi? Si chiedeva Elena aspettando sua figlia.

“Mamma, ciao, come stai?”

 Stephy era sciupata, le piangeva il cuore quando la vedeva spenta. A ventisette anni dovresti sorridere sempre.

“Sei magra,” nel dirlo Elena si morse il labbro.

“Guarda non iniziare, sono appena salita ma faccio presto a scendere e chiedere a Laura se posso stare da lei.”

“Ma, no cosa dici è che sono così contenta di vederti, ho già tutto pronto a casa”.

“Matteo dovrebbe arrivare a momenti. Perché non lo chiami? Cerchiamo di capire tra quanto arriva”.

Stefania, la guardò di sott’occhi prese la sigaretta se l’accese.

“Posso? Ti dà fastidio?”

“ Ma no, apri il finestrino. Il viaggio dura poco, ma dovevi proprio fumare ora?”

“Se ti dà fastidio spengo” nel dirlo schiacciò la sigaretta.

Ogni volta che la vedeva, le si stringeva lo stomaco, solo il suono della sua voce lo percepiva come aggressivo, la mortificava, ogni parola implicava un giudizio mascherato di disapprovazione nei suoi confronti. Si girò ad osservarla, le mani stringevano con forza il volante e lo sguardo fisso sulla strada segnavano un volto stanco almeno quanto il suo. Ma che cazzo aveva fatto? Si domandò.

Elena non capiva, ma perché aveva dovuto sottolineare in quel momento il fatto se fumava o no in macchina sua? Che cosa voleva dimostrare? Non poteva accettare che sua figlia vivesse la sua vita come voleva? Doveva per forza mascherare le sue domande. Eppure ci doveva essere un altro modo per comprendersi, la felicità ha senso solo nel momento che la condividevano, ma tra loro non c’era una vera condivisione.

Le emozioni sovrastavano la sua capacità di ascolto, un ascolto dell’altro che il tango ben le aveva insegnato, lasciarsi andare nel respiro.

Cos’è fare tango? Non è forse tango parlare senza parole?

Il silenzio, non è necessariamente il vuoto, crea chiarezza e nel percepire l’aggressiva esclusione dell’altro, comprendi il confine protettivo di te stesso.

Qualunque cosa lei avesse fatto in passato per creare una protezione simile in sua figlia, non avrebbe rinnegato la sua responsabilità ma la capacità di andare oltre comprendere e lasciare andare era qualcosa che poteva insegnare a se stessa e a lei non con le parole ma solo con l’esempio. 

Vi sono degli attimi nella vita di ognuno di noi dove smettiamo di diventare figli per evolverci in genitori ed è quando ci riconosciamo fragili.

Mi voltai e le sorrisi.

“Possiamo riprovare? “

“Non lo so mamma, credimi lo vorrei tanto, ma tu sei perpetuamente lo schema di te stessa”.

Entrammo in casa e qualcosa di veramente insolito ci attendeva, Matteo aveva già buttato la pasta e la stava scolando.

Ci guardò entrambe: “Giusto in tempo, belle donne sedetevi a tavola che ora vi servo subito.”

Stehpy , gli andò incontro un bacio veloce sulla guancia “Stai bene fratellone, le vacanze ti hanno donato”.

Mi guardai intorno, mi morsi il labbro, la cucina non era proprio come l’avevo lasciata ed il mio arrosto era rimasto in forno con le patate.

Mi azzardai a dire. “Avevo già preparato tutto.” Mi bloccai, improvvisazione, contaminazione e inclusione …. forse significava mettersi a tavola, ridere, bere e gustarsi la pasta anche se fosse stata scotta e soprattutto esclusa dal mio programma di dieta.

“Ma è mille volte meglio venir servita, l’arrosto lo teniamo per questa sera..”

“Io non ci sono, sono a fare un ape cena in centro con i miei amici” Matteo, mi guardò aspettandosi da me la solita replica … ma come sei appena tornato a casa ed esci nuovamente…

Stefania aggiunse “Sono a cena a casa dei genitori di Manu”.

“Direi che ora mangiamo la pasta prima che si raffreddi e all’arrosto ci pensiamo domani “.

La carbonara veniva proprio bene a Matteo, si sentiva la cucina con il cuore, vederli seduti accanto a me, anche solo per quei dieci minuti tanto era la fretta che avevano di mangiare velocemente per poi ognuno ritirarsi nelle proprie stanze.

No, non avrei lasciato quella voce malinconica disturbante, lasciarmi reinterpretare la realtà del presente con le lenti dell’amarezza. No, non ci sto, amo me stessa, amo la mia vita e amo i miei figli perché abbiano la loro.

Il cellulare suonò, riconobbi la suoneria di Francesca.

 Risposi: “Cara ho i ragazzi a pranzo ci sentiamo dopo”.

“Un attimo solo, ti ho inviato diversi messaggi, stiamo prenotando per stasera andiamo tutti in Villa Balestri, Milonga con ape cena sei dei nostri?”

Sorrisi, talvolta le cose si incastrano nel modo più imprevedibile, ripensando a come tutto può cambiare in un attimo, la percezione della vita, l’intensità della morte, l’accettazione folle di essere innamorati ci vuole un atto di armoniosa fede verso noi stessi.

“ Si sono dei vostri”.

LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio III

Terza puntata

Marco si chiese perché proprio quella mattina gli erano tornate in mente
le parole del Maestro Francesco. Non le aveva comprese allora:  “Amara è la vita in fuga.”
La sua non era stata una vita amara.
Guardiamo la realtà, aveva un lavoro stressante, sì, ma gli piaceva.
Possedeva una bella casa e una vita sociale soddisfacente.
Aveva interessi suoi ed una compagna con la quale sarebbe invecchiato, alla fine si sarebbero presi cura l’uno dell’ altro.
L’ insoddisfazione macinava lentamente all’ interno del suo stomaco come quei vecchi macinini del caffè, bastava poco a lasciare andare la tensione accumulata.
La vista del giorno che sorgeva, il suono del mattino, le sue passeggiate solitarie in montagna, le fotografie a scorci paesaggistici, il respiro ritmato del suo cuore nel silenzio della natura, erano strategie create  allo scopo di riequilibrare la sua ansia.

Due bei seni e lo sguardo intenso di occhi sinceri, anime solitarie, intimidite, strapazzate dalla fatica del vivere, completavano il cocktail di antidepressivi naturali creati ad hoc per lui.

In fondo, lui e Francesca non si facevano del male, reciprocamente, e nelle relazioni che instaurava, sentiva di donarsi quella libertà che per qualche convinzione sociale era definita tradimento.
Oggi però, si percepiva come una contraddizione vivente o un’amarezza sottile, forse nata dalla consapevolezza di non aver cercato con coraggio la reciprocità con Francesca.
Il tango, dopo anni e anni, lo stava mettendo davanti ai suoi limiti, lui vi si era avvicinato solo per  divertimento, terreno di caccia, e senza saperlo, alla fine si era lasciato catturare dal suo fascino e dalla lenta maturazione.
Cambiare se stesso ?
Troppo faticoso, forse era anche pronto a farlo, se avesse avuto accanto una donna d’amare…
Con questa convinzione che cullava il suo alter ego, ogni futile considerazione venne lasciata lambire nell’ inconscio, dimenticandosi, di ascoltare quella piccola parte di lui che coraggiosamente gli aveva riproposto un ricordo lontano.

 Francesca, una volta salita in macchina, si era completamente allontana dal pensiero di Marco, la guida l’aiutava a rimanere focalizzata sulla giornata che l’attendeva in ospedale. Il telefono di Francesca suonò. Guardò il display, era Elena.
Mentalmente non aveva tempo per Elena, eppure, come si fa tra amiche, a turno e, senza dirsi niente, in quel mutuo soccorso di abbracci e di ascolto, Francesca decise di rispondere.
«Hola! Buongiorno. Come va?»
«Ciao bene, sto facendo colazione. Hai sentito la novità?» le chiese Elena.

Francesca rise, le novità di Elena quasi sempre riguardavano pettegolezzi relativi alla vita privata di qualcun altro, non lo faceva con malizia, ma sembrava divenuto un modo tutto suo per rimandare le decisioni che doveva prendere sulla sua vita.
La risata di Elena era sempre stata contagiosa, al punto da essere la sua migliore arma di seduzione.
Purtroppo, neppure se ne rendeva conto, troppo ingabbiata nel suo ruolo professionale, faceva fatica a lasciarsi andare, vi riusciva solo quando inserita nella comunità della sua scuola di tango o in milonga, nell’atto di togliersi le scarpe ed infilare i tacchi, si trasformava in qualcuno che era lei ma nello stesso tempo no.

Francesca ed Elena si erano piaciute subito.

I loro sguardi si erano incrociati, perché l’una osservava i piedi dell’altra. Sia Elena che Francesca, utilizzavano il rituale dell’osservazione del piede come misura di valutazione dell’altro. Entrambe si vergognavano di questo metro di giudizio scelto, ritenendolo non solo superficiale, ma talvolta anche fuorviante, ciò nonostante rimaneva la convinzione che le scarpe e i piedi nudi, da sempre fossero fonte di importanti informazioni sulla persona presa in esame.   L’osservazione, attenta e puntigliosa, condizionava la scelta di un’amicizia divenendo più o meno intima.

Scopertesi a guardarsi rispettivamente, Francesca aveva cercato di ovviare alla situazione, allontanando lo sguardo e fermandosi ad allacciare il cinturino. Con la coda dell’occhio, aveva colto il mezzo sorriso sornione di Elena; a quel punto, la risata di Elena, squillante e sfacciata aveva tolto entrambe dall’imbarazzo.

«Ordunque che nuove mi porti?» chiese Francesca.

Elena non se lo fece ripetere due volte.

«Walter e Roberta si sono lasciati. Te lo aveva anticipato, ultimamente in Milonga arrivavano con visi tirati e non ballavano quasi mai con nessuno».

«Ma dai, non posso crederci, ma tu come lo hai saputo?» chiese con curiosità Francesca.

«Da nessuno, ho visto con i miei occhi. Sono andata a Vicenza, con Andrea e Chiara, al Gattomatto, e chi ci trovo? Walter che balla con Marialisa, tutta sera. Una milonga fuori mano, non conosciuta, sicuramente, volevano mantenere l’anonimato.»

«Ma dai! Nel mondo del tango, non sono mica così ingenui. Ti sembra poi che Marialisa sia una che si nasconda? Era inevitabile. Hai presente Roberta, troppo accondiscendete, surclassata dalla presenza di lui. – Dove la metteva lei stava, sempre in ordine e perfetta, un bel corpo, un bellissimo sorriso ma a ballare, non era certo all’altezza di lui.»

Elena dispiaciuta per Roberta, riconosceva un fondo di verità nelle parole di Francesca, ma vi leggeva anche una dose di repressa invidia per una posizione di centralità che per quanto ambigua Roberta aveva goduto in questi anni con Walter, Francesco ormai da molto tempo non le concedeva più neppure quello.

Roberta non si era resa conto dell’egoismo un po’ narcisista di Walter.

Walter in quei cinque anni di relazione, aveva cercato di gestirla nel modo più sincero che poteva. Ma lei, aveva conosciuto la moglie di Walter, Silvia, sapeva che di questa donna non ne era profondamente innamorato. Invaghito, anestetizzato dalla dolcezza e bellezza di Roberta, orgoglioso e caparbio nel non voler ammettere di aver sbagliato, questi erano gli elementi fondamentali che tenevano unita la coppia.

Elena aveva osservato in silenzio e le tensioni tra loro, non erano solo un aggiustamento nell’unione di vite professionali e private, per quanto nelle foto apparissero sereni e felici, mancava la rinuncia del proprio bene per l’altro.  Walter non si era volutamente dato il tempo di elaborare la separazione.

La scelta affettiva di Roberta ed il lavoro estenuante di questi anni, gli avevano permesso di ricontrollare la sua vita ed assorbire gradualmente il grande vuoto lasciato da Silvia, la sua compagna di vita.

Meglio un amore dove era lui a governare le emozioni che viceversa.

Elena aveva provato un’infinita tenerezza quando aprendo facebook le era comparso il post di Roberta di pochi giorni prima. Sorridente con un’amica, sottolineava la capacità e la dignità di non scendere a compromessi e forse pensava Elena, in quella frase, ella aveva anche voluto difendersi dalle malelingue e da, quei pensieri oscuranti alla sua felicità di coppia.

Probabilmente, avvertiva, senza legittimarsela, quella leggera ansia nata dall’insicurezza di una relazione basata su una forte attrazione fisica e condizioni lavorative favorevoli. Sapeva a cosa sarebbe andata incontro, ma lo aveva sempre voluto ed ora che il conto stava per presentarsi alla cassa, le assaliva la rabbia dell’impotenza.

Il gioco ne era valsa la candela?

Amarezza, amarezza di compromessi, Roberta ne aveva ingoiati diversi, per assaporare quel brivido di entrare in milonga al braccio di Walter, il posto riservato nei locali, lo sguardo invidioso delle altre donne, il sorriso compiaciuto degli uomini.

Le erano state offerte su un piatto d’argento l’opportunità di una crescita personale e artistica della quale da sola non avrebbe mai neppure varcato la soglia.

Eppure ora, tradiva non solo sé stessa, ma tutte le donne, risplendeva di luce riflessa, non si accorgeva di come l’immagine di geisha servizievole e solo apparentemente conturbante, avesse creato un fascino dal potenziale seduttivo, attraverso il quale era riuscita fino ad allora ad incantarlo e tenerlo legata a lei.

Roberta, senza accorgersene, perdeva quella indipendenza e sicurezza in sé stessa, lentamente le sue opportunità di lavoro ruotavano sempre e solo intorno a lui.

Si era adattata ad un regime alimentare rigido e ad un allenamento fisico costante per rimodellare il suo corpo in base alle aspettative di Walter.

Lo aveva accompagnato nelle occasioni ufficiali, stando un passo indietro, sia come partner nelle esibizioni, sia come insegnante nelle lezioni di tango.

Non si era risparmiata in niente, ci aveva creduto con tutta sé stessa e nonostante la grande differenza di età, aveva accolto i momenti di silenzio e di riposo che lui necessitava, proteggendolo da tutti, rinunciando silenziosamente alla sua esuberante giovinezza.

Un sassolino, tutto era iniziato casualmente, comprese la non sincera reciprocità.

Aveva detto basta, ma poi in Walter, che si era sentito rifiutato, ma non era riuscito ad ammetterlo a sé stesso, perché questo gli avrebbe fatto realizzare il fallimento, della sua relazione, qualcosa cambiò. Automaticamente la sua psiche, si era attivata.

Nel subconscio, il dolore dell’abbandono creava quella tensione emotiva che lo portava al piacere, alimentando il bisogno di Roberta.

Lui, Walter, l’uomo dal fascino silenzioso e conturbante, aveva la capacità di erotizzare la parola, quel chiacchierare intimo profondo e attento, riusciva ad alimentare l’ attesa, una lenta seduzione, giocata sull’emozioni di passionalità che così bene sapeva creare, proprio come gli accadeva quando preso dalla creatività del ballo trasmetteva le stesse vibrazioni a chi lo stava guardando mentre si esibiva.

Roberta lo sapeva bene, era sempre stata consapevole, come solo una donna innamorata sa esserlo, di non essere profondamente amata da lui.

Quello di cui non era consapevole, era di essere caduta nel tranello più antico del mondo, riflettere all’esterno un’immagine di serena gaiezza non vera di se stessa.

Le sue affermazioni di dignità erano parole prive di azione.

«Sai, non credo che Roberta ancora lo sappia» affermò Elena.

«Non mi sorprenderebbe affatto, a lasciarsi ufficialmente ne avrebbero da perderci entrambi. Lui dovrebbe ammettere, o che non era innamorato di lei o che non lo era della prima moglie. Passare da una relazione all’altra, senza neppure il tempo di un caffè, non è certo segno di maturità e neppure di un uomo di sentimento e di valore. La sua immagine pubblica ne risentirebbe troppo, dovrebbe togliersi la maschera e risultare quello che è un opportunista.»

Le parole crude di Francesca avevano innescato in Elena un certo turbamento.

«Fermati Francesca, non sono d’accordo su quello che stai dicendo di Walter, lo giudichi senza saperne niente. Inoltre stai sovrapponendo cose tue che forse riguardano la tua relazione con Francesco ma non la persona di Walter. Un uomo confuso, forse sì, ma chi è che non lo è oggi, ma soprattutto non prendi inconsiderazione quello che ha sofferto.

Forse ho visto un inizio di una parentesi tra Walter e Marialisa l’altra sera. Io ero presente, li ho osservati attentamente.

L’affiatamento di quei due mentre ballavano era palpabile, creava un’energia di comunicazione con il tango.

Diamo tutti per scontato che una relazione sia per sempre.

Ma non lo è.

È la più grande costrizione sociale che ci siamo imposti senza rispettarne la natura, non riconoscendo e legittimando un sentimento d’amore, come qualcosa che si rigenera e si rinvigorisce, perché si sceglie di amare. Probabilmente Roberta e Walter hanno vissuto un innamoramento intenso e vero, ma non amore.

Il vero problema è l’ipocrisia che accettiamo, nel momento che comprendiamo di esserci sbagliati.

Vendiamo i nostri sogni.

Davanti alla paura della solitudine e della vecchiaia mascheriamo il sentimento d’amore per qualcos’altro.

Fosse vero che Roberta riuscisse a lasciarlo per prima.

Invece rimarrà, accettando anche tutte le sue nuovi brevi o lunghe ed intense passioni, sapendo che alla fine Lassie torna sempre a casa.»

«Che palle che mi fai venire, io ho bisogno di leggerezza la quotidianità di un amore toglie la leggerezza…e sto per entrare in Ospedale.»

Francesca rallentò era in coda all’uscita della tangenziale.

«Ti lascio ora. Ne riparliamo sabato.»

«Va bene, mi raccomando tienitelo per te vedremo nelle prossime milonghe che cosa accadrà. Certo che Walter e Marialisa… ma come si saranno conosciuti?».

A conversazione chiusa, Francesca si sentì infastidita, lo stomaco le si era leggermente contratto.

Si disse che doveva smetterla di rispondere alle chiamate di prima mattina di Elena.

Le piaceva molto quando sapeva con leggerezza risultare frivola, ma la sua era una frivolezza acuta, tanti non si rendevano conto della profondità dei sentimenti espressi da Elena.

Non era un aspetto della sua personalità immediata, ma Elena nell’analisi degli altri, nel confrontarsi con se stessa e nel costringerti a riflettere toglieva ogni velo protettivo, mettendo a nudo la tua vulnerabilità.

Non si rendeva nemmeno conto di farlo, ma la comunicazione era priva di quei doppi binari che gli adulti utilizzano, sembrava quasi che la capacità di visione sulle cose fosse rimasta ferma all’età della fanciullezza, una trasparenza lineare, alla quale si sommava la profondità di una vita trascorsa.

Tutto ciò era disarmante e contemporaneamente complesso.

Vostra Rosaspina Briosa®️

MARIA CARUSO: Il tango, la cura dell’anima, nell’abbraccio si rinasce

Le parole scorrono veloci quando si parla di argomenti a noi cari, l’ esperienza si accumula e diventa occasione per riflettere.

Maria Caruso ci guida nella comprensione del Tango, un contributo significativo la sua adesione alla Maratona Tangoroyal2021 Genova: “La speranza in un abbraccio” a sostegno dell’Associazione Alzheimer Liguria.

Buon ascolto

Vostra Rosaspina Briosa ©️

Rosaspina Briosa – MARIA CARUSO – “La speranza in un abbraccio”

La speranza in un abbraccio (facebook.com)

Alzheimer Liguria – Post | Facebook

LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio II

Seconda puntata

La frenesia del risveglio fu il primo pensiero con il quale si confrontò Marco.

Il letto vuoto acconto a sé. La stanza leggermente schiarita dalla luce del mattino. I vestiti accumulati dalla sera prima, il pensiero delle carezze di Elena.

I primi 5 minuti determinano la riuscita della giornata.

Richiuse gli occhi e lentamente la sua mano percorse con leggerezza, dall’alto verso il basso e viceversa, l’intera lunghezza del braccio.

I piacevoli brividi lo cullavano, nella carezza.

Il sorriso si increspò sul suo viso, non chiedeva molto quella mattina, solo la forza di credere ancora un po’. A che cosa?   La coccola che si stava regalando venne interrotta bruscamente.

Il caffè è pronto”.

Né un buongiorno, né un bacio.

La quotidianità della vita con Francesca gli tolse il sogno del risveglio.

Si alzò e a sua volta non rispose, si diresse verso il bagno.

 La routine quotidiana, l’impegno ormai assunto nei confronti di Francesca, la donna con la quale viveva da quindici anni, non gli impediva di instaurare un’intimità profonda con altre donne.

Sentirle definire dentro di sé in carnali e non carnali, donne espressioni del suo desiderio erotico,   volgarizzava e riduceva l’arte e l’ingegno della sua seduzione, quando in verità era una vera dichiarazione d’amore verso la vita.

Ritrovò, ripensando ad Elena, la poesia che con Francesca, non sentiva più da lungo tempo.

Il riflesso del suo viso allo specchio lo bloccò, un tremore, durò una frazione di secondo, ma abbastanza da costringerlo ad appoggiare le mani al lavandino per sostenere il suo peso.

Nella sua mente rilesse l’ultimo messaggio di Elena: “Saperti sveglio accanto a lei che prendi il caffè e le sorridi, mi disturba, nella dimensione in cui gli ideali rendono coerente la mia vita”.

Le mancava, ma non poteva alla sua età pensare di abbandonare tutto per una persona appena conosciuta, per la quale, si, provava una profonda affettività; legata al piacere del sentire nella voce di Elena la reviviscenza di una sessualità assopita, di cui lui ne era l’artefice nel risveglio.

L’ aveva corteggiata con raffinata delicatezza, la stessa identica attenzione avuta per il suo braccio, in quella languida carezza mattutina.

Il loro primo incontro, un bacio al cioccolato.

Non capiva, l’incapacità intellettuale con la quale rinunciava a quella gioia terrena, che per pochi anni ancora la vita avrebbe loro concesso.

Fece scorrere l’acqua fresca e si bagnò il viso, nella testa sentì risuonare la musica di Bizet e la sua Carmen gli mormorava solleticandogli l’orecchio “ l’amour, l’amour est un oiseau rebelle”.

Elena lo avvisò “mi definisco una seduttrice di anime”.

Il sesso è solo la più piccola parte del potere di una donna, può ubriacarti intensamente anche per anni, ma la comprensione dell’accoglienza della tua anima senza giudizio, accompagnata dal calore della sessualità può far impazzire un uomo ed Elena lo stava facendo impazzire.

Francesca, gli sorrise quando entrò in cucina: “Il pane è appena tostato come piace a te, com’è andata la lezione dal maestro Francesco ieri sera?

Un’ovazione di potenza, la grandeur del Tango, il solito discorsetto, masticato e rimasticato, ma ha sempre il suo appeal sui principianti.

Rise “Comunque entra perfettamente nella parte, al punto che pensi che sia vero.

Mi è spiaciuto non esserci, ma dovevo assolutamente completare le slides per il seminario, a proposito vuoi venire con me? Starò via tutto il weekend.

Potrei, devo vedere come si conclude la trattativa con la PackEnergy, siamo ad un passo per chiudere il contratto.  A Mantova siamo già stati diverse volte.

Si passò la mano sui capelli un gesto che non sapeva di fare coscientemente, ma agli occhi di Elena assumeva il giusto significato, stava mentendo, non aveva nessuna intenzione di accompagnarla.

 Lo sapeva, eppure si perdeva nel suo sguardo dolce e delicato, il suo sognatore concreto.

Si alzò e gli posò un bacio sulla fronte e gli susurrò “Grazie, per ieri sera“.

Uscì dalla cucina in tutta fretta, doveva essere all’Ospedale entro le nove ed era già in ritardo.

Marco, sospirò, quando faceva così si sentiva pagato, era talmente umiliante, ma lei, neppure se ne rendeva conto.

Lei dominava, il suo saluto falso, ormai presa dagli impegni con l’ospedale i suoi studenti, lui diveniva l’uomo di casa funzionale negli aspetti organizzativi, fuori dal letto e dentro il letto.

Il tango li aveva uniti all’inizio della loro storia d’ amore, una passione travolgente tanto da trovare la forza per interrompere il suo primo matrimonio. Francesca, aveva abbandonato la sua Roma per trasferirsi a Milano e progettare una vita assieme.

Riprese il caffè, non capiva la distorsione angosciosa di questo vuoto interiore, eppure guardandosi attorno, non c’era niente fuori posto, tutto era in ordine. Ordine: la parola magica con la quale si tranquillizzò.

Passava ore a riorganizzare gli spazi e grazie alla sua predisposizione manuale a creare dove fosse necessario soluzioni di contenitori, in questo modo, ogni cosa aveva una sua collocazione.

Perché, si domandò, le donne non potessero adeguarsi ad un ordine prestabilito in natura, ognuna di loro aveva una fragranza unica, di una bellezza tale. Eppure non se la riconoscevano, rimanevano bloccate nei bozzoli di seta, non volavano; lui con le sue parole era in grado di gratificarle, vederle librarsi nel cielo, lo appagava del bisogno di umanità.

Le amava profondamente tutte, ognuna in modo diverso, risaltando le qualità intrinseche della loro personalità, soddisfacendo istintivamente le loro fragilità, le fiutava come un cane da tartufi, il suo naso e la sua bocca sceglievano per lui. 

Il tango nella sua mutualità ebbe all’inizio un effetto energizzante, sia su di lui che su Francesca. Ritrovarono un nuovo equilibrio, ascoltarsi attraverso la musica gli permise di riscoprirla, l’impegno settimanale, il mettersi in gioco entrambi, qualcosa si fece strada lentamente, nell’intimità dei loro pensieri si sentirono diversi.

Il cambiamento non fu evidente a tutti, ma il maestro Francesco lo intuì.

Ricordava ancora come fosse ieri, quella conversazione, avvenuta alla fine del corso di sei anni fa.

Tutto era iniziato con un messaggio su WhatsApp, il maestro gli chiedeva di fare da supporto per una nuova allieva del corso intermedio.

Scoprì che essere ballerino uomo nel tango è una grande risorsa per il maestro ed una grande opportunità per un allievo.

I primi anni, se procedi spedito nell’apprendimento, hai l’occasione di duplicare le ore di studio gratuitamente.

 Questo sodalizio, comune tra allievo e maestro che si instaura all’interno dei corsi di tango, ha poi un risvolto: quando raggiungi un livello intermedio o avanzato nel tuo studio personale, ti viene richiesta la disponibilità in ore, per inserire nei corsi donne senza partner. Può diventare in alcuni momenti pesante da gestire.

Fare da supporto per permettere l’iscrizione ad una donna senza ballerino è un vero atto di generosità soprattutto quando l’inserimento è di una principiante, pertanto un livello intermedio era interessante e piacevole.

Ancora più piacevole fu conoscere Carla.

Fu sorpreso a fine lezione sentire la mano sulla spalla e la voce di Francesco chiedergli, se avesse un momento, per fare due parole.

Due parole” non è il termine giusto da associare a Francesco.

Non lo sopportava quando faceva così, sconfinava nei ruoli, si poneva come maestro di vita ed ora era certo che avrebbero avuto una conversazione complessa.

In effetti fu così, ma la profondità di quello che si dissero quel giorno, lo vide chiaramente solo ora.

Il tuo istinto è cacciatore, lo si pensa e lo siamo profondamente convinti tutti, io per primo. Questo è quello che ci viene insegnato. Questo è quello che socialmente abbiamo costruito nei secoli. Non sono qui a dirti o a farti la morale, ma Carla lasciala stare.

Mi misi a ridere, mi sentì offeso: “Ma scusa cosa dici?   A me, ma tu sei il primo che prendi le misure a tutte le new entries.”

Primo, io sono libero e tu no. Secondo, che ne sai che sia un modo mio per capire anche la persona che ho davanti. Cerco una compagna, a nessuno piace stare solo. Il mio è un messaggio chiaro e diretto potrà non piacerti, ma non uso due pesi.”

Beh, trovo più onesto dirmi che ti interessa. E chiudiamo qui il discorso, perché se vai avanti mi offendi, ora non si può più ridere e parlare con una persona interessante per il piacere della conversazione, ma ti rendi conto almeno di quello che stai blaterando?”

Francesco, si prese il volto tra le mani, si tirò indietro i capelli, era uno sforzo tremendo contenere la rabbia che gli montava dentro, quella voce le parole di Marco, rivedeva la porta che sbatteva sua madre in cucina, il silenzio di lui bambino, non intervenne, non reagì.

Cristo, ma non lo vedi, dove pensi che ti condurrà questo tuo modo di fare, il tango vi ha unito, vi ha dato tanto sia a te che a Francesca, vuoi buttare via tutto?  È su te stesso che devi riflettere, il tuo asse lo devi centrare da solo.  Sai che ti dico, non puoi scappare sempre, in fuga la vita diventa amara.”

Rosaspina Briosa ©️