I LOMBARDI ALLA PRIMA CROCIATA: l’ Opera come il Tango per essere vivi devono essere popolari

Giuseppe Verdi – I lombardi alla prima crociata – Enrique Santos Discépolo

Qualunque sia il teatro lirico nel quale stiamo per entrare i nostri sensi vengono immediatamente sollecitati, per primo l’udito da un concitato brusio di sottofondo, un parlare veloce a mezzo tono, che non disturba, crea l’attesa dell’inizio. Il secondo elemento al quale non ci è concesso di sottrarci è la luce del teatro, rimbalza sui velluti, sui palchi fino a toccare i tendaggi del sipario ed è lì che tutti noi focalizziamo la nostra attenzione.

Le luci si abbassano, il mormorio si affievolisce e nel silenzio assoluto, il direttore d’orchestra alza la bacchetta, l’orchestra suona, il sipario si alza e l’opera racconta una storia di vita.

I Lombardi alla prima Crociata di Giuseppe Verdi, rappresentata per la prima volta alla Scala, l’11Febbraio 1843, ritorna alla Fenice l’8 Aprile 2022, dopo oltre un secolo di silenzio dal suo debutto.

La trama è quanto mai arzigogolata, nel più irruente stile verdiano, racconta di una Faida Familiare: Pagano uccide il padre al posto del fratello Arvino di cui era profondamente geloso, avendo quest’ ultimo sposato la donna che lui amava, Viclinda e dalla quale  nasce una figlia, Giselda.

Fin qui tutto normale per le trame verdiane, gli intrecci familiari, l’esasperazione delle emozioni, la ricerca del dramma scenico, sono tutti elementi che il Primo Verdi porta già in scena.

É il sentimento della gelosia a governare l‘animo dei protagonisti, ma questa volta a differenza del Rigoletto o dell’Otello, i colpi di scena disorientano lo spettatore, al punto da perdere il filo della storia se non si conosce l’opera prima della sua visione.

Il primo atto è ambientato a Milano, siamo intorno all’ anno 1100, la scena si apre all’interno della Basilica di S. Ambrogio, dove Pagano viene accolto e perdonato dal lungo esilio e il Priore annuncia la partenza di Arvino per le crociate.  Ci si sposta nel palazzo di Folco, dove Giselda impedisce l’uccisione di Pagano, dopo aver scoperto la morte del nonno.

Nel secondo atto ci ritroviamo catapultati nelle stanze private del tiranno Acciano e subito dopo nell’ harem del suo palazzo e ci si domanda: “Ma come ‘è arrivata Giselda la figlia di Arvino ad Antiochia in Gerusalemme ed innamorarsi di Oronte figlio del tiranno?”

Si è talmente presi dalla bellezza di questa musica, dal coro che accompagna lo sviluppo scenico, che i dettagli della trama passano in secondo piano.

L’edizione andata in scena al teatro la Fenice è probabilmente quella che più si avvicina a come Giuseppe Verdi l’avrebbe voluta sentire interpretata nel 2022.

Il maestro Sebastiano Rolli alla guida dell’Orchestra alla Fenice ha saputo dirigere magistralmente sia l’orchestra che il coro, con la giusta dose di energia per sostenere il ritmo dell’azione e tenere alta la tensione nello spettatore.

Ci ha restituito tutta la bellezza di quest’opera che, per i rimaneggiamenti poco attendibili nel corso degli anni forse aveva perso la sua briosa lucentezza. Oggi siamo in grado di riscoprirla, grazie alla partitura   David R.B.Kimbell che  si è basato sulla copia  autografata di Giuseppe Verdi conservata nell’archivio storico Ricordi a Milano.

Michele Pertrusi, basso nel ruolo di Pagano, è praticamente perfetto e cavalca la scena, ma è in buona compagnia. Era da molto tempo che non avevo più avuto l’occasione di assaporare un cast così equilibrato, dove le voci si sostenendosi l’una con l’altra sono riuscite a risaltare vicendevolmente nella recitazione teatrale, le proprie caratteristiche principali.

La Giselda interpretata da  Roberta Mantenga è un’eroina romantica ma di carattere e tale forza ben è espressa dagli sbalzi e da una limpidezza di canto che raggiunge l’apice nella preghiera.

Oronte di Antonio Poli, finalmente un fraseggio chiaro e limpido, Mattia Denti ci regala un Pirro autorevole mentre Marianna Mappa riesce a dare personalità a Viclinda e Antonio Corianò un Arvino incisivo, ma sono le giovani voci di Adolfo Corrado, Acciano, breve passaggio ma intenso, Christian Collia priore della città di Milano e Barbara Massaro nella parte di Sofia madre di Oronte, a sorprendere e hanno le potenzialità di emergere nello scenario artistico non solo Italiano.

Riuscito è l’intermezzo della scena del ballo in chiave moderna, creato per accompagnare lo spettatore nella comprensione del dramma verdiano nel rapporto tra Pagano e Arvino, si è cercato una soluzione stilistica al vuoto di continuità che la trama ha.

L’operazione è talmente ben riuscita che ha suscitato applausi a scena aperta, l’esecuzione artistica dei due giovani ballerini vestiti da studenti porta in scena il dramma più antico; quello di Caino e Abele.

Peccato che nessuna recensione li abbia nominati.

Gli applausi del pubblico hanno ridato all’opera quel sapore di popolarità che oggi non ha più, ma non perché manchi la passione o la curiosità di crescere da parte di un pubblico attento, ma perché è difficile trovare oggi delle belle voci e delle voci che abbiano avuto il tempo di lavorare assieme ed amalgamarsi come è accaduto per questa edizione.

La regia, i costumi scenici, la scenografia, sono tentativi d’interpretazione che possono più o meno riuscire, ma non tolgono e non aggiungono niente all’opera in sé stessa, se prima la direzione orchestrale, l’orchestra, le voci dei cantanti ed il coro non sono in grado di eseguirla in modo virtuoso ed emozionare un pubblico popolare.

Valentino Villa, ha cercato di reinterpretare l’opera per catturare l’attenzione dei giovani e l’ha attualizzata Massimo Checchetto, scenografo e Elena Cicorella costumista, si sono adeguati alla linea definita da Valentino Villa per dare uniformità e continuità al messaggio artistico.

Operazione riuscita o non riuscita? 

Io non mi porto a casa il ricordo del coro vestito da infermiere, ma la passione con la quale ha cantato sì.

Ci si dimentica che l’opera lirica per rimanere viva deve rinnovarsi nella sua dimensione popolare, anche per il tango accade la stessa cosa, è il messaggio musicale ad emozionare, non l’ambientazione della Milonga.

Vi è un tango, la cui letra forse ci può aiutare a riflettere è stata scritta nel 1934.

CAMBALACHE /  Robavecchia

Tango 1934

 Musica: Enrique Santos Discépolo

Letra : Enrique Santos Discépolo

Traduzione Pablo Helman dal libro “Canzoni di una vita, canzoni di tante vite”

Che il mondo fu e sarà una porcheria

Già lo so…

(nel cinquecento sei come pure nel duemila!).

Che sempre ci sono stati ladri,

i machiavelli, i truffati, i contenti e gli amareggiati,

valori e falsità…

Ma che il ventesimo secolo sia uno sfoggio

di malvagità insolenti

già non c’è chi lo neghi.

Viviamo mescolati

In una meringa

Tutti immersi nello stesso fango

Tutti manipolati…

Oggi risulta che è lo stesso

Essere onesto o traditore,

ignorante, saggio o ladro,

generoso o truffatore.

Tutto è uguale!

Niente è migliore!

È lo stesso essere un somaro

Che un grande professore!

Non ci sono bocciati

 né graduatoria

gli immorali

ci hanno eguagliato.

Se uno vive nell’ impostura

e un altro ruba nella sua ambizione,

fa lo stesso che sia prete,

materassaio, re di bastoni,

faccia tosta o clandestino!..

Giuseppe Verdi – “O Signore dal tetto natio” – I Lombardi alla prima crociata

Enrique Santos Discépolo – Cambalache

AMICI IN VIAGGIO: Prima puntata

IN VIAGGIO CON ROSASPINA BRIOSA

ll BLOG  “UN TANGO CON IL TENORE” ha raggiunto da poco un anno di vita.

Il Blog è nato per caso, sulla spinta di correnti sinergiche che inaspettatamente, senza nessun tipo di connessione si sono incrociate, un po’ come in fondo è accaduto per l’inizio del Big Bang, dando il via alla creazione del pianeta terra, così altrettanto ha preso forma l’idea di scrivere di tango e lirica.

La similitudine descritta è ovviamente in senso ironico, anche se il Blog è stato per la mia vita un vero Big Bang e le persone coinvolte, che hanno creduto e sostenuto Rosaspina Briosa, hanno in comune la stessa caratteristica: la forza di perseverare nei sogni.

Giuseppe Scarparo, Chiara Cecchinato,  Alessandro Uccello con Angela Lucerna, Nicoletta Santini e l’Inviato speciale in incognito, grazie !

In un mondo sempre più virtuale, dove tutto è raccontato a tempo immediato, senza più pause per assorbire e sviluppare un proprio senso critico, al punto tale che non riusciamo più a distinguere la realtà della vita da quella che ci viene raccontata, ho pensato di ringraziarli con una breve video intervista, cercando di cogliere la loro gioia per la vita.

Il primo è Giuseppe Scarparo che una mattina di Marzo, mi chiamò svegliandomi e  mi domandò: Svelta dammi un nome che sto registrando il blog per te!Così, spontaneamente e mezza addormentata il mio cuore parlò : “Un tango con il tenore

Il video che segue è il risultato di una piacevole chiacchierata sul tango con un Maestro fuori dalle righe …

Giuseppe Scarparo e Rosaspina Briosa

Donne libere nella musica

8 Marzo 2022, giornata internazionale della Donna.

Vi è un’opera, che a breve vi introdurrò, alla quale è successo, come purtroppo accade talvolta anche alle belle persone ricche di talenti, di “rimanere in panchina”, per i motivi più svariati, perché non si uniformano ad un modello idealizzato, o a causa di un preconcetto caratteriale che le ha segnate per sempre e rimangono nascoste, ingabbiate dal peso della vita.

Lo stesso è accaduto a quest’opera lirica, il cui giudizio espresso in forma fin troppo severa dall’autore, ha pregiudicato la sua leggera bellezza già dagli albori, come quando nasce un bambino e si dice: “Peccato ha preso il naso dal nonno.”

Ho scelto quest’opera, pensando a tutte le donne e quindi quale data migliore di quello di oggi: 8 Marzo.

In tanti abbiamo dedicato tempo, pensieri e piccoli gesti per diffondere la consapevolezza che un cambiamento è necessario e possibile. Occorre rendere reali le pari opportunità tra uomini e donne, perché vi sia un domani una società più eguale.

Altrettando quest’opera, come una persona dall’anima bella, può nel tempo acquisire sempre maggiore considerazione e prestigio, sedere accanto alle altre sorelle maggiori, nel tempio dell’opera, non sentendosi più la cenerentola.

Prima di proseguire a scrivere, vorrei invitare chi ama l’opera a fare questa prova seguendo le istruzioni passo per passo ed avendo fede!

Telefonino in mano, YouTube, cuffiette, scarpe da ginnastica. Liberate completamente la mente da tutto ciò di cui fino ad oggi avete letto e sentito di quest’opera.

Partite soli, in passeggiata, campagna, montagna o lago.

Lasciate che sia la musica e l’interpretazione del meraviglioso cast che vi propongo, nell’ edizione del 1966, a farvi compagnia.

Sarà la musica a raccontarvi la storia, le scene prenderanno forma davanti a voi, un viaggio verso sentimenti che ancora oggi ci segnano, gesti così femminili nei quali noi donne possiamo riconoscerci… come quando nel dialogo amoroso di seduzione… lei gli chiede: Metto il rossetto?”

Mi sorprendo tutte le volte dell’attualità drammaturgica dell’opera, o forse, della bravura introspettiva dei librettisti e di questo magnifico Maestro che tanto amò le donne da difendere la loro dignità e libertà dai luoghi comuni, che le voleva rilegate solamente nel ruolo di custode del focolaio domestico.

Da subito, l’intermezzo si apre con una melodia che ritroviamo poi in tutti i momenti di maggiore pathos, un crescendo emotivo che rappresenta il filo rosso tra i protagonisti.

La lirica è una delle più delicate che Puccini abbia composto, richiama vagamente la Bohème, cosi come possiamo con attenzione cogliere qua e là in tuta l’opera richiami ad altre, un omaggio alla Traviata, nella figura di Magda, un richiamo a Turandot nelle dissonanze … eppure il maestro non era soddisfatto.

Come spesso accade, si aggredisce l’altro quando avremmo voluto esser noi i primi a portare l’innovazione, l’invidia, si sa, non è un compagno amichevole di viaggio.

Fu così che Puccini scrisse alla sua intima amica Sybil Seligman, che lui non avrebbe mai scritto un’operetta come Leoncavallo, la cui bellezza oggi noi tutti riconosciamo.

Puccini in effetti non scrisse un’operetta, lui anticipò i tempi: come non vedervi, il musical, My Fair Lady, ma più ancora Fred Astaire e Ginger Rogers, nel film Cappello a cilindro.

Nel secondo atto, l’ambientazione è in un famoso locale notturno di Parigi, al Bal Bullier, dove l’amore nasce da un incontro casuale, tra Magda e Ruggero, nell’allegria corale di una sera di primavera. Tutto è in fiore e la guerra che si avvicinava sempre di più, siamo nel 1915 mentre Puccini componeva, può per un breve momento non esistere.

Ci culla il motivo del sogno di Doretta, quel tocco ritmato, puntellato da una voce lirica e allo stesso tempo in grado di sostenere acuti e vibrazioni, che segnano il languore, avrete ormai capito che sto parlando de La Rondine.

Certo che ci vuole un direttore con i controfiocchi, in grado di sottolineare ogni passaggio per rendere la musica vibrante e non una accozzaglia dove o vi è troppa confusione o è monotona perché sembra tutta uguale, come se il tema musicale fosse sempre lo stesso, ma non lo è.

Alla riuscita dell’opera occorre anche disporre degli interpreti con grandi capacità recitative, il parlato ha il suo peso e la padronanza del fraseggio anche.

In alcuni punti oso perfino dire che Puccini si è divertito a ricordarci Rossini.

Perché il maestro non era felice?

Perché anche lui è umano e quando si è intristiti dentro per il peso dell’anima, compromessa forse per non aver scelto l’amore sentimentale, tema dell’opera, lo rendeva ipercritico, scettico, giudicava l’opera ma giudicava se stesso.

 Più volte vi mise mano per cambiarne il finale e per fortuna lo lasciò come lo conosciamo, una Doretta consapevole di se stessa e sceglie di vivere la libertà e non la vita domestica e sicura di madre e moglie.

Magda e la sua fedele cameriera Luisetta non sono altro che Thelma e Luise dei giorni nostri.

La trama apparentemente è semplice.

E’ una fotografia sociale, consolidata di ruoli e dinamiche che ancora oggi possiamo ritrovare, ma qui non vi è la drammaticità della Traviata, è piuttosto il mettere in luce come le scelte pratiche della vita che ci portano ad allontanarci da un amore romantico.

Quella dolcezza di un bacio così soavemente decantata, rimane il ricordo.

Come la rondine, simbolo della fedeltà, riprende il suo volo per immigrare verso terre più calde, così Magda lascia il suo amato … anche lei è fedele.

È fedele alla sua libertà, al suo sentire. Magda è una donna che cammina libera, perle strade del mondo, fiduciosa che niente di male potrà accaderle.

Leggerezza, non significa essere banalmente sciocche, ma consapevoli che la felicità è un attimo, perché si sono provati dolori tali da comprendere la bellezza di un sorriso di pace.

Pace, oggi è la parola che le donne invocano, pace per le donne afghane, pace per quelle russe e per le ucraine, per noi e per quelle che sono talmente soggiogate da non ricordarsi neppure più cosa significa essere libere.

Un tango è sempre il collegamento che cerco con l’opera.

Ce ne sono tanti, romantici al punto tale che se Puccini fosse vivo ne farebbe un soggetto intero di un’opera.

Ma oggi non so perché, ho solo un tango che mi suona dentro, le cui parole sono tristi e in contrasto con il sogno evocativo di Doretta, se non che entrambe hanno una grande dignità.

Vi lascio all’ascolto della voce di Roberto Goyenche , Malena nessuna balla il tango come te….

Un po’ è come ricordare quel bacio …. tra Magda e Ruggero.

Malena, tango scritto nel 1941, musica di Lucio Demare, Letra di Homero Manzi, traduzione letra di Pablo Helman, dal libero: Canzoni di una vita, canzoni di tante vite.

Malena canta il tango come ninguna Malena canta il tango come nessuna y en cada verso pone su corazón. e in ogni verso mette il suo cuore. A yuyo del suburbio su voz La sua voce profuma, di erba perfuma selvatica del sobborgo Malena tiene pena de Malena ha la tristezza del bandoneòn bandoneon Tal vez allá en la infancia Forse laggiù nell’infanzia su voz de alondra la sua voce di allodola tomó ese tono oscuro de callejón, prese quel tono buio dal vicolo, o a caso aquel romance que sólo o forse da quel romanzo che solo nombra nomina cuando se pone triste con el alcohol . quando diventa triste con l’alcol.

Malena canta el tangocon voz Malena canta il tango con voce de sombra, d’ ombra, Malena tiene pena de bandoneón. Malena ha la tristezza del bandoneón

Vostra Rosaspina Briosa

LA RONDINE, Giacomo Puccini – Moffo, Barioni, Sereni, De Palma, Sciutti & Molinari-Pradelli

MALENA, Roberto Goyeneche – letra di Homero Manzi, musica di Lucio Demare
LA RONDINE, Giacomo Puccini – MAGDA, Renata Tebaldi, ” Chi il bel sogno di Doretta”

FONTI.

Michele Girardi; Puccini la vita e l’opera, Newton Compton Editori (1989)

Maria Giovanna Miggiani; La rondine, pubblicazione del teatro del Giglio. (Settembre 2008)

Daniela Goldin Folena; La rondine: un libretto inutile, pubblicazione del teatro del Giglio. (Settembre 2008)

Gianluca Cremona; Quando il kitsch diventa arte, dal Blog Quinte Parrallele.(7 Luglio 2017)

Buon Compleanno

100 anni – 1 Febbraio 1922 – 1 Febbraio 2022

La mia voce si unisce in un canto corale per ricordare la voce d’Angelo di Renata Tebaldi.

Testo e Voce di Rosaspina Briosa – Realizzazione di EndlessChic – Montaggio di Luca Bonometti

“L’immortalità del tempo mi travolse,

il primo febbraio quando vidi la luce.

Inconsapevole del mio destino,

solo il battito del tuo cuore, riconobbi quella notte

e il mio pianto si fermò.

Fu il tuo seno ad accarezzarmi e nel calore dell’ abbraccio,

ti stringevo per consolarmi.

Voce, ancor oggi è la voce del mio cuore che vibra nel mio canto,

metronomo di vita che mi fu donata.

Rosaspina Briosa

01 Febbraio 2022 Buon Compleanno Renata fondazionerenatatebaldi.org

LUCIA CONTE: la voce del cuore tra Lirica e Tango

Il buongiorno di Lucia Conte, è come il buon caffè alla mattina, rilascia un profumo avvolgente che ti accompagna per tutto il giorno. Le sue parole sono acqua pura, nascono da un profondo rispetto e amore per la musica e l’arte.

LUCIA CONTE: la voce del cuore tra Lirica e Tango
CARMEN, George Bizet – LUCIA CONTE, “Je dis que rien ne m’épouvante”
LA DIAVOLESSA, Baldassare Galuppi – LUCIA CONTE, “una donna che apprezza il decoro”
LA FUGA IN MASCHERA, Gaspare Spontini – LUCIA CONTE, “La mia lanterna magica”
LUCIA CONTE, “Histoira de un amor” – Letra y musica de Carlos Almarán
LUCIA CONTE

LETRA HISTORIA DE UN AMOR

Carlos Almarán

Ya no estás más a mi lado, corazón

Tu non sei più al mio fianco, cuore mio

En el alma solo tengo soledad

Nella mia anima tengo solamente solitudine

Y si ya no puedo verte

E se non posso averti

¿Por qué Dios me hizo quererte?

Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?

Para hacerme sufrir más

Solo per farmi soffrire di più..

Siempre fuiste la razón de mi existir

Sei sempre stata la ragione della mia esistenza

Adorarte, para mí, fue religión

Adorati per me è come una religione

En tus besos encontraba

Nei tuoi baci ho incontrato

El amor que me brindaba

L’amore che mi hai dato

El calor de tu pasión

Il calore della tua passione

Es la historia de un amor

Questa è la storia di un amore

Como no hay otro igual

Diverso da tutti gli altri

Que me hizo comprender

Che mi ha fatto comprendere

Todo el bien, todo el mal

Tutto il bene, e tutto il male

Que le dio luz a mi vida

Che ha dato luce alla mia vita

Apagándola después

Per poi spegnerla poco dopo

Ay, qué noche tan obscura

Oh, Che notte oscura

Todo se me ha de volver

Senza il tuo amore non vivrò

Ya no estás más a mi lado, corazón

Tu non sei più al mio fianco, cuore mio

En el alma solo tengo soledad

Nella mia anima tengo solamente solitudine

Y si ya no puedo verte

E se non posso averti

¿Por qué Dios me hizo quererte?

Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?

Para hacerme sufrir más

Solo per farmi soffrire di più..

Es la historia de un amor

Questa è la storia di un amore

Como no hay otro igual

Diverso da tutti gli altri

Que me hizo comprender

Che mi ha fatto comprendere

Todo el bien, todo el mal

Tutto il bene, e tutto il male

Que le dio luz a mi vida

Che ha dato luce alla mia vita

Apagándola después

Per poi spegnerla poco dopo

Ay, qué noche tan oscura

Oh, Che notte oscura

Todo se me ha de volver

Senza il tuo amore non vivrò

Ya no estás más a mi lado, corazón

Tu non sei più al mio fianco, cuore mio

En el alma solo tengo soledad

Nella mia anima tengo solamente solitudine

Y si ya no puedo verte

E se non posso averti

¿Por qué Dios me hizo quererte?

Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?

Para hacerme sufrir más

Solo per farmi soffrire di più..

LUCIA CONTE, SOPRANO ITALIANO.

FONTI

Materiale fotografico reso disponibile da Lucia Conte

Si ringraziano i seguenti fotografi:

Antonio Perrone http://www.perronephoto.it/

Fabio Gianardi https://www.fabiogianardifotografo.com/

Mariateresa Contando https://www.facebook.com/mariateresa.contaldo

Chiara Cecchinato di Endlesschic https://www.endlesschicnaturecolors.com/

UN TANGO PER MACBETH: il fascino di una donna al servizio del potere

Macbeth è l’opera che più di altre Verdi ha profondamente amato.

Nei margini dello spartito originale, vi sono appunti e riflessioni intime, come spesso accade a tutti noi quando leggiamo qualcosa di molto caro, viene istintivo aggiungere qualcosa perché si teme di perderla.

 L’attenzione per i dettagli come la sottolineatura dell’interpretazione recitativa e drammatica delle voci, che diverrà da qui in poi l’elemento di distinzione di tutti i lavori di Giuseppe Verdi, fa sì che il Macbeth, sia considerata l’opera di passaggio della sua formazione artistica, da quella giovanile a quella adulta.

Il libretto scritto quasi completamente dal Maestro, è la riduzione dell’opera di William Shakespeare, per poterla trasformare in quattro atti per il teatro lirico.

Verdi, grande ammiratore di Shakespeare, ha voluto riportare fedelmente la trama, motivo per il quale non concesse a nessuno questa operazione di taglio e scrisse il testo in prosa italiana, solo successivamente venne poi affidato alla penna di Francesco Maria Piave che ne curò la verseggiatura per il canto.

Il libretto subì ulteriori variazioni, una volta terminato, da parte di Maffei, che toccò due delle parti più importanti di tutta l’opera, il coro delle streghe e la scena del sonnambulismo di lady Macbeth.

Prima di addentrarci nel vivo della storia, procediamo con ordine.

I personaggi sono pochi: Ducano il re di Scozia, una figura che è quasi un’ombra, uno spettro ancora prima di essere ucciso, non canta e non parla.

Macbeth, baritono, protagonista di questa storia è colui che ucciderà Ducano e tradirà Banco, basso, suo amico, entrambi valorosi generali e compagni d’armi di Ducano.

Lady Macbeth, soprano, rappresenta la luce e l’oscurità per l’anima di Macbeth.

Verdi non ha bisogno di dare spessore psicologico ai personaggi, diremo noi oggi, attinge a piene mani dal lavoro originale di Shakespeare.

 Il contributo del Maestro, consapevole dei forti tagli poetici che l’opera aveva subito, è tutto nel ridare poesia alla musica, quella ricerca melodica e drammatica che non lo abbandonerà più; la sua attenzione è poi rivolta nel trovare la voce giusta che possa esprimere l’anima di Lady Macbeth.

Questa, come afferma lo stesso Verdi, “non deve essere bella, ma una voce aspra, soffocata e cupa che avesse del diabolico“, questo è uno dei motivi per cui non si assiste spesso alle rappresentazioni di Macbeth al Teatro, occorre avere un soprano con queste colorature.

Macduff, tenore, nobile scozzese, Malcom figlio del re Ducano tenore e Flaenzo figlio di Banco, sono le altre figure presenti nel dramma, ruoli minori ai quali Verdi dedica molta cura.

Da subito Verdi vuole che sia ben chiaro l’importanza e la rilevanza che ha il coro.

Le streghe specifica chiaramente che devono essere divise in tre drappelli e sarebbe ottima cosa che fossero 6,6,6 in tutto 18.

Non certo quello che abbiamo assistito alla prima della Scala nell’ edizione del 2021, la movimentazione delle streghe coreograficamente non ha aggiunto niente, se non che, ha creato confusione nello spettatore, il Maestro avrebbe voluto che l’attenzione rimanesse sulla musica e il canto.

La trama sviscera le forme oscure in cui prendono forma: l’ambizione e il desiderio di potere, politica, donne e soldi, temi attuali a Shakespeare come a Verdi e anche oggi sono monito per la classe dirigente e colta del Paese.

Il pubblico che oggi ha assistito alla Prima, non era poi così tanto diverso da quello di Verdi e di Shakespeare quando lo rappresentò alla corte di Elisabetta I regina d’Inghilterra.

Ieri come oggi è un messaggio di monito di attenzione per la classe dirigente, dove l’aberrazione sfocia in un assassinio, premeditato e non passionale.

La profezia delle streghe, scatena l’ambizione in Macbeth e nella sua Lady, la complicità di coppia diventa terreno fertile per creare la congiura e manipolare la scalata sociale per arrivare al trono, al posto di potere, di comando decisionale.

Il teatro prende vita e quello che vediamo raccontato come una storia antica sul palcoscenico, non è poi tanto diversa dalle dinamiche che si svolgono all’interno di un palazzo politico, di una casa farmaceutica, di un’università o di un teatro stesso.

Non si arriva forse ad un omicidio morale, quando si utilizzano soldi pubblici per progetti non utili al bene comune? Quando si vendono vaccini ad un costo che genera un profitto eccessivo? Quando si nominano Rettori o Direttori artistici per garantire una cordata di alleanze a discapito di persone più preparate? O quando nei teatri di prosa come nella lirica si propongono contratti ad attori o cantanti per ruoli non adatti che devono interpretare?

Allora come oggi, sono gli artisti a sollevare quel velo di ipocrisia con il quale ci copriamo occhi. Purtroppo figure di riferimento, come fu Giovanni Zenatello per la lirica italiana, sono rarissime, al punto tale che non hanno la voce per imporsi nella confusione assordante del Foyer .

 Shakespeare come Verdi, denunciano ruoli e comportamenti, che nella storia si ripetono e si perdono nella fragilità dell’essere umano.

Eppure anche questa edizione che voleva dare una lettura nuova e moderna, in realtà si è ritrovata intrappolata ancora prima di nascere nelle dinamiche del Macbeth stesso, non è riuscita ad evidenziare un archetipo storico.

“Condannare tutte le donne, per aiutare alcuni uomini fuorviati a superare il loro comportamento insensato, equivale a denunciare il fuoco, che è un elemento vitale e benefico, solo perché alcune persone ne vengono bruciate, o maledire l’acqua, solo perché alcune persone vi annegano”.

Sono parole della scrittrice Christine de Pisan, nata a Venezia nel 1364, storica bolognese che visse in Francia.

Già allora lei evidenziava come lo stigma di donna libera e determinata contenesse in sé un’ accezione come diabolica, ambiziosa e spregiudicata.

E’  Lady Macbeth la vera responsabile ed istigatrice dell’ambizione del marito?

La risposta è nella scena del sonnambulismo, Verdi si pone come se l’era posto Shakespeare, la stessa riflessione di Christine de Pisan.

Shakespeare ne fa una delle pagine poetiche più intense del Macbeth e Verdi non gli è da meno, scrivendo una delle più belle partiture musicali drammatiche, raccoglie nel tormento del canto di lady Macbeth, l’impossibilità di chiedere perdono: pietà, rispetto e amore era ciò che cercava.

La donna in questo ruolo identificato della fantasia collettiva, segnata marcata come diabolica, troviamo le origini di convinzioni collettive sul mondo femminile che ancora oggi la nostra società è portatrice.     Verdi attraverso la musica e Shakespeare attraverso la prosa le donano, una chance di espiazione.

La mia conclusione personale è che Verdi era più moderno di noi tutti messi assieme e talmente lungimirante da scrivere che la sua opera non venisse rimaneggiata.

Vanità delle vanità, chi  scaglia la prima pietra? Io di certo non lo farò.

Mi limito a suggerire agli appassionati di lirica una riflessione proposta da un canto tanguero, come ai tangueri che avranno letto questo breve articolo e si presteranno all’ascolto del Macbeth, sicuramente comprenderanno con più facilità la poeticità del linguaggio di questo tango.

La letra, è il termine utilizzato per il testo cantato nel tango, parla di un amore “senza parole questa musica ti ferirà, ovunque il tuo tradimento la ascolterà”.

Pentimento è il legame che ora unisce la coppia Macbeth, un tradimento reciproco è alla base del loro rapporto, h anno sacrificato il loro amore per l’ambizione del potere e del prestigio e genera dolore, così come l’amore perduto tra gli amanti è cantato in questo tango.

Sin palabras/Senza parole traduzione di Carla de Benedicts

Musica di Mariano Mores, Letra di Enrique Santos Discepolo

È nato da te

Cercando un canto che ci unisse,

e oggi so che è crudele, brutale, forse,

la punizione che ti do.

Senza parole questa musica ti ferirà,

ovunque il tuo tradimento la ascolterà…

nella notte più folle, nel giorno più triste,

sia che tu rida o che tu pianga la tua illusione.

Perdonami se è Dio

che ha voluto punirti infine

se ci sono lacrime che così possono continuare,

queste note che sono nate per amore tuo,

alla fine sono una tortura che rinnova le ferite di una storia…

sono pene, sono ricordi…

fantoccio ferito, il mio dolore, si alzerà ogni volta

che tu ascolterai questo canto!

Vostra Rosaspina Briosa®️, augura a tutti buon ascolto!

SIN PALABRAS, Robert Goyeneche
MACBETH, Giuseppe Verdi – 1 atto, Le Streghe
MACBETH, Giuseppe Verdi – PIETÁ RISPETTO AMORE, Ludovic Tèzier
MACBETH, Giuseppe Verdi – NEL DI DESLLAVITTORIA …VIENI T’ AFFRETTA …OR TUTTI SORGETE, Saioa Hernandez
MACBETH, Giuseppe Verdi – UNA MACCHIA É QUI TUTTORA, Anna Pirozzi

FONTE:

Charles Osborne; Tutte le opere di Verdi, (1979)

Carla De Benedictis; Parole Parole Parole di tango, (2018)

MARCO EL HURÀCAN: Il tango che travolge

MARCO EL HURÀCAN – IL TANGO CHE NON SI FERMA

Un ritratto intenso di se stesso e della professione di Musicalizador, El Huràcan ci regala l’opportunità di capire sia il suo lavoro che l’evoluzione musicale del Tango dagli albori ai giorni nostri.

Buona visione  vostra Rosaspina Briosa®

Intervista Marco El Huràcan – Rosaspina Briosa, per il progetto La Speranza in un abbraccio. “Tango Royal Maratona” – Palazzo della Borsa – Genova
Anibal Troilo y su Orquesta Típica e Roberto Goyeneche – Trenzas

LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio IV

Episodio IV

I giorni si susseguivano, uno accanto all’altro in una ripetitività come solo lo scorrere del tempo può generare: l’attesa del giorno nuovo.  

Elena, si rifugiava nel tango, rappresentava una bolla nella sua quotidianità esistenziale che le permetteva di fermare il tempo.

L’attrazione ed i giochi di sguardi precedevano l’euforia pre mirada; è sottile il confine tra complicità di coppia e amore per il tango.

Ridacchiava ed ammirava con un velo di sarcasmo quelle tanguere che pur non essendo più giovani, si trasformavano nelle braccia del partner al punto da non poter più dare loro un’età.

Quel tipo di sicurezza derivava solo ed unicamente dalla femminilità di ogni donna porta dentro di sé.

Talune ne avevano talmente in abbondanza che neppure si rendevano conto dell’effetto che provocavano; queste rare ballerine, rimanevano inconsapevoli del loro potenziale. Spesso ballavano al di sotto delle loro capacità, non osando mirare o contraccambiare lo sguardo con coloro che definivano bravi.  La scelta di rimanere nella loro zona confort, le proteggeva dalla delusione di provarci.

Che spreco, si disse tra sé e sé, l’autostima è fondamentale.

Un sorriso amaro le increspò il labbro pensando a Francesca, non le mancava l’autostima, eppure, anche lei, non voleva vedere la vera natura di Marco.

Marco è un bluff!

Il giorno della resa dei conti si stava avvicinando sempre di più.

Lo aveva capito da come ultimamente ballavano in milonga e presto nel gioco delle coppie, si sarebbero ritrovati a rimescolare le carte … niente era destinato a rimanere come sembrava.

L’ estate con le sue lunghe notti, la carezza dell’aria fresca, l’inganno delle stelle predisponevano gli animi ad incontri talvolta fugaci, raramente autentici, ma quando questo accadeva faceva tremare le fondamenta anche della coppia apparentemente più stabile.

Non è vero che il tango inganna, eppure porta a confondere ciò che non si vuol riconoscere.

Il bip del suo cellulare l’avviso dei messaggi in arrivo su WhatsApp.

Sorrise, si divertiva a tenere vivo l’interesse di più uomini, ognuno non collegato all’altro, in modo tale che le possibilità che si incontrassero o condividessero amicizie o passioni comuni era praticamente nullo.

Aveva una preferenza accentuata per quelli fuori regione, le permetteva di vederli con meno regolarità, riuscendo a mantenere vivo la curiosità verso di loro.

Il guaio vero era che pochi riuscivano ad intrigarla con una conversazione ricca al punto tale da farle scattare il desiderio di approfondire la conoscenza.

Ahimè quello era il suo limite grande… al terzo incontro quando le cose stavano prendendo la piega giusta e tra una risata profonda e dell’allegra euforia, regalo di un buon bicchiere di Amarone, accadeva quasi sempre una caduta di stile, talmente inappropriata da rivelare tutta l’arroganza maschile, così ben camuffata da un accentuato narcisismo, al punto che si chiedeva se non fosse meglio essere un po’oca e scopare di più.

Ma ecco che il retaggio culturale, invece di aiutarla sostenendola a ragion veduta, di non perdere una , che erano le ultime cartucce, fregatene e concludi la serata, tutte le volte le faceva l’auto sgambetto…

Si ritrovava a girare le chiavi nella toppa di casa, tutta sola.

Ridendo si toglieva le scarpe e gettandosi nel letto quasi vestita, ripensava ancora a quella prima volta dopo la sua vedovanza, aveva bevuto talmente tanto che a forza di farlo ridere, gli era diventato piccolo e non avevano concluso più niente.

 Si erano addormentati abbracciati.

Si guardò allo specchio con uno sguardo nuovo e si chiese, se anche lei non facesse parte di quelle poverine che fino a pochi minuti prima aveva scanzonato.

Si guardò allo specchio, aveva poco seno per attizzare, la vita sottile e le gambe lunghe, le garantivano alla sua età una figura ancora armoniosa e slanciata.

Non si stupiva degli sguardi accesi nei suoi confronti, quello di cui si meravigliava, ora ripensandoci con calma, era che benché riconoscesse la sua passionalità femminile, al punto tale da comprendere di desiderare un uomo, poi di fatto non riusciva ad instaurare una comunicazione che perdurasse oltre il periodo canonico dei due mesi. Come se ci fosse una tacita regola non scritta tra il “gentil sesso maschile”, che allungare il periodo dei due mesi, avrebbe provocato una paralisi fulminante alle articolazioni inferiori ed il cervello sarebbe andato in pappa. Addirittura sembrava, che l’emotività affettiva, sprigionata dall’intimità fisica di due persone, non dovesse superare lo strato protettivo intimo dell’anima, altrimenti era la fine.

Una volta attivato il processo dell’innamoramento, il rischio di creare una dipendenza emozionale era talmente alto, tanto quanto la persona difronte a te risplendeva di sincero affetto.

Gira che ti rigira il tango visto da questa prospettiva diventava catalizzatore di energie cariche di erotismo, infiammando le fantasie di taluni e portando in milonga una brezza di euforica confusione.

Ma veramente il tango è in grado di allontanarti da ciò che ti è più caro?

La sua mente, come un filtro della macchina del caffè, tralasciava solo ciò ritenuto corretto: un insieme di valori e convinzioni, il resto, rimaneva ben nascosto.

 Il persistente bip del cellulare le impose l’attenzione su dinamiche familiari più complesse.

Uscì dal bagno guardando l’orologio, lo sguardo oltrepassò quel disordine distribuito in modo uniforme, i vestiti indossati la sera prima spiegazzati adagiati un po’ sulla poltroncina e un po’ a terra.

Le scarpe invece non si ricordava che fine avessero fatto, ecco, una si intravedeva da sotto il letto, ma l’altra?  Percorse la stanza senza trovarla fino all’ angolo della scrivania dove una catasta di libri, ogni giorno si alzava sempre di più, storcendosi come la torre di Pisa.

La situazione sarebbe stata recuperabile, se avesse perso meno tempo dietro ai suoi pensieri, avesse fatto andare le mani invece che rincorrere i ricordi.

L’occhio scanzonato e di sufficienza con i quali i suoi figli erano soliti a commentare quello stato di cose, la catapultò nello sconforto di sentirsi una madre inadeguata.

L’ansia fece capolino, inducendola a muoversi nel più breve tempo possibile, almeno le lenzuola e far cambiare l’aria, “la stanza con i letti in ordine ha subito un altro aspetto” era solita a dirle su nonna.

Nel tirare le lenzuola, sentì le mani rugose di sua madre, accarezzavano le sue, nella semplicità di quel gesto, rivide per un breve attimo la stanza di sua madre come la sua, anche lei da giovane donna osservava e giudicava.

Vedova, non divorziata, un’eccezione alla sua età e tra le sue amiche si riteneva fortunata, aveva potuto preservarne il profumo dei fiori di arancio, e dalla distruzione la terra calpestata, giorno dopo giorno, aveva riassorbito la perdita del dolore.  I ragazzi un faro nelle notti più buie. 

Matteo rientrava da una vacanza con gli amici in campeggio e Stephy da Ferrara. L’ affitto del monolocale la costringeva a continue piccole economie, aveva rinunciato all’auto pur di vivere in uno spazio tutto suo.

Si era trasferita da un anno a Ferrara , per completare il dottorato   in poliambulanza nel reparto pediatrico, ultimo arduo step, fatto di sacrifici e rinunce, senza quelle tranquillità sul futuro e l’aiuto economico dei genitori che la sua generazione aveva goduto.

 Stephy sarebbe arrivata in stazione per le 13:00 realizzò tutto di colpo.

La sua spinta affannosa nel coprire con la mente tutte le mancanze sottolineate dai suoi ragazzi le si rivoltò contro in una smania di compiacere; cercava di recuperare una metodicità che non le apparteneva.

I cinque minuti necessari per finire un lavoro, diventavano dieci di ritardo su quello successivo e il rincorrersi delle lancette l’avvisavano del limite che si era data.

 Alle 12:30 avrebbe dovuto trovarsi in macchina se voleva assolutamente arrivare puntuale.

Nell’azionare la macchina, l’orologio sul cruscotto segnava le 12:40.

Traffico, il cellulare iniziò a squillare. “Pronto, ciao Mamma”

“È arrivata?”

“Sto andando a prenderla in stazione, ti chiamiamo noi..”

“Si, va bene , aspetto. Baci”

Doveva riconoscere che sua madre aveva due grandi capacità: la prima, chiamarla sempre nel momento di maggiore tensione tra la partenza o l’arrivo. La seconda capacità mantenere una serena accondiscendenza sugli imprevisti della vita, ed un innegabile tocco contorto nel farti sentire in colpa ed inadeguata, tanto quanto l’inconsapevolezza di questo suo atteggiamento, aveva finito di minare il loro rapporto, al punto che un meccanismo di dipendenza affettiva, giocato sulla sudditanza dei ruoli aveva garantito alcune certezze a sua madre a discapito della sua sicurezza.

Chi con forza affermava che l’amore materno è sempre e solo protettivo e benevolo, lo guardava con perplessità, non esprimeva una parola, in coscienza sapeva che sarebbe andata incontro ad una conversazione sterile.

Già tanto era comprenderlo da sola, per non riproporlo, nel fagocitante gioco al massacro nella comunicazione familiare con i suoi figli, impossibile metterlo in discussione con gli estranei.

La mente e il cuore possono parlarsi? Si chiedeva Elena aspettando sua figlia.

“Mamma, ciao, come stai?”

 Stephy era sciupata, le piangeva il cuore quando la vedeva spenta. A ventisette anni dovresti sorridere sempre.

“Sei magra,” nel dirlo Elena si morse il labbro.

“Guarda non iniziare, sono appena salita ma faccio presto a scendere e chiedere a Laura se posso stare da lei.”

“Ma, no cosa dici è che sono così contenta di vederti, ho già tutto pronto a casa”.

“Matteo dovrebbe arrivare a momenti. Perché non lo chiami? Cerchiamo di capire tra quanto arriva”.

Stefania, la guardò di sott’occhi prese la sigaretta se l’accese.

“Posso? Ti dà fastidio?”

“ Ma no, apri il finestrino. Il viaggio dura poco, ma dovevi proprio fumare ora?”

“Se ti dà fastidio spengo” nel dirlo schiacciò la sigaretta.

Ogni volta che la vedeva, le si stringeva lo stomaco, solo il suono della sua voce lo percepiva come aggressivo, la mortificava, ogni parola implicava un giudizio mascherato di disapprovazione nei suoi confronti. Si girò ad osservarla, le mani stringevano con forza il volante e lo sguardo fisso sulla strada segnavano un volto stanco almeno quanto il suo. Ma che cazzo aveva fatto? Si domandò.

Elena non capiva, ma perché aveva dovuto sottolineare in quel momento il fatto se fumava o no in macchina sua? Che cosa voleva dimostrare? Non poteva accettare che sua figlia vivesse la sua vita come voleva? Doveva per forza mascherare le sue domande. Eppure ci doveva essere un altro modo per comprendersi, la felicità ha senso solo nel momento che la condividevano, ma tra loro non c’era una vera condivisione.

Le emozioni sovrastavano la sua capacità di ascolto, un ascolto dell’altro che il tango ben le aveva insegnato, lasciarsi andare nel respiro.

Cos’è fare tango? Non è forse tango parlare senza parole?

Il silenzio, non è necessariamente il vuoto, crea chiarezza e nel percepire l’aggressiva esclusione dell’altro, comprendi il confine protettivo di te stesso.

Qualunque cosa lei avesse fatto in passato per creare una protezione simile in sua figlia, non avrebbe rinnegato la sua responsabilità ma la capacità di andare oltre comprendere e lasciare andare era qualcosa che poteva insegnare a se stessa e a lei non con le parole ma solo con l’esempio. 

Vi sono degli attimi nella vita di ognuno di noi dove smettiamo di diventare figli per evolverci in genitori ed è quando ci riconosciamo fragili.

Mi voltai e le sorrisi.

“Possiamo riprovare? “

“Non lo so mamma, credimi lo vorrei tanto, ma tu sei perpetuamente lo schema di te stessa”.

Entrammo in casa e qualcosa di veramente insolito ci attendeva, Matteo aveva già buttato la pasta e la stava scolando.

Ci guardò entrambe: “Giusto in tempo, belle donne sedetevi a tavola che ora vi servo subito.”

Stehpy , gli andò incontro un bacio veloce sulla guancia “Stai bene fratellone, le vacanze ti hanno donato”.

Mi guardai intorno, mi morsi il labbro, la cucina non era proprio come l’avevo lasciata ed il mio arrosto era rimasto in forno con le patate.

Mi azzardai a dire. “Avevo già preparato tutto.” Mi bloccai, improvvisazione, contaminazione e inclusione …. forse significava mettersi a tavola, ridere, bere e gustarsi la pasta anche se fosse stata scotta e soprattutto esclusa dal mio programma di dieta.

“Ma è mille volte meglio venir servita, l’arrosto lo teniamo per questa sera..”

“Io non ci sono, sono a fare un ape cena in centro con i miei amici” Matteo, mi guardò aspettandosi da me la solita replica … ma come sei appena tornato a casa ed esci nuovamente…

Stefania aggiunse “Sono a cena a casa dei genitori di Manu”.

“Direi che ora mangiamo la pasta prima che si raffreddi e all’arrosto ci pensiamo domani “.

La carbonara veniva proprio bene a Matteo, si sentiva la cucina con il cuore, vederli seduti accanto a me, anche solo per quei dieci minuti tanto era la fretta che avevano di mangiare velocemente per poi ognuno ritirarsi nelle proprie stanze.

No, non avrei lasciato quella voce malinconica disturbante, lasciarmi reinterpretare la realtà del presente con le lenti dell’amarezza. No, non ci sto, amo me stessa, amo la mia vita e amo i miei figli perché abbiano la loro.

Il cellulare suonò, riconobbi la suoneria di Francesca.

 Risposi: “Cara ho i ragazzi a pranzo ci sentiamo dopo”.

“Un attimo solo, ti ho inviato diversi messaggi, stiamo prenotando per stasera andiamo tutti in Villa Balestri, Milonga con ape cena sei dei nostri?”

Sorrisi, talvolta le cose si incastrano nel modo più imprevedibile, ripensando a come tutto può cambiare in un attimo, la percezione della vita, l’intensità della morte, l’accettazione folle di essere innamorati ci vuole un atto di armoniosa fede verso noi stessi.

“ Si sono dei vostri”.

GALA ROSSINI 2021: La lirica patrimonio culturale Europeo.

Viva Rossini e il festival dedicato a lui, al coraggio dei primi fondatori che hanno saputo con arguzia riscoprire le opere considerate “minori” del Maestro e riproporle .

Un atto dovuto, un riconoscimento postumo comprenderne la delicatezza del messaggio rossiniano, raccolto in un arpeggio musicale e cantato, mascherato dal suono della risata. La sua musica suscita leggerezza nell’animo.

Questo termine “leggerezza” ha condizionato e limitato il giudizio affrettato con il quale i suoi contemporanei e non solo, lo hanno etichettato, riproponendoci sempre e solo le opere di maggior successo: Il barbiere di Siviglia, Guglielmo Tell, L’ italiana in Algeri, La gazza ladra e Semiramide.

Per secoli questa convinzione non ci ha permesso di scoprire l’intima complessità della sua anima.

In Rossini, la leggerezza mascherava la conoscenza profonda della vita, nell’affrontare il dolore ed il perdono.

Il festival di Rossini, non solo ci ha permesso di riscoprirlo ma contemporaneamente, ci ha offerto una seconda chance, occasione rara nella vita, ridare spessore e studio al bel canto italiano.

Rossini è un artista mitteleuropeo, seppe mantenere vive le sue radici culturali italiane, ma scelse di vivere in Francia, fece della resilienza il suo stile di vita e la sua musica ne è lo specchio.

Una chiave di lettura oggi più attuale che mai, la contaminazione se accompagnata dalla risata crea armonia e dove l’uomo distrugge la musica può risanare.

Il festival si conclude e ci dà appuntamento per l’anno prossimo, il gala di chiusura guidato da un giovane e brillante direttore Marco Spotti ha saputo dirigere con sicurezza l’orchestra della Rai ed il Coro del teatro Ventidio Basso.

Un matador, Juan Diego Flórez ha dato il meglio di sè, si leggeva nel volto la soddisfazione di essere presente a questa edizione 2021 segnata dal Covid.

Il confronto con le voci di Cuberli e Riamondi, ci fa sospirare, difficile trovare negli altri interpreti quello smalto, quella dolcezza e ritmicità nel legato.

Che sia andata persa la tecnica d’insegnamento per impostare la voce?

No! Ci assicura l’Accademia Rossiniana sta lavorando assiduamente perché questo non debba mai avvenire, speriamo di vederne presto i risultati al punto da poter dimenticarsi dell’uso del microfono su palchi.

Il soprano Marina Monzó ha le potenzialità di un autentica perla.

Per gli amici vicini che sento sospirare rimpiangendo la crescita del bel canto italiano degli anni ’90, mi sento fiduciosa nell’esprimere questa opinione del tutto personale: ci vuole tempo e dedizione per ricreare dove è stato distrutto per la fretta del business.

La voce, come l’amore richiede tempo e cura.

Vostra Rosaspina Briosa. ®️

Presidente Mattarella al concerto “Gala Rossini

Astor Piazzolla bambino e la storia di “Maria de Buenos Aires”: LA VISIONE DI STEFANIA PANIGHINI

Regia, scene, costumi di Stefania Panighini

Astor Piazzolla fu anche lui un bambino, per capire l’artista occorre percorre i sassolini bianchi lasciati dal fanciullo… e per farlo bisogna saper ascoltare e guadare le cose solo come un bimbo può fare.

Tra bambini il linguaggio è immediato: tanto crudo quanto delicato.

Una contraddizione nata dal percorso di maturità che il bambino deve compiere per diventare una persona consapevole degli altri, per vivere all’interno di una società sana, direbbe l’osservatore adulto, uno schema istintivo dalle connotazioni inconsce, da osservare, specchio delle dinamiche familiari e sociali, direbbe lo psicologo, ma l’artista, che ha mantenuto lo sguardo di bimbo, riderebbe di tutto ciò.

L’artista porterebbe la sua visione, nello stesso modo Stefania Panighini ha dato la sua lettura di questa “operita”, Maria de Buenos Aires, come Astor Piazzolla e Horracio Ferrer, amavano definirla.

Partirò cercando di descrivervi un Piazzolla bambino, per arrivare a raccontarvi di Maria de Buenos Aires e del perché, tra le tante rappresentazioni andate in scena quest’estate, in commemorazione dei 100 anni di Piazzolla, abbia scelto quella della regia ed i costumi di Stefania Panighini.

Il 27 e 28 Agosto a Jesi, in piazza Ferdinando II con il perfetto cast di voci: il mezzo soprano Giuseppina Piunti, nel ruolo di Maria, il baritono Enrico Maria Marabelli nella parte di El Payador e Davide Mancini nei panni di El Duende, sarà possibile assistere ad una delle ultime rappresentazioni programmate per quest’Estate 2021.  Il cast di voci, con la regia musicale e scenica raggiunge un pathos coinvolgente.

Astor Piazzolla nasce nel 1921 a Rio de la Plata, l’estuario formato dall’incontro dei due fiumi, Uruguay e Paraná, con l’Oceano Atlantico, traducibile come “fiume dell’argento”.

I suoi genitori sono immigrati italiani, Vicente Piazzolla originario di Trani in Puglia e la madre Assunta Manetti originaria di Massa Sassorosso in Toscana.

Da piccolo si trasferisce a New York tanto da conoscere meglio l’inglese e trova difficoltà ad esprimersi in spagnolo.

E’ un bambino vivace ed istintivo, la passione musicale è già lì, al punto che di notte scappa da casa con un amico polacco per andare ad Harlem al Cotton Club ad ascoltare l’orchestra di  Cab Calloway ed ha solo 9 anni!

In casa il padre appassionato di tango ascolta sempre i dischi di De Caro, Pedro Laurenz  e tanti altri,  lo indirizza da bambino allo studio del bandoneón regalandogliene uno.

Studia musica classica, Bach lo prende per mano e le sue agili dita riescono a suonare il bandoneón come se fosse un piano; Jazz, Bach, i suoni del tango, tutto è mescolato all’interno della sua mente in un ordine ancora non prestabilito, come quando davanti ad un terrina vuota da bambino ti viene data la possibilità di creare un dolce nuovo: uova , farina, zucchero, burro e lievito quanto basta.

La fatalità del destino, l’incontro con Gardel e la sua partecipazione al film El dia que me Quiera, una piccola particina, lo strillone di strada, ma tanto basta perché scattasse una scintilla tra i due, parole d’incoraggiamento a non abbandonare lo studio musicale e piccoli ingaggi che lo mettono in contatto con il mondo artistico del tango e lentamente la liricità poetica si fa strada silenziosamente nell’anima porteña di Astor.

La famiglia Piazzolla fa ritorno a Rio de la Plata nel 1937 , Astor studia a Buenos Aires vive la città , vive il suo tempo, il peronismo e la sua fine,  l’inizio del golpe da parte dei militari e gli anni a seguire fino a quando lascia l’Argentina per l’Europa.

La città di Buenos Aires è in pieno cambiamento culturale, come lo è il tango, sempre di più abbandonato a se stesso, assopito in un angolo di una sala vuota, dove alle prime luci dell’alba, risuona in lontananza le ultime note di un bandoneón.

Maria de Buenos Aires nasce il 1968 in questo clima di grandi fermenti, è la poesia musicale che negli anni si è fatta strada nel cuore di Piazzolla, dove solo un bambino puro poteva trovare la soluzione per creare un equilibrio nuovo di sonorità, jazz, swing, tango e musica sinfonica.

Operita, sta alla Turandot di Puccini, un passaggio che divide in due parti tutto quello che era il mondo lirico prima della Turandot, da quello che venne in seguito, come altrettanto si può dire di Maria de Buenos Aires, segnò il tracciato per quello che oggi viene definito opera-tango.

La musica precede la Letra de Horacio Ferrer di quasi un anno.

La simbiosi tra le due parti è incredibile, se si pensa come la nascita delle opere liriche avvenisse in strettissima collaborazione tra il Maestro e il suo librettista, qui non accade, eppure la sintonia è totalizzante.

Maria de Buenos Aires simboleggia le traversie e le violenze che in quegli anni Buenos Aires stava vivendo, ed il tango se è il sangue di questa città, si trasforma rinasce o sopravvive nella sua ombra, come un fantasma si evolve in qualcosa che solo la struggente malinconica passione sa riconoscere. 

La messa in scena originale di Maria de Buenos Aires vede la partecipazione degli autori diretti come interpreti e produttori. Il primo debutto è nella Sala Planet della città di Buenos Aires l’8 Maggio 1968.

Il cast era formato da Horacio Ferrer, poeta del testo lirico nel ruolo del recitatore el Duende, Amelita Baltar come Maria ed Héctor de Rosas nel resto dei ruoli maschili, un bandoneón , Astor Piazzolla e dieci musicisti. La mancanza di denaro aveva imposto la scelta per un cast ridotto rispetto all’idea originale.

Lo spettacolo ha un debutto con “tutto esaurito”, ma non ottiene l’approvazione, anche se la critica ne scrive bene.

È un fallimento dal punto di vista economico e lascia gli autori con grossi debiti.

Lo sguardo perso, mai come in quel momento, Piazzolla deve aver assaporato l’intensità di una scelta di vita, il cui messaggio profondo risiedeva nella convinzione che la musica altro non era che la chiave di lettura di una vita per l’umanità possibile e migliore.

La partenza per l’Europa, aprirà una strada nuova alla compagnia di artisti che si muoverà con lui e la sua Maria prima bambina, poi donna e poi fantasma risuona e ricorda, nelle note nostalgiche del tango, che è sempre viva.

L’ Europa, il pubblico europeo meno legato alla tradizione musicale argentina è pronto ad accoglierlo a braccia aperte.  Due sono le grandi protagoniste che  si alternano nel ruolo di Maria, prima  Amelita Baltar e poi Milva la Rossa,  incontrerà il favore del pubblico riscuotendo un riconoscimento univoco.

La trama si sviluppa su due tempi nell’arco di un’ora e mezza.

Ogni tempo è incorniciato all’interno di 8 quadri, creando una simmetria sia musicale che visiva.

Prima parte:

1- Alevare

2- Tema de María (instrumental) 

  aggiunta yo so maria

3- Balada Renga para un Organito Loco.

4- Milonga Carrieguera.

 5- Fuga y Misterio (instrumental)

 6- Poema Valseado

 7- Tocata Rea

8- Miserere Canyengue de los Ladrones Antiguos en las Alcantarillas

 Seconda parte:

9-Contramilonga a la Funeral por la Primera Muerte de María.

 10-Tango del Alba (instrumental)

11- Carta a los Árboles y a las Chimeneas.

12-Aria de los Analistas.

13-Romanza del Duende.

14-Allegro Tangable (Instrumental)

15-Milonga de la Anunciación.

16-Tangus dei

Maria è il filo conduttore con il  quale Piazzolla esprime tutto se stesso, i ricordi della sua infanzia, l’amore per le donne, la sua terra e la sete di libertà

Maria nasce in un sobborgo povero di Buenos Aires, è una giovane operaia onesta, ingenua è sedotta dalla voce ipnotica della città e del tango.

Yo so Maria, è l’aria con la quale si presenta, una fusione di musicalità e poeticità romanticamente vitale, richiama il ricordo musicale di West Side Story, Maria, il sogno americano, di giustizia e amore il sogno argentino di libertà e amore, entrambi spezzati dalla realtà.

Maria diventa cantante e prostituta, è fiera come lo era Carmen, è lei padrona del suo destino e forse per questa impudenza viene condannata a morte dai tenutari dei bordelli.

Dopo la morte di Maria, il suo fantasma si muove in una città divenuta a sua volta lo spetro di se stessa. La sua vera identità, violata ripetitivamente sotto il regime militare, è andata persa.

Lo spettro di Maria si innamora di un folletto, che altro non è che un poeta, da questo amore non può che rinascere una nuova Maria, una nuova Buenos Aires, un nuovo tango.

Maria de Buones Aires – E.I.B.

Perché la regia di Stefania Panighini ha suscitato in me un interesse particolare?

Tre sono le ragioni:

Una visione femminile sulla regia che pone attenzione al dettaglio scenico come introspezione ed il riconoscimento di una capacità logica organizzativa, che il mondo teatrale, ancora oggi, fa fatica a riconoscere alle donne.

Là dove, solitamente la violenza è rappresentata con crudezza quasi palpabile, la Panighini sceglie di cogliere la delicatezza nel dolore violato del ruolo della donna : madre, figlia, amante, prostituta, Buenos Aires diventa il simbolo dell’intera umanità.

L’ atmosfera magica ricreata dai costumi e dalle scene, ci trasporta in un mondo fiabesco, nel quale l’opera stessa prende vita; la magia, una nuvola, il cui compito è solo quello di rendere accettabile la realtà dell’inaccettabile.

La coproduzione con il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona, con il Teatro Pergolesi Spontini di Jesi e con l’Ente Luglio Musicale Trapanese ha reso possibile questo innovativo progetto, al punto che per la prima volta la Fondazione Pergolesi Spontini rende l’opera accessibile a non vedenti/ipovedenti e non udenti/ipoudenti con un servizio di audio introduzione, audiodescrizione e soprattitoli, in collaborazione con la professoressa Elena di Giovanni https://www.fondazionepergolesispontini.com/lirica/opera-accessibile

La regista Stefania Panighini lei stessa ci spiega come:

” In Maria de Buenos Aires l’uso della metafora e della poesia rendono l’opera una magia. L’ambientazione scelta è volutamente povera per sottolineare il contesto in cui è nato il tango, ma ha il sapore dei film di Fernando “Pino Solanas“, scomparso l’anno scorso”.

30.06.2021

“Un tuffo nella poesia profonda, nel mondo del chiaroscuro del tango, un carpiato all’indietro proiettato verso il futuro, il debutto di Eléna sulle scene, il modo più bello di festeggiare i miei primi quarant’anni!”

Una produzione che mi auguro possa girare nei più bei parchi e teatri Italiani e viaggiare per l’Europa, portando quell’aria di freschezza: una visione di coerenza ed impegno, un nuovo femminile che sa porsi all’attenzione del grande pubblico internazionale.

In bocca al lupo Stefania Panighini !

Vostra Rosaspina Briosa ©️

Stefania Panighiniph. Giulia Magrin

http://www.stefaniapanighini.it

https://www.facebook.com/stefaniapanighini

Regista d’Opera

https://www.operabase.com/artists/stefania-panighini-16116/it

Stefania Panighini

Astor Piazzola – Horacio Ferrer, Maria de Buenos Aires – Regia e costumi di Stefania Panighini
Astor Piazzolla – Horacio Ferrer , Maria de Buenos Aires – Ana Karina Rossi , “Maria de la Anunciacion”
Astor Piazzolla Horacio Ferrer, Maria de Buenos Aires – Milva, “Yo soy Maria”
Leonard Bernstein, West Side Story – José Carreras, “Maria”

http://operagiocosa.it/content/maria-de-buenos-aires-2021

http://lugliomusicale.it/maria-de-buenos-aires.php

https://www.fondazionepergolesispontini.com/eventi/maria-de-buenos-aires-stagione-lirica-2021/

Opera Giocosa – Intro “Maria de Buenos Aires

Fonte:

García Brunelli

Omar “La obra de Astor Piazzola y su relación con el tango como especie de música popular urbana

Proyecto final de “Licenciatura en Artes del Teatro / Escenografía” Alumno : Nicolás Deheza

 Septiembre 2014

https://www.todotango.com/historias/cronica/112/La-amistad-entre-Gardel-y-Piazzolla

Laura Escalada, Piazzolla intervista rilasciata a  Bluarte del 22/02/2008  a cura di Antonella Iozzo

Vittoria Maggio articolo del  23/10/2017

https://www.dancehallnews.it/donne-e-tango-maria-de-buenos-aires/

Massimo Maugeri articolo scritto per AGI del 11/03/2021

“Piazzolla, il genio che stravolse la tradizione per farla rivivere”

16/06/21 La Stampa.it

17/06/21 http://www.connessiallopera.it

AlqamaH.it 05/07/2021 “Maria de Buenos Aires: l’opera-tango di Astor Piazzolla sarà in scena al rinnovato Teatro Giuseppe Di Stefano

igv.it Cent’anni di modernità: l’essenza del genio di Piazzolla celebrato “Contaminazioni Liriche Festival 20.21 Fortezza del Priamar ..”

Roberto Cucchi iteatridellest.com

Video LIS Maria de Buenos Aires