“RITRATTI di Rosaspina Briosa”: FABRIZIO MOCATA: Maestro di sogni musicali

Fabrizio Mocata, compositore e pianista conosciuto ed apprezzato sia in Italia che all’estero, da Montevideo a Buenos Aires, per il suo formidabile talento fluido e versatile, ci accompagna tra le note del jazz e del tango alla scoperta della creatività musicale.

Raccontarsi con spontanea semplicità è il dono che solo i grandi hanno.

Vissi d’arte.

Buon ascolto dalla Vostra Rosaspina Briosa®️

Intervista Fabrizio MocataRosaspina Briosa

https://fabriziomocata.it

https://it-it.facebook.com/mocatapianohttps://www.instagram.com/fabriziomocata

Fabrizio Mocata e Fabián Bertero Cruzando Aguas

RITRATTO AL FEMMINILE LE SFUMATURE INTENSE DI ROMINA GODOY: il rosso passione

Romina Godoy by endlessChic

Vivere la vita con convinzione e speranza nel cuore, questo è il messaggio forte di Romina Godoy.

La speranza in un abbraccio, tale è perché dato spontaneamente, un dono prezioso.

Ritrovare in noi questo benessere interiore, per poterlo condividere con altri, è possibile nella dimensione in cui riusciamo ad ascoltarci.

Il tango nel suo abbraccio ci manca, manca a noi tutti.

Siamo disposti a valorizzare la bellezza dell’Altro solo quando riconosciamo prima la nostra.

Una verità scomoda, un limite umano, come si superano i nostri limiti?

Guardandoli senza più temerli, riacquistando fiducia nel prossimo e comprenderci con un sorriso.

Romina di sorrisi in questa intervista ce ne ha regalati tanti.

Buona visione e soprattutto buon sorriso a voi!

Vostra Rosaspina.

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

Rosaspina Briosa intervista Romina GodoyLa speranza in un abbraccio

Romina Godoy & Leandro Palou – WRT 2012

Cuore Solidale

Romina Godoy

Alzheimer Liguria

La speranza in un abbraccio Evento solidale Genova

La speranza in un abbraccio

LuTangoPhoto Fotografo ufficiale della maratona Royal Tango 2021

TURANDOT E PUCCINI, amare è rischiare di essere rifiutati

Turandot, l’ultima opera di Puccini è il suo lavoro più emblematico. Ogni tassello della composizione, osservato a ritroso con le informazioni analizzate e ricostruite da più storici, ci porta a notare gli intrecci tra la vita artistica e personale del Maestro Giacomo Puccini, al punto tale, che il paragone di ciò che questo componimento artistico più di altri, ha rappresentato per il Maestro, è plausibile fino a poter proporre il seguente confronto con il tango : “Turandot è la tanda perfetta, la connessione armoniosa tra anima e respiro nella musica”.

Senza saperlo Puccini cercava questo e come ogni tanguero inizia la ricerca con sé stesso nella musicalità della vita, lui che era il maestro dei maestri, si perse nella selva oscura come accade a Dante.

Il respiro della Turandot lo aveva messo difronte alle sue contraddizioni di uomo e l’artista che era in lui, avvicinandosi alla fine, sia dell’opera che della sua vita, voleva redimersi tramite il perdono.

 La consapevolezza di voler lasciare un messaggio ai posteri, un vero e proprio testamento dal duplice significato; uno musicale, di collegamento tra la chiusura di un’epoca, il melodramma lirico come fino ad allora era stato conosciuto, e l’apertura di una nuova musicalità. Un input per le generazioni future, il secondo messaggio era personale e non leggibile a tutti, ma nascosto tra la tessitura della partitura musicale e la trama del libretto; tale era la consapevolezza di tutto ciò nel Maestro da non riuscire a concludere Il finale.

L’opera era praticamente già ultimata nel Marzo del 1924, Puccini aveva portato a termine una delle arie più toccanti ed impegnative “tu che di gel sei cinta” intonata dalla serva Liù prima della sua morte.

Con il canto di addio Liù rappresenta l’archetipo dell’amore femminile, dolce ingenuo e puro, si sacrifica e rinuncia alla sua vita per Calaf.  Il gesto segna profondamente l’animo interno di Turandot dando il via al suo cambiamento interiore. A questo punto manca solo il finale, ma in 8 mesi Puccini non riesce a completarlo, questa volta è il tempo in modo inesorabile a decidere per lui.

Puccini morì all’età di 65 anni, il  29 Novembre del 1924 in modo molto repentino e del tutto inaspettato.

 A seguito di una diagnosi tumorale alla gola, da uomo d’azione e concreto quale era, intervenne tempestivamente facendosi operare a Bruxelles.

 L’operazione riuscì, ma a pochi giorni di distanza un arresto cardiaco improvviso ne causò la morte.

Lasciava 22 fogliettini scritti in ospedale, pieni di cancellature e ripensamenti, un enigma che in questi anni ha messo alla prova diversi compositori, prima di tutti Franco Alfano al quale venne dato l’incarico di completare la partitura musicale del finale della Turandot con l’approvazione di Arturo Toscanini.

 Sappiamo che prima di partire per Bruxelles, Puccini ebbe un incontro con Toscanini, testimone delle sue riflessioni ed esitazioni sull’opera, sentiva e temeva di non poterla concludere, tanto che avendo designato lui come direttore della prima, scherzando avevano concordato il finale in caso della sua morte: alla prima, dopo l’aria di Liù, l’opera si sarebbe conclusa e Toscanini avrebbe in teatro declamato il suo epitaffio.

Puccini si era reso conto analizzando la logica della trama di Turandot, seguendo lo sviluppo armonioso e consequenziale degli avvenimenti e la struttura psicologica dei personaggi, che il cambiamento di Turandot era troppo repentino e non era neppure sincero l’amore di Calaf. Questa disarmonia l’avvertiva anche nell’espressione musicale, tant’è che non era soddisfatto.

Entrò in crisi, lui attento osservatore del libretto e profondo conoscitore del mondo femminile. Le donne le aveva amate denunciando l’ipocrisia di una società borghese che non riconosceva a loro diritti e protezione concreta, (basti pensare alle trame di Butterfly, Manon Lescaut). Si rese così conto che lui stesso stava tradendo l’essenza stessa di Turandot.

Turandot è tradita da tutti e la sua crudele freddezza viene enfatizzata da superbia e distacco, sono strumenti che utilizza per proteggersi, creando un distacco dissociativo tra lei, il suo intimo e gli altri.

E’ tradita da suo padre che non le riconosce il diritto della scelta di non amare.

E’ tradita dal suo popolo che non la comprende, la teme, per la sua sete di morte.

E’ tradita da Calaf che l’ama nonostante veda nella sua bellezza la sua crudeltà e neppure davanti all’atto più vile che lei compie, togliere la vita ad un’altra donna, la serva Liù, rinuncia a lei.

Liù, una figura femminile, pennellata musicalmente con una delicatezza tale che per quanta tecnica e genialità Puccini avesse, può nascere solo da un sentimento riconosciuto e provato per un’altra donna in vita da lui stesso. Liù ama segretamente, profondamente e con consapevolezza Calaf, al punto tale di anteporre la felicità di lui alla sua, non rivelando il suo nome e nel silenzio accetta la sua morte.

E’ innegabile il legame tra il personaggio di Liù e la figura femminile di Doria Manfredi, la giovane cameriera accolta in casa Puccini ancora ragazzina, crescendo diventa una giovane donna, bella e affettuosamente legata alla famiglia che l’aveva accolta. Possiamo immaginar che provasse per Puccini, probabilmente un sentimento di puro innamoramento, tanto intenso quanto sincero. Non ci è dato di sapere se contraccambiato o no, sappiamo però che la gelosia e gli abusi psicologici di Elvira, la moglie di Puccini, portarono la giovinetta all’età di 20 anni al suicidio.

l legami tra Puccini, Elvira e Dora, sono estremamente sovrapponibili all’intreccio di emozioni che l’uccisione di Liù da parte di Turandot provoca, legando così i ruoli dei personaggi principali, Calaf, Turandot e Liù alla stessa vita reale di Puccini.

Nasce probabilmente da qui la grande difficoltà, tutta interiore con se stesso, di terminare l’opera.

 Turandot / Elvira é tradita da Puccini, che nel mistero della favola enfatizzato dall’ambientazione orientale, imperniata da simboli esoterici, la rende prigioniera di se stessa: traumatizzata al punto tale di vivere come flash-back la violenza perpetuata nei confronti di una sua ava, come sua, non le concede l’indipendenza psicologica dalla figura maschile.

Turandot è prigioniera della volontà maschile, come lo era Elvira, al punto tale che per potersi liberare deve diventare crudele, la sua è una prigione dorata. Se Calaf vincesse la prova di svelare i tre enigmi diverrebbe il suo nuovo guardiano, da qui la lotta interna di Turandot.

Turandot non si salva da sola, attraverso un percorso di consapevolezza e di maturità dei sentimenti, affrontando le sue paure e comprendendo che il “qui e ora” non è il passato.  L’ amore di Calaf, non è un amore liberatorio e maturo, manca il pentimento di Calaf, (manca il pentimento di Puccini), riconoscersi come uomo egoista che ha voluto nel proseguire la sua scelta d’amore o di ambizione, non tener conto delle conseguenze: il sacrifico della vita di Liù. Amare significa rischiare di essere rifiutati, è il passaggio di maturazione culturale e sociale necessario per riconoscere la vera indipendenza alla donna.

 Rispettare il suo rifiuto.   Questo è il messaggio rivoluzionario che come ultimo omaggio, Puccini se avesse potuto avrebbe scritto, un’aria cantata da Calaf, dove dichiarava il suo pentimento e si assumeva la responsabilità della morte di Liù, come lui forse era riuscito a perdonarsi all’ultimo della tragedia di Doria, riconoscendo che attraverso il suo comportamento aveva spinto Elvira ad un amore ossessivo nei suoi confronti.

Questo anello mancante, che oggi come Rosaspina e come donna mi sento di ipotizzare, darebbe una lettura ed un’armonia diversa al finale, toglierebbe allo spettatore quella sensazione di “vissero felice e contenti”, espressa troppo velocemente e in modo troppo superficiale, tramite termini che non appartengono a Puccini.

La maturazione di Turandot, da gelida Principessa a compagna di vita, passa attraverso un profondo rinnovamento e nasce da due eventi importanti: il pentimento di Calaf (nell’opera manca) e il sacrifico di Liù.

Sono essi a far si che Turandot non tema più l’altro, non lo veda come una minaccia, riuscendo così a riconosce la sua fragilità umana. Questo è il passaggio spirituale e psicologico che Puccini intuisce nel letto di morte cerca di trascriverlo musicalmente in quei famosi 22 fogli.

Un messaggio rivoluzionario nell’essenza stessa, avrebbe colpito al cuore un concetto di mascolinità, dove l’uomo è visto positivamente se ama e dichiara la sua passione, senza tener conto delle conseguenze (tradimenti, delitti d’onore, matrimoni imposti, rapimenti e violenze sessuali nascoste), avrebbe portato a riflettere e far tremare una società come non lo era stato neppure con la figura di Pinkerton in Butterfly.

Da qui in poi la trama si ricollega perfettamente, però c’è un “ma”, l’ultimo mistero nel mistero, quello al quale non potremmo mai dare una risposta se non come atto di fede.

C’è un “ma”, che appare all’ ultimo istante, se l’amore è autentico, e questo lo è, tra Turandot e Calaf lo é, ha la forza di quel passaggio di crescita che nasce solo dal confronto su un piano di parità tra uomo e donna.

Lo sguardo che si rivolgono l’un con l’altra è autentico ed il bacio che si scambiano avviene su un piano di reciproco perdono, hanno mentito a se stessi, hanno mentito agli altri, ma ora possono avviarsi insieme uguali nella luce che porta serenità e pace.

Vi è un tango il cui testo poetico parla di un amore non riconosciuto perché offuscato dal divenire della vita, racconta nelle sue parole un amore reale, difficile ed intenso che vi racconterò la prossima volta.

Gricel

Vi anticipo il testo delle parole in Italiano perché incornicia perfettamente questo post e getta una ulteriore luce nel legame tra poeticità lirica e poeticità tanguera.

Non ho mai dovuto pensare
a conquistare il tuo cuore
tuttavia ti ho cercata
fino al giorno che ti ho trovata
e con i miei baci ti ho stordita
senza che mi importasse della tua bontà…
la tua illusione fu di cristallo,
si ruppe quando partì
poiché mai, mai più tornai…
Quanto amaro fu il tuo dolore!

Non ti dimenticare di me,
della tua Gricel,
mi dicesti baciando
quel Cristo
ed oggi che vivo nella pazzia
perché non ti ho dimenticato
neanche ti ricordi di me…
Gricel! Gricel!

Mi mancò dopo la tua voce
ed il calore del tuo sguardo
e come un pazzo ti ho cercata

ma mai ti ho trovata
ed in altri baci mi sono stordito…
Tutta la mia vita è stata un inganno!

Che ne sarà, Gricel, di me?
Si è la legge di Dio
perché le sue colpe ha già pagato
chi ti ha fatto tanto male.

Come sempre buon ascolto e buona visione.

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

Ghena Dimitrova – Puccini, Turandot – “In questa reggia (Turandot)”
Renata Tebaldi – Puccini, Turandot – “Tu che di gel sei cinta (Liù)
Mario Del Monaco – Puccini, Turandot – “Nessun dorma (Calaf)”
El Polaco Goyeneche – letra Jose Marìa Contursi , Gricel

FONTI:

Fonti:

Michele Gerardi Giacomo Puccini: l’arte internazionale di un musicista italiano

Michele Gerardi Turandot: l’ultimo esperimento di Puccini

Articolo di Michele Bianchi : Dalla Turandot di Gozzi/Schiller/Maffei alla Turandot di Giacomo Puccini – (promoLucca Editrice, Lucca 2006, pp15-30)

Altervista: sempre libera Turandot di Puccini: l’opera senza fine, la fine dell’opera.

TEATRO COLÓN l’anima dell’Argentina: LIRICA e TANGO

Teatro Colón

Vi è un luogo, dove lirica e tango si incontrano, si comprendono e si rispettano.

Le prime pietre ne forgiano il carattere e la bellezza, simulacro di quella architettura rinascimentale italiana, fatta di linee eleganti ed equilibrate, che ci hanno resi famosi nel mondo dal Bernini al Palladio.

Parlo del Teatro Colón di Buenos Aires, la cui realizzazione fu iniziata nel 1889 per opera di due architetti Italiani, Francesco Tamburini e Vittorio Meano, che ne vedono la nascita, ma non la realizzazione finale, completata nel 1908.

Il teatro Colón trasuda passione ancor prima della sua progettazione, quasi che il destino dell’uomo che ne disegnò la prospettiva architettonica, Vittorio Meano, con la sua vita rocambolesca e passionale, fosse predestinato a lasciare il suo nome legato a quelle pietre.

 Un avvincente romanzo storico “C’era un italiano in Argentina”, scritto da Claudio Martino e Paolo Pedrini, delinea non solo un’epoca storica e catapultandoci nella Argentina di fine ‘800, ma fa luce ad una vera storia di intrighi, potere, soldi e tradimenti dietro alla costruzione del Teatro Colón pari all’omicidio di  Michele Sindona per il crack del Banco Ambrosiano dei giorni nostri.

Francesco Tamburini, noto ed apprezzato architetto in Argentina, durante una visita a Torino ha modo di apprezzare i disegni innovativi di Vittorio Meano e lo invita a partire con lui per l’Argentina.

Meano accetta di buon grado, perché questa nuova vita gli permette di coronare il suo sogno d’amore, parte con la compagna Luigia che, pur di seguirlo, abbandona marito e figlio. Possiamo solo immaginare il dolore straziante dell’abbandono del figlio che quella donna provò allora in una società che non solo la condannava moralmente per aver scelto la propria felicità, ma le precludeva addirittura il diritto di madre; i figli erano tutelati per legge come proprietà del padre.

La bellissima Luigia parte con Meano, non sapendo a quale tipo di vita sarà destinata, probabilmente non immaginava che presto Meano avrebbe raggiunto grazie al suo talento, il successo sociale e uno stato di ricchezza ragguardevole.

 La morte prematura di Francesco Tamburini nel 1891, causato probabilmente dal forte stress dovuto al tracollo finanziario per la crisi inflazionistica che colpi l’Argentina, lascia Vittorio Meano a capo dello studio di architettura più importante di Buenos Aires.

L’ architetto Meano, modifica ed apporta migliorie sostanziali al progetto iniziale di Tamburini, si avvale della collaborazione per i lavori della impresa di costruzioni Ferrari che dopo pochi anni fallisce. Responsabile dei lavori maneggia i fondi destinati alla costruzione e li distribuisce, il sospetto di illeciti si fa strada, la stampa e l’opinione pubblica chiedono chiarezza.

Ne nasce un processo che lo vede unico imputato e responsabile di corruzione complessiva.

Oggi lo definiremmo un sistema di tangenti.

Meano non ci sta, lo fa capire probabilmente ai suoi amici di merenda, poco dopo, lo scandalo, assassinato per mano dell’amante della bella Luigina.

Una storia di passione dove il coltello è l’arma con la quale si regolano i conti tra uomini, avrà infiammato l’opinione pubblica distogliendo l’attenzione sui possibili politici corrotti, un dramma verdiano, amore tradimento e sangue, un richiamo alle storie cantate dal tango, questo è il sangue che scorre nelle vene del Teatro Colón.

Le linee intrecciate delle vite parallele di questi invisibili protagonisti, sarebbero andate perdute nell’oblio della storia, se non fosse per il certosino lavoro di ricostruzione storica di Pedrini e Martino.

Alla morte di Vittorio Meano nel 1904, subentra l’architetto Julio Dormal che porta a termine i lavori rispettando i disegni di Meano, sia per il teatro Colón che per l’imponente Palazzo del congresso che accoglie il Parlamento Argentino.

Nel 1908 i lavori sono conclusi, seppur non definitivamente; proseguiranno negli anni successivi, arricchendo il teatro di decorazioni pittoriche. Ciò nonostante il teatro con i suoi 2487 posti, è pronto ad accogliere i più grandi artisti nella sua meravigliosa sala con 7 ordini ed un’acustica tra le migliori del mondo, frutto di calcoli precisi, del materiale utilizzato e di un gioco di spazi, rifrazioni. Nessuno aveva previsto un risultato simile.

Un sogno si realizza, il teatro assume per l’intera Argentina il valore della rinascita, rappresenta il suo riscatto sociale e nell’immaginario collettivo è la fenice che risorge dalla povertà.

Questa ora si presenta all’ Europa ed al resto del mondo con il volto di una nazione colta e ricca.

La prima assoluta è il 25 Maggio 1908. L’Aida di Giuseppe Verdi, diretta da Luigi Mancinelli, la quale sarà anche l’opera più rappresentata negli anni a seguire.

Il programma lirico di apertura è degno dei più prestigiosi teatri internazionali, grazie alla collaborazione artistica manageriale dello Stin (Società teatrale internazionale) fondata nel 1908, per contrastare la crisi profonda che l’opera stava attraversando in quegli anni, dei più bei nomi della cultura artistica presente in Italia: Ettore Mascagni, gli editori Sozogno l’agente Walter Mocchi e Emma Carelli.   Si creò una rete di collaborazione con i teatri di maggior prestigio estero. Lo scambio delle compagnie tra l’Italia ed il Sud America, diventa un business internazionale, gettando le basi di una collaborazione proficua  tra Il Costanzi , la Scala , Il Colón, l’Operà Comique e l’ Operà di Parigi.

Questo è lo scenario con il quale il teatro Colón diventa il tempio della lirica.

Il Colón è argentino, è espressione di un forte sentimento nazionale e le sue porte si aprono da subito anche al tango.

Nel 1910 si ballava all’interno del Colón per Carneval e  la banda comunale diretta da Alfonso Paolantonio nel suo programma inserì anche dei tanghi. Questi eventi ricorrenti crearono le basi per il “Grande Festival artistico”, che dal 1928 in poi sdoganò il tango definitivamente venendo riconosciuto ed apprezzato nella sua forma artistica e poetica.

Nel 1931 una gara di canto dette il titolo di “regina del tango” a Libertad  Lamarque, voce splendida, la sua interpretazione di “El dia que me quieras” rivaleggia e tiene testa con le più belle voci di oggi e di sempre, come Mercedes Sosa e Susana Rinaldi.   Attendo con curiosità l’ascolto di voci nuove che sappiano con profondo equilibrio trasmettere la poeticità di questo testo, una voce come quella di Lucia Conte, potrebbe stupirci.

Da lì in poi, fu un susseguirsi sul palco del Colón le più belle orchestre di tango, Francisco Cannaro, Miguel Calo, Juan D’ Arienzo, Carlos di Sarli, Julio de Caro,  Mariano Mores e tanti altri.

Nel 1964 venne presentato lo spettacolo “Tango” con Anibal Troilo, come figura centrale, lasciò il pubblico letteralmente senza fiato; ma l’ovazione più forte che il tango ancora oggi ricorda nel tempio della lirica è per Pugliese quando nella esibizione del 1985, all’età di 80 anni incantò con la grazia del suo magnetismo ed una platea intera si alzò in piedi all’urlo “ Al Colón”.

Per concludere, il 10 Marzo 2021 il Teatro Colón ha riaperto le sue porte per omaggiare il rivoluzionario del tango “Piazzolla”.

Che augurio mi faccio? Quello di poter assistere allo sdoganamento del Tango anche in Italia, la possibilità di apprezzare la sua voce grazie all’acustica perfetta dei nostri teatri lirici.

Buon Ascolto!

La vostra Rosaspina.

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

Aida di Giuseppe Verdi – Teatro Colón 1968 -Carlo Bergonzi e Martina A rroyo
Anibal “Pichuco” Troilo
Libertad Lamarque – El dia que me quieras di Carlo Gardel
Susana Rinaldi – El dia que me quiera – di Carlo Gardel
Osvaldo Pugliese – Desde el Alma – concerto 1985 teatro Colón

Fonte :

Professore Matteo Paoletti : Mascagni, Mocchi, Sonzogno Società Teatrale Internazionale (1908-1931) e i suoi protagonisti

European Musical Heritage and Migration.

Articolo di Paola Mildonian del 26 Settembre 2003

Articolo del 17 Gennaio 2016  “Il signor nessuno a Buenos Aires.”

Paolo Pedrini e Claudio Martino

http://www.vivilargentina.com/signor-nessuno-buenos-aires/

Rivista Wam articolo Columa de tango: El teatro Colón

http://www.revistawam.com/columna-tango-duo-la-vida-2-2/

https://teatrocolon.org.ar/es/historia

8 Marzo 2021, il giorno del non ricordo

8 Marzo

J’ accuse .

L’ipocrisia galante della cultura, della politica, della religione di mascherare la disfunzionalità dell’ individuo, della famiglia, della società, camuffando e legittimando sentimenti e azioni in profonda contradizione tra loro.

Investire nell’essere umano, significa, investire nella conoscenza di se stessi, partendo da un educazione dei sentimenti e la capacità di esprimerli anche attraverso una comunicazione conflittuale, un processo che si inizia da piccoli e non si finisce mai d’imparare.

Ecco che le donne hanno un ruolo chiave in questa evoluzione di crescita dell’ essere umano. La nostra è una consapevolezza in movimento che, è tanto più efficace, quanto come individuo singolo siamo in grado darci valore. Riconoscere ed opporsi a comportamenti e messaggi disfunzionali, offensivi, di violenza psicologica e ricattatori, nella quotidianità significa oggi, come ieri, essere esclusi e talvolta isolati. Si inizia in famiglia, tra fratelli, genitori, nonni, tra i banchi dell’asilo, tra amiche all’aperitivo, tra colleghe in ufficio, tra mamme all’uscita di scuola e tra donne innamorate.

La conflittualità è una grande risorsa, un bene prezioso, se impariamo ad esprimerlo senza temerlo è il primo passo che ci porterà verso la conoscenza e quindi alla possibilità di scelta e di libertà.

VIva la Musica, Viva le Donne, per oggi è ancora un giorno di Festa !

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

LE “DIVINE” NELL’OPERA E NEL TANGO

Maria Callas – Paquita Bernardo

New York , 16 Settembre 1968

La luce dello specchio le rimandava il suo sguardo, ancora febbricitante per la grande emozione condivisa con il pubblico del Metropolitan.

Ricomporsi, ritornare emotivamente al qui e ora era uno sforzo intenso.

La voce era uno strumento tecnicamente perfetto, ma perché suonasse con quel pathos richiedeva l’immedesimazione totale e per fare ciò, lei si esponeva nuda, all’intimità emotiva.

La sua Lucia era lei stessa.

Sentì, in quell’attimo nel quale stava ancora vibrando per gli applausi ricevuti, un bussare deciso. Iniziò focalizzare il camerino attorno a sé, i piedi ancorati al pavimento e le mani non tremarono più. Silenzio.

Chi poteva essere?

 Gettò velocemente il batuffolo di cotone che teneva tra le mani nel cestino, si girò e disse: «Avanti.»

Non ci furono parole, entrambe nel silenzio con lo sguardo si abbracciarono, perché quell’energia inspiegabile illuminava ed inumidiva entrambe.

La consapevolezza del tempo e dell’orgoglio che le aveva tenute lontane, all’improvviso svanì……… non erano Divine erano Donne.

Oggi 8 Marzo 2021, ho voluto ricordare l’unico incontro avvenuto tra Callas e Tebaldi, perché anche la storia può essere riletta e possiamo noi donne evidenziare la collaborazione e non la rivalità, sia dal punto di vista artistico, lavorativo, familiare e sociale.

 Possiamo essere consapevoli dei ruoli e dell’immaginario che nei secoli ci sono stati cuciti addosso, ma di cui oggi abbiamo il diritto di rivendicare con determinazione. Siamo noi a decidere, perché valiamo e perché i tempi sono maturi per non farci tirare i fili come burattine, da stereotipi culturali che ormai ci stanno stretti.

L’inconscio archetipo ci vuole remissive e angeliche nell’immaginario collettivo o donne vampiro, estremamente sensuali in controllo del nostro potere seduttivo. Un contrasto forte con la realtà quotidiana, dove le donne sono invece sempre di più oggetto-sessuale e sempre di più economicamente non indipendenti, al punto tale, che la situazione attuale del Covid ne ha messo in evidenza la drammatica fragilità.

E se per l’opera ho voluto ricordare l’incontro tra Callas e Tebaldi, per il tango ho un solo nome da proporvi oggi: Paquita Bernardo, la signora del bandoneòn, giovanissima creò una sua orchestra in un momento storico non meno difficile di quello di oggi, dove la musica era il regno degli uomini e dove le donne in Argentina negli anni 20 erano come quelle di oggi ancora remissive.

Un talento, ed un amore per la musica che la porterà a rinunciare ad una dimensione femminile per rimanere completamente libera. Lo stesso Gardel desidera cantare sulle sue note e un giovanissimo Osvaldo Pugliese suona con lei, fu la sua fortuna, perché gli permise di accostarsi alla parte femminile che ogni uomo ha dentro di sé, confrontarsi con essa gli permise di rompere gli schemi musicali ed osare.

Paquita morirà a 25 anni per Tubercolosi, troppo presto, riuscì comunque a lasciare dietro di sé, le tracce del suo profumo.

Un altro profumo intenso, questa volta tutto italiano è quello di Emma Carelli, ma di lei parlerò nei prossimi appunti di viaggio. Anche il suo un profumo che rimase soffocato per troppo tempo, perso come tanti altri splendidi profumi di donne artiste, giornaliste, scienziate, politiche, profumi che la storia scritta da uomini per una società maschile tende a dimenticarsi.

È il profumo di donna che risveglia in ognuno di noi la parte migliore. Lasciatevi sedurre da questo profumo, non temetelo uomini e donne, noi ragazze siamo destinate a compiere cose grandi!

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

Paquita La flor de Villa Crespo
Renata Tebaldi: Cilea-Adriana Lecouvreur, “Io son l’umile ancella”.
Maria Callas: Bellini-Norma, “Casta Diva”

TOTI DAL MONTE E TITA MERELLO: L’indipendenza delle donne nella lirica e nel tango

Tita Merello – Toti Dal Monte

Il primo articolo di una pagina di blog non è mai facile da scrivere.

 La mente sollecitata da suoni e ricordi, mi ha messo profondamente in crisi. Scegliere, comportava la spiacevole sensazione di escludere qualcosa o qualcuno e questo non era l’inizio che volevo dare. Poi come spesso accade, la soluzione si presenta semplicemente davanti a te.

Due nomi, due icone opposte, con due vite profondamente diverse, ma la stessa autentica passione per la musica le accomuna.

Tita Merello, cresciuta in Argentina, Buenos Aires, nella povertà più assoluta, dove la paura e la vergogna, la spinsero ad esibirsi giovanissima al “Ba ta clan”, un teatro vicino al porto frequentato da marinai e gente malavitosa. Toti Dal Monte, giovane bambina orfana di madre all’età di sei anni, cresce protetta dall’affetto di suo padre, maestro di musica che intuisce la sua predisposizione musicale e la indirizza allo studio del pianoforte al conservatorio di Venezia. Per 8 anni vi si dedica con estremo impegno. Non sarà mai una pianista, le sue mani sono troppo piccole, non riesce a coprire un’ottava. È il sostegno del padre a darle forza di riciclarsi e l’insegnamento di Barbara Marchisio, celebre contralto, a curare la sua formazione di canto, senza chiedere alcun compenso. Ben diverso è il percorso di Tita Merello studia da sola e impara dalla vita di strada come proteggersi, utilizza il canto come arma di seduzione e prepotenza per difendersi. Arricchisce la sua voce di quella forza graffiante e passionale dettata da chi sa cosa significa soffrire la fame. Toti Dal Monte, nella cura ammirevole di chi credeva in lei, rafforza la sua volontà e determinazione tanto che a soli 23 anni debutta nel 1916, al Teatro alla scala di Milano in Francesca da Rimini di Zandonai nella parte di Biancofiore. La voce di Toti Dal Monte sapeva commuovere nel profondo chi l’ascoltava, aveva mantenuto la fiduciosa dolcezza che non si spezza difronte ai dolori più profondi della vita. Questo era il segreto della sua voce, la sua personale sensibilità e bontà d’animo le permisero di raggiungere interpretazioni così sincere da essere considerata da Toscanini la sua beniamina. Ragguardevoli le interpretazioni di Butterfly di Puccini, non disponiamo purtroppo di registrazioni con un suono pulito e l’ascolto diviene difficile se non si ha l’orecchio allenato. Il suo nome tra i giovani appassionati gira poco, perché le registrazioni storiche disponibili su youtube sono rare, ed è, soprattutto grazie a al concorso internazionali per cantanti che si tiene a Treviso ogni anno, che il suo ricordo rimane caro a tanti. Nel 1916 mentre Toti Dal Monte apre la sua carriera lirica nei più bei teatri italiani, Tita Merello compiva 12 anni e cantava a squarciagola scalza per strada, attirando già allora gli sguardi talvolta lascivi dei passanti, catturati dal quel suono angelico e passionale che la caratterizzò nel suo repertorio da adulta.   A soli 18 anni Tita Merello debuttò nel1922 come corista al Ba ta clan, cantò il suo primo tango “Trago Amargo” e conquistò il suo pubblico, con il suo sarcasmo e la sua presenza scenica. Da lì in poi nessuno più la fermò, teatro, cinema e radio, tutto prese con quella fame negli occhi che urlavano sono viva! Nello stesso anno Toti Dal Monte era ormai una soprana lirica internazionale: una primadonna mignon intimamente legata alla propria veneticità, da un cuore semplice e puro, perché, nella sua intimità non aveva mai lasciato la mano di quella bimba che nel suo lettuccio cercava ancora la mamma.

Ho scelto due brani tra i tanti che ho ascoltato. Una deliziosa Toti Dal Monte nel ruolo di Rosina, tratto dal Barbiere di Siviglia di Rossini e una mirabile interpretazione di Tita Merello nel tango milonga di Francesco Canaro “Se dice de mi” . Entrambe esprimono con il canto la voglia di non essere più la marionetta di nessuno e nella consapevolezza di sapere “chi sono” e “cosa vogliono” si oppongono ad una società patriarcale, che ahimè, ancora oggi vige. Tra i due testi scorre un secolo, ma la freschezza di dei brani e l’interpretazione di queste meravigliose “Divine” mette ancora oggi i brividi e rende attuale le due figure femminili.

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

TOTI DAL MONTE “Rosina” dal Barbiere di Siviglia di Rossini
TITA MERELLO “Se dice de mi” di Francesco Canaro

Note: Gazzettino 25 Gennaio 2015 Toti Dal Monte voce mai spenta

Note: La Tita de Buenos Aires di Marisa D’ Agostino