LIRICA E TANGO: “Il perdono come fiore della vita”

Vicenzo Bellini – Norma e Enrique Santos Discépolo – Tormenta

Il perdono è uno dei sentimenti più complessi con i quali nell’arco della nostra vita, prima o poi, tutti noi ci dobbiamo confrontare.

“Davanti a questa emozione il tempo è una variabile determinante” afferma Giovanni Jervis, noto psichiatra e sottolineando come questi influenzi il nostro modo di giudicare e di sentire.

Il perdono non è un obbligo e non è pertanto possibile istituzionalizzarlo per quanto ci si provi, rimane prima di tutto un atto libero e personale verso se stessi e verso l’altro.

Ho letto in questi giorni cercando di approfondire la complessità dell’argomento, che chi ha una stima tale da non ammettere che qualcuno lo possa offendere, non avverte il bisogno di perdonare, così come chi avverte l’offesa come un affronto alla propria dignità, non concederà il perdono.

I due casi estremi sono il riflesso e la sintesi della mancanza di dialogo, tanto si è narcisisti o fragili, quanto si innalzano muri in protezione.

La lirica e il tango sono in grado di accompagnarci nei sentieri di questa riflessione, lasciando ad ognuno di noi la libertà di cogliere sfumature diverse e forse abbassare quelle rigidità che ci portiamo dentro; riuscendo così a perdonarci e a perdonare.

Ho trovato particolarmente attuale l’opera di Bellini Norma, per comprendere la complessità della sua trama e le dinamiche degli attori principali, la chiave di lettura è il perdono.

Vicenzo Bellini, artista unico nella panoramica del Bel Canto Italiano, nacque a Catania il 3 Novembre 1801, morì a Parigi all’età di 34 anni nel 1835. Morì quindi giovanissimo ed oltretutto poco dopo il debutto della sua più acclamata opera, I Puritani, proprio come accadè quarant’anni più tardi a Bizet, a pochi mesi dal debutto dell’opera la Carmen, nel 1875.

Parallelismi e fili rossi invisibili legavano artisti unici in quegli anni a Parigi, l’amore e la creatività si intrecciavano come nei romanzi d’amore di quel periodo.

 Rossini, Balzac e Bellini, tutti dovevano aver avuto un tratto comune nella loro intima personalità per essere riusciti a cogliere le attenzioni di mademoiselle Pélissier. Olympe Pélissier era una donna estremamente intelligente e raffinata, ricercatrice, nel gioco della vita, del sentimento di passione, forse questo il filo conduttore che legò i tre uomini e di cui è giunta a noi testimonianza storica.

Tornando a Norma, fu composta in Italia, in tre mesi nel 1830 durante il soggiorno di Bellini a Villa Passalacqua a Moltrasio sul lago di Como. La bellezza di quel luogo non può che predisporre l’animo alla creatività, la giovinezza e la genialità di Bellini fecero il resto e gli permisero di dare vita ad una musica le cui arie ancora oggi sono tra le più difficili da interpretare, richiedono una padronanza tecnica della voce sia del legato che nel fraseggio e non ultimo degli acuti richiesti, non facile da raggiungere senza aver ricevuto in dono, da madre natura, una voce bellissima, bella non è sufficiente.

Per queste ragioni Norma è considerata da tutti i soprani una prova di  “coraggio”, solo la Callas e poche altre riuscirono a rendere a pieno l’intensità drammatica legata a  questa figura.

La trama di Norma, opera in due atti, tratta dal libretto di Felice Romani, scrittore poeta e critico musicale , narra di una vicenda ai tempi dei Galli e del conflitto con i Romani.

La scelta del periodo storico per l’ambientazione è dettata dai canoni della moda di quel tempo, non rappresenta un valore aggiunto per la trama ed è questo a far sì che il messaggio di Norma possa essere attualizzato ancora oggi.

 La musica è al servizio dei personaggi per indirizzarli verso un viaggio nella complessità dell’animo umano, dove per la prima volta nella storia della lirica le personalità degli attori non sono pennellate completamente buone o completamente cattive.

Nel dramma dei rapporti familiari ed istituzionali che le figure di Pollione, Norma, Aldagisa e Oroveso hanno tra loro è sempre il perdono a rimanere al centro del confronto, come un fuoco, una luce con la quale ognuno si deve confrontare.

Norma perdona Pollione per il tradimento alla promessa di fedeltà, nel momento in cui lo percepisce non più come una lesione alla sua dignità, perché l’amore parte sempre da una scelta personale e nessuno può in ciò ledere la stima di sé stessi, ma può avvenire, solo nella dimensione in cui lo permettiamo all’altro.   Norma nel riconoscere questo, perdona se stessa dal senso di colpa per non aver rispettato la promessa dei voti sacri di castità ed espia attraverso il suo sacrificio, il suicidio, il giudizio di una colpa sociale.

Questo passaggio è estremamente delicato, Bellini offrì l’opportunità ai suoi contemporanei, di riflettere sulla variabile tempo e l’insieme dei valori sociali che condizionano il giudizio di colpa sociale e che spingono il genere umano verso comportamenti contrari alla sua natura intima.

 Ciò che una volta veniva inteso deplorevole al punto da richiedere il sacrifico umano e l’ espiazione della colpa con il suicidio, un domani potrebbe forse non essere più necessario.

Pollione inizialmente non si riconosce nessuna colpa, perché ha una stima tale di sé da ritenersi migliore e da non riconoscersi nella posizione di aver ferito l’altra parte.

 Raggiungerà la consapevolezza, del proprio pentimento nel momento in cui riconosce la superiorità morale di Norma.

 Norma, nell’atto di rinunciare alla vendetta, fa sì che Pollione avverta la responsabilità delle proprie azioni e la rabbia iniziale di Norma, non più come un affronto alla sua dignità, al contrario, è il perdono di lei che lo spinge ad un cambiamento profondo.

Aldagisa, figura femminile antagonista di Norma nell’amore a Pollione è l’ inconsapevole miccia che dà via a questo conflitto di emozioni.

Aldagisa, perdona se stessa per aver amato Pollione ed aver infranto a sua volta gli stessi voti di Norma.

Il riconoscersi tra donne le permette di comprendere la debolezza dell’altro.

Aldagisa rimane sola con il suo amore e la consapevolezza che forse il sentimento di Pollione per lei fosse nato dalla spinta della giovinezza, ma non dal quel sentimento profondo che lega le anime in un rapporto di amore e odio.

Oroveso, capo dei Druidi e padre di Norma, rappresenta il perdono istituzionalizzato, quello sociale, nell’accettare il sacrifico della sua unica figlia   e nello stesso tempo rappresenta il perdono, quello più privato ed intimo tra padre e figlia nel mantenere custodite le sue le ultime parole e il suo segreto.

Oroveso mette in salvo la vita dei figli nati da questa unione d’amor tra Pollione e Norma, ma condannati dal senso di colpa sociale.

Vi propongo l’ascolto di un breve pezzo da abbinare con la lettura del testo sovrascritto con un video che permette anche a chi non è solito alla comprensione della lirica di poterlo seguire.

 In mia man al fin tu sei: la scena è una delle più intense, si svolge alla fine del secondo atto.

Pollione è stato scoperto nel suo tentativo di rapire Aldagisa dal tempio, ora è solo con Norma, la quale, con la scusa di volerlo interrogare, ha allontanato i guerrieri e suo padre il druido Oroveso.

Il dialogo tra Norma e Pollione si fa accesso ed intimo, in questa fase passione, amore, odio perdono, tutte le riflessioni fin qui fatte, sono presenti.

Vicenzo Bellini, Norma – In mia man alfin tu sei – Maria Callas, Norma – Mario Filippeschi, Pollione

Se l’opera lirica è riuscita a regalarci emozioni intense e spazi di riflessione profondi, altrettanto è in grado di farlo il tango con una lirica poetica ma completamente diversa, perché arricchita di quella leggerezza che pur non esclude la profondità.

Se qualcuno volesse divertirsi a scrivere la parola tango e perdono su Google, rimarebbe attonito dalla valanga di pagine che gli si aprono.

Ho scelto un tango dove la ricerca della musicalità non fosse da meno dell’intensità delle parole della letra .

Non è possibile mettere a confronto due generi musicali talmente diversi e complessi nelle loro radici e memorie storiche, tanto da rendere quasi impossibile un linguaggio trasversale, tra lirica e tango, se non nella dimensione del rispettoso ascolto dell’ elemento musicale.

Tormenta è un tango scritto e musicato da  Enrique Santos Discépolo, definito  il poeta del tango, un filosofo della vita, figura unica nel panorama della cultura argentina .

Enrique Santos Discépolo nacque in una famiglia di artisti il 27 marzo 1901.

Perse i genitori da piccolo e suo fratello maggiore Armando lo avviò sulla strada dell’arte avendo intuito le sue eclettiche potenzialità: fu compositore, poeta, scrittore, drammaturgo, attore e filosofo.

I suoi testi parlano della vita delle esperienze umane ed è sempre una rilettura della realtà in poesia. La sua forte sensibilità lo portò ad essere sempre un uomo estremamente attento alle tematiche sociali, denunciando la povertà e le disuguaglianze del suo paese. Ne è una testimonianza il video che condivido con voi dove parla con Gardel poco prima di eseguire uno dei suoi brani, Yira Yira.

Nel 1918 a soli 17 anni scrisse le sue prime opere teatrali : El señor cura, El hombre solo, Día Feriado, da lì in poi la sua carriera artistica si fermò solo con la sua morte.

Ebbe un infanzia sofferta, dura, privato del calore di entrambi i genitori, durante la quale subì, umiliazioni da parte di familiari stretti che non erano in grado di accogliere una sensibilità come la sua e riversò nella musica e nelle parole quel sentimento angoscioso che i suoi testi di tango esprimono.

A Montevideo nel 1926 visse il suo primo fallimento come compositore, scrisse un testo marcatamente di denuncia sociale “Qué vachaché”, non fu capito, ma quel tango segnò la sua firma ed unicità, un vero poeta.  Rinunciò più volte a lavori che lo avrebbero arricchito per non scendere a compromessi con il suo sentire ed il rispetto verso se stesso e la sua arte.

La sua composizione come paroliere conta non più di una trentina di testi, ma la qualità delle opere composte rivaleggia con i più grandi poeti contemporanei.

Quando compose il testo del tango che ho proposto nel 1939, Tormenta (Tempesta) , implorando Dio per un perdono verso l’umanità che non comprendeva in un impeto di disperazione scrisse:

“Cosa ho imparato dalla tua mano non va bene per vivere?

Sento che la mia fede sta tremando che le persone cattive vivono, Dio, meglio di me. “

Parole che ancora oggi ci fanno tremare per l’attualità del loro significato.

Il perdono dov’è in questa lirica ?

Il perdono è tutto nell’abbraccio del tango, Tormenta nella sua musica intensa, vibrante con il suono del piano e dei violini, ci accompagna mentre balliamo nella ricerca della connessione e ci trasmette, quel calore necessario per  affrontare la tempesta della vita.

Amo credere che  Enrique Santos Discépolo, ci regali un filo di speranza,  certo che il fiore della vita è lì ad attenderlo, oltre la notte buia del dolore, lo stesso fiore che Norma e Apollonio nel perdonarsi vicendevolmente  hanno trovato.

 Vi propongo l’arrangiamento dell’ orchestra di Di Sarli con la voce intensa e piena dal timbro  tenorile di Mario Pomar  e vi aspetto alla prossima video intervista, ritratti, con il soprano Lucia Conte, con lei proseguiremmo la nostra riflessione sul perdono.

Buon ascolto, come sempre vostra Rosaspina Briosa ©️

Testo della letra Tormenta:

¡Aullando entre relámpagos,  perdido en la tormenta de mi noche interminable, ¡Dios! busco tu nombre…
No quiero que tu rayo me enceguezca entre el horror, porque preciso luz para seguir…
¿Lo que aprendí de tu mano no sirve para vivir?
Yo siento que mi fe se tambalea, que la gente mala, vive ¡Dios! mejor que yo…

Si la vida es el infierno y el honrao vive entre lágrimas, ¿cuál es el bien…
del que lucha en nombre tuyo, limpio, puro?… ¿para qué?…

Si hoy la infamia da el sendero y el amor mata en tu nombre, ¡Dios!, lo que has besao…
El seguirte es dar ventaja y el amarte sucumbir al mal.

No quiero abandonarte, yo, demuestra una vez sola que el traidor no vive impune, ¡Dios! para besarte…

Enséñame una flor que haya nacido el esfuerzo de seguirte, ¡Dios!
Para no odiar al mundo que me desprecia, porque no aprendo a robar…
Y entonces de rodillas, hecho sangre en los guijarros moriré con vos, ¡feliz, Señor!

Traduzione

Urlando in mezzo ai lampi, perso nella tempesta della mia notte interminabile, Dio, cerco il tuo nome.

Non voglio che il tuo raggio mi accechi nell’orrore, perché ho bisogno di luce per continuare….

Quello che ho imparato da te non serve per vivere? Sento che la mia fede traballa,
che la gente malvagia vive, Dio, meglio di me.
Se la vita è l’inferno e l’onesto vive in lacrime, qual è il bene… di chi lotta nel tuo nome,
pulito, puro? … Per che cosa?

Se oggi l’infamia paga e l’amore uccide nel tuo nome, Dio, quello che hai baciato…
ed il seguirti è dar vantaggio e l’amarti soccombere al male.

Non voglio abbandonarti, io, dimostra una sola volta che il traditore non vive impunito, Dio, per baciarti… indicami un fiore che sia nato
dallo sforzo di seguirti, Dio, per non odiare il mondo che mi disprezza, perché non imparo a rubare…

E allora fatte sanguinare le ginocchia sui sassi, morirò con te, felice, Signore!

Enirique Santos Discépolo , Tormenta – Carlos di Sarli, Mario Polar
Carlos Gardel e Enrique Santos Discépolo.

FONTI:

Paul Recoeur; Ricordare, dimenticare, perdonare. L’ enigma del passato (2004)

Giovanni Jervis; Il concetto di colpa, (1996) – da filosofia.rai.it, 4 Aprile 1996

Paolo Cecchi; Temi letterari e individuazione melodrammatica in Norma di Vicenzo Bellini, (1997)

Mónica Fernández ; Enrique Santos Discépolo: una mezcla milafrosa de poesìa y filosofìa.

Enrique Santos Discépolo: A miraculous blend of poetry and philosophy, (2013)

HABANERA, LA DANZA DELL’AMORE TRA LIRICA E TANGO

Tra le opere che maggiormente hanno un richiamo artistico internazionale, al punto tale che tutti, ma dico tutti, sanno riconoscere l’aria cantata alle prime note, vi è Carmen.

Carmen, di Georges Bizet, è un’opera tragica in quattro atti, liberamente tratto dal romanzo Carmen di Prosper Mérimée, andò in scena per la prima volta all’ Opéra -Comique di Parigi, il 3 Marzo 1875.

Siamo talmente catturati dalla sua musicalità e dalla trama rocambolesca, che tutta la nostra curiosità di contemporanei la spendiamo per documentarci sull’opera e conosciamo ben poco del compositore stesso.

La profondità e la complessità psicologica dei personaggi, – Carmen la zingara voce da mezzosoprano, don José il sergente voce da tenore, amante di Carmen, Escamillo torero voce da baritono, corteggiatore di Carmen e rivale di don José, Micaela innamorata di don José voce da soprano e sua amica fedele – hanno fatto di quest’opera un vero capolavoro tanto innovativo nell’ intreccio della storia da apparire scandaloso. Non vi sono figure di riferimento positive o negative, hanno tutti uno spessore umano reale, luce e ombra, come nella vita.

Carmen che canta l’aria di Habanera, il cui testo è scritto direttamente da Bizet, suscita in tutti noi, ancora oggi, la spontanea seduzione della fantasia, della sensualità mascherata dall’ illusione d’amore. Attraverso la rappresentazione scenica, siamo spinti emotivamente a riflessioni personali sul nostro stato attuale di vita sentimentale – immaginate l’effetto che deve aver fatto su un pubblico di fine ‘800 -. Gli spettatori alla “prima” rimasero ammutoliti al punto da ritenere l’opera sovversiva all’ordine sociale.

Bizet, così come la sua Carmen, non si aspettava un finale tragico ed imprevedibile che il destino aveva in serbo per lui, beffandolo della soddisfazione di essere riconosciuto un grande tra i grandi in vita.  Morì all’età di 37 anni, il 3 Giugno 1875, tre mesi dalla rappresentazione della prima, presumibilmente per motivi di salute, era cagionevole e soffriva di “angina pectoris”, dolore al petto causati forse da un’ischemia.

 Un arresto cardiaco improvviso, sicuramente causato da più motivi, non ultimo l’insuccesso di una vita artistica dalle alte aspettative, prognosticatogli ancora da piccolo per il suo talento geniale verso la musica e il pianoforte.

Bizet nacque in una famiglia di musicisti, la madre lo seguì nello studio del piano ed all’età di dieci anni venne ammesso al conservatorio.

Uno studio rigoroso lo portò presto a vincere delle borse di studio, fino a conseguire il premio più ambito il Prix de Rome all’età di vent’anni, garantendogli un soggiorno di cinque anni in Italia, con il compito di inviare una composizione musicale all’Accademia francese una volta all’anno .

 Il periodo in Italia fu il più felice e sereno della sua breve vita.

E’ presumibile pensare che nei suoi viaggi tra Roma, Napoli e Firenze si portò via dei ricordi, delle musiche sentite per strada, frammenti di quadri di vita che ha sintetizzato magistralmente nella Carmen, trasmettendo quella vitalità complessa fatta di contraddizioni che la vita stessa è.

Un magnifico baccano da circo” venne definito dagli orchestrali che trovarono difficoltoso seguire questa nuova partitura.

 La trama della Carmen è complessa – un dramma – che finisce con il femmicidio, – di una donna la cui unica colpa era stata quella di scegliere il proprio destino e di rimanere libera a qualsiasi costo. Questo non era sicuramente il soggetto giusto per una teatro tradizionale ed famigliare, come quello della Opéra -Comique di Parigi, tanto è che venne classificata sotto il  genere opera-comique.

La prima venne accolta freddamente e questo certamente non sostenne il povero Bizet, il quale già usciva provato da un periodo depressivo, a conseguenza della salute cagionevole, dell’affettività familiare difficile con la moglie e il mancato riconoscimento dei suoi lavori da compositore che lo costringevano a lavori alternativi come quello di dare lezione d’insegnamento musicale.

Posso solo immaginare le insicurezze profonde e l’ amarezza che tutto possa avergli causato. La musica, comporre, diveniva così  il suo rifugio privato, ed ecco che Carmen è la sua voce al femminile che esprime la disillusione di una passionalità fatta di carne e sangue che non trova riconoscimento continuativo, perché l’amore è un sentimento ribelle.

L’amore è un uccello ribelle

che nessuno può imprigionare

Ed è proprio invano che chiamiamolo

Se per lui è comodo di rifiutare

Niente lo muove, né minacce né preghiere

Uno parla bene, l’altro rimane zitto

Ed io preferisco quest’altro

Non mi dice niente ma mi piace

L’amore! L’amore! L’amore! L’amor

 L’euforica vitalità musicale che non lascia spazi vuoti e tiene il ritmo serrato si contrappone al dramma della povertà e alla crudezza delle scene di “vita reale”, in un forte contrasto che crea scandalo come solo un’altra opera era stata capace di fare la Traviata.

Carmen, seduce con la sua femminile presenza scenica, è padrona di sé stessa e non si lascia manipolare dalle debolezze dei caratteri maschili, non accettando alcun tipo di compromesso sfida la fatalità drammatica del suo destino, svelatole dalla lettura dei tarocchi. Lei è la padrona del suo corpo, del suo desiderio e della sua vita, ma nello stesso tempo è anche la personificazione di quell’amore bellicoso, tortuoso, che ti spinge nei baratri bui della tua personalità, forzandoti ad osservare cosa c’è oltre il confine dell’amore inteso come la ricerca della propria metà che completa la tua anima.

Nietzsche ha da poco trent’anni quando l’ascolta per la prima volta, ne rimane catturato.   Esultò di ammirazione definendola l’opera perfetta il cui messaggio è quello di interrogarsi sull’amore conflittuale tra i sessi, ed arriva ad affermare che Carmen:

E’ un esercizio di seduzione, irresistibile, satanico, ironico provocante. È così che gli antichi immaginavano Eros. Io non conosco nulla che si avvicini da cantare in Italiano, no in tedesco”.

Con sfacciata presunzione mi permetto di evidenziare come Nietzsche non ebbe l’opportunità di ascoltare certi tanghi o milonghe dove l’esercizio di seduzione è ”irresistibile, satanico, ironico e provocante” , aggettivi perfetti con il quale descrivere il magico connubio tra musica e poesia tanguera, una ricerca filosofica del sentimento umano tanto intenso quanto quello espresso nella lirica.

George Bizet prese ispirazione per la composizione della Habanera, da Sebastian de Iaradin con il brano “El Arreglito“, ne cambia l’armonia e diventa un capolavoro assoluto frutto d’ispirazione per altri brani musicali.

La sonorità di “Oh Sole mio“, di cui vi propongo l’ascolto musicale di Tito Schipa, riconosciuto come il primo tenore del Tango, ne è un esempio, ma non l’unico, anche per la cultura tanguera un filo rosso lega Habanera di Bizet alla milonga “Se dice di me”.

 Doveroso è l’omaggio all’ interpretazione cantata da Tita Merello.

Non sono solo, il testo e la musica frizzante della milonga a creare questo collegamento con Habanera, bensì la struttura psicologica del personaggio femminile interpretato da Tita Merello nel tango simboleggia  la stessa  della Carmen.

La milonga ha origini legate alla musicalità africana che sono ampiamente esplicitate in un bellissimo saggio scritto dalla professoressa Lisa Avanzi, la quale  ha reso usufruibile il testo tramite il portale  “socialtango” in Facebook.

In questo saggio, la Calenda, viene descritta come una danza d’amore afro – americana, di cui si ha ha la prima testimonianza dai documenti scritti nel 1805 da parte di un ufficiale inglese Marcus Rainsford, che la vide durante un suo viaggio ad Haiti. Il percorso dettagliato dell’evoluzione di questa danza descritto da Lisa Avanzi, evidenzia come sia arrivata a Cuba in un processo di contaminazione nato dagli scambi commerciali del tabacco e dello zucchero. La musica e la danza, così come il cibo e la lingua parlata, sono elementi di evoluzione ed integrazione sociale.

La migrazione di conoscenze crea contaminazione e dà vita ad ispirazioni di danze nuove che, tra Santo Domingo, Cuba, Argentina ed  Uruguay, viene definita “controdanza”.

Gli schiavi africani nell’adattarsi al contesto sociale di convivenza con i bianchi e i loro usi, modificano la loro espressione comunicativa nel ballo.

Alcune movenze diventano sessualmente meno esplicite e  viene introdotto il ballo di coppia con una forma più leggibile alla cultura europea; ottenendo in questo modo, il permesso di esibirsi alle feste popolari.

Dal 1840  Walzer, Polca e Mazurka sono ballati ovunque.

Questa volta sono i “negri” che si appropriano delle movenze adattandole ai loro ritmi e dando vita al filone della musica e della danza latino americana: rumba, samba, maxixe e tango.

La danza Habanera, secondo lo studio musicologo cubano Emilio Grenet è un’evoluzione della “controdanza”, divenuta espressione della coppia che balla unita.

Non si sa con precisione quando arrivi l’Habanera nell’area di Rio de la Plata, gli storici collocano il periodo introno al 1860.

Probabilmente si diffuse attraverso due percorsi diversi, uno con i marinai nelle classi popolari, adottando la versione più spinta, e un altro attraverso le classi agiate nei teatri, adottandone una forma più elegante e sobria per le sale da ballo.

Il ritmo del tango africano dell’ Habanera portava con sé il desiderio di libertà dalle costrizioni sociali e morali dell’epoca vittoriana.

Se Habanera ha accesso la scintilla d’ispirazione a Bizet nel 1875, niente esclude che attraverso il teatro Colon e la rappresentazione della Carmen, la sua forza passionale non abbia ispirato le più belle milonghe dei nostri tempi.

La musica è quella forma di comunicazione trasversale che ci aiuta comprendere chi siamo e dove vogliamo andare.

Buon Ballo a tutti.

Rosapina Briosa ©️

HABANERA, Georges Bizet – Carmen, Conchita Supervìa
HABANERA Georges Bizet – Carmen. Elena Obraztsova
HABANERA Georges Bizet – Carmen. Maria Callas
OH SOLE MIO – Tito Schipa
EL ARREGLITO Sebastiàn Yradier
SE DICE DE MI – Tita Merello