“RITRATTI di Rosaspina Briosa”: FABRIZIO MOCATA: Maestro di sogni musicali

Fabrizio Mocata, compositore e pianista conosciuto ed apprezzato sia in Italia che all’estero, da Montevideo a Buenos Aires, per il suo formidabile talento fluido e versatile, ci accompagna tra le note del jazz e del tango alla scoperta della creatività musicale.

Raccontarsi con spontanea semplicità è il dono che solo i grandi hanno.

Vissi d’arte.

Buon ascolto dalla Vostra Rosaspina Briosa®️

Intervista Fabrizio MocataRosaspina Briosa

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Fabrizio Mocata e Fabián Bertero Cruzando Aguas

LIRICA E TANGO: la bellezza del femminile nel costume di scena

La figura femminile, sia nella lirica che nel tango, viene valorizzata dall’abito indossato.

La sua creazione da parte dei costumisti aggiunge un valore importante per il gioco di illusione e fantasia creato nella immedesimazione del personaggio, sia essa la soprano che si esibisce nel ruolo di Mimì, oppure la tanguera che si presenta nell’arena della milonga, entrambe attraverso l’abito indossato rimandano un’immagine di sé,  sensuale, fatale, romantica o timida.

I costumi teatrali fino al 1700, non rispondevano ai criteri di ricerca storica e realistica dell’opera eseguita, davano molto più valore all’estetica ed avevano il compito di valorizzare al massimo la ricchezza e la bellezza.

Occorrerà aspettare la nascita di Francois – Joseph Talma, perché si inizi a valorizzare l’ambientazione storica corretta, l’arte scenica era inquinata si usava rappresentare la tragedia classica con il vestiario contemporaneo. Talma nato nel 1793 a Parigi, morì il 17 Ottobre 1826, passò quindi attraverso la rivoluzione francese che cambiò profondamente il modo di fare teatro, iniziò così a curare la scenografia, i costumi e i dettagli storici delle pièces teatrali.

Dall’ 800 in poi il costume scenico acquista sempre più importanza, al punto tale che era consuetudine per i cantanti e gli attori comprarseli personalmente, venivano approvati i bozzetti, arricchiti da passamanerie impreziosite, talvolta perfino da gemme preziose.

Il vestito costruito “su misura” risultava comodo alla soprano che spesso si vedeva costretta ad indossare strutture articolate per rispettare i canoni storici, risultando così scomodi, basti pensare ai busti e alle crinoline.

La coreografia scenica ed i costumi indossati non sempre si armonizzavano tra di loro, in quanto non vi era ancora la figura del costumista che seguendo le indicazioni del regista avrebbe curato tutta la messa in opera. Perché occorrerà aspettare la fine dell’ 800, quando i grandi teatri inizieranno ad aprire la loro sartoria.

Successivamente si inizierà a portare sul palco gli abiti della vita contemporanea per un’interpretazione modernistica dell’opera. Gli abiti rivestono un significato simbolico, esoterico e, talvolta, perfino psicoanalitico, come è accaduto nell’ultima edizione di Salomè alla Scala con la regia di Damiano Michieletto.

Oggi possiamo grazie ad alcune collezioni private, come quella del Museo Tebaldi a Grosseto, che invito a visitare, non solo per la bellezza dei costumi scenici esposti all’interno del museo, ma anche per il percorso informativo sulla vita della signora Tebaldi, avendo così un’occasione per percorrere la storia degli anni d’oro della lirica italiana.

Il respiro dell’offerta proposta, dal Museo Teatrale alla Scala, è tale da coinvolgere non solo gli appassionati dell’opera, i tesori del museo sono alla portata di tutti e valgono un viaggio.

Un’altra collezione interessante è la Mostra permanente di costumi teatrali di Serrone. E’ l’unica mostra di questo genere esistente nella Regione Lazio ed una delle poche in Italia. I costumi teatrali sono stati realizzati nel corso della brillante carriera da Beatrice Minori, sarta della RAI tv e sarta personale di Eduardo de Filippo, oltre che collaboratrice di importanti registi italiani.

Non meno importanza riveste l’abito da tango con una storia più recente ma assai interessante.

Fin dagli albori della vita tanguera, l’abito e la scarpa rappresentano nell’immaginario collettivo della comunità tanguera, gli strumenti con i quali la tanguera valorizzava sia l’immagine voluta dare di sé, che lo stile di ballo.

Occorre distinguere gli abiti tra quelli utilizzati per le esibizioni dalle professioniste in Milonga, nelle competizioni o per spettacoli teatrali di tango scenario, da quelli indossati dalle tanguere per andare in Milonga.

La ricercatezza dei modelli, dei colori e dei lustrini ha avuto un’evoluzione nel tempo, un cambiamento dettato dagli influssi della moda dell’epoca e dai cambiamenti culturali e musicali.

In Europa il fenomeno delle sartine, giovani donne lavoratrici dei primi del ‘900 era talmente diffuso a Parigi che venne dedicato a loro una festa la patrona Santa Caterina d’Alessandria protettrice delle apprendiste sarte che presero il soprannome di “caterinette”, si deve a loro probabilmente i primi abiti da tango.

I drappeggi, i tessuti e i ricami evidenziano lo status sociale della tanguera.

Il satin divenne il tessuto più ricercato ed i colori arancio e giallo i più richiesti.

Vi erano abiti eleganti per le milonghe dell’alta borghesia ed abiti più semplici per le milonghe nei parchi e nei caffè. Gli uomini indossavano la divisa da gaucho, giacca nera, camicia bianca e cravatta, pantaloni a righe grigio e nero.

El Chacafaz indossava lo smoking in Milonga.

Negli anni ’50 la moda del tango ebbe un brusco fermo, il tango era stato surclassato dal Rock n’ Roll.

Occorrerà attendere l’uragano Maria Nieves e il suo compagno Juan Carlos Coppes, perché il tango ritorni in vita come una fenice, sono loro i protagonisti di questa rinascita, grazie ai loro spettacoli teatrali che riportarono il tango in auge calcando i palcoscenici più importanti d’ Europa.

 La nuova musicalità richiedeva un’interpretazione del tango in sintonia con le giovani generazioni, l’abito si fa più morbido, con trasparenze e spacchi, le gonne larghe e fluttuanti, tutto centrato sulla comodità del movimento.

E’ stato inaugurato a Buenos Aires, il Museo de la storia del Traje, museo della storia del costume, con un padiglione interamente dedicata alla storia del tango e della moda tanguera “Se dice de Mi“, non poteva essere scelto un titolo più adatto per omaggiare l’evoluzione del femminile.

Esposti vi sono gli abiti di Maria Nieves indossati durante i suoi spettacoli.

Un abito sicuramente non ci dà l’esperienza e la conoscenza tecnica per ballare bene, ma ci aiuta a vederci belle  e più sicure,  la prospettiva cambia  e con essa la modalità con la quale si affronta la milonga.

Seguono tre brevi interviste, una  alla costumista di teatro  e di abiti da tango Manuela Gandolfi con la sua linea Dancerie, e alle  stiliste di tango  Marigrazia Spinelli con il suo brand Nudapassione   e Elena Cappelli con il marchio ElenaT  dove la T sta per tango.

Come sempre buona visione, Vostra Rosaspina Briosa®️

Manuela Gandolfi – Dancerine – Rosaspina Briosa

Mariagrazia Spinelli – Nudapassione – Rosaspina Briosa
Elena Cappelli – ElenaT – Rosaspina Briosa
Modelli per un giorno

FONTE:

“Indagine: moda e costume nel Teatro europeo del Novecento” di Antonella De Nisco

tacchisolitari.altervista.org “la storia la strada del tango l’evoluzione della moda tanguera”

clipse-magazine.it “Cultura teatro prosa uno dei primi divi di Francia Francois Joseph Talma”

TEATRO COLÓN l’anima dell’Argentina: LIRICA e TANGO

Teatro Colón

Vi è un luogo, dove lirica e tango si incontrano, si comprendono e si rispettano.

Le prime pietre ne forgiano il carattere e la bellezza, simulacro di quella architettura rinascimentale italiana, fatta di linee eleganti ed equilibrate, che ci hanno resi famosi nel mondo dal Bernini al Palladio.

Parlo del Teatro Colón di Buenos Aires, la cui realizzazione fu iniziata nel 1889 per opera di due architetti Italiani, Francesco Tamburini e Vittorio Meano, che ne vedono la nascita, ma non la realizzazione finale, completata nel 1908.

Il teatro Colón trasuda passione ancor prima della sua progettazione, quasi che il destino dell’uomo che ne disegnò la prospettiva architettonica, Vittorio Meano, con la sua vita rocambolesca e passionale, fosse predestinato a lasciare il suo nome legato a quelle pietre.

 Un avvincente romanzo storico “C’era un italiano in Argentina”, scritto da Claudio Martino e Paolo Pedrini, delinea non solo un’epoca storica e catapultandoci nella Argentina di fine ‘800, ma fa luce ad una vera storia di intrighi, potere, soldi e tradimenti dietro alla costruzione del Teatro Colón pari all’omicidio di  Michele Sindona per il crack del Banco Ambrosiano dei giorni nostri.

Francesco Tamburini, noto ed apprezzato architetto in Argentina, durante una visita a Torino ha modo di apprezzare i disegni innovativi di Vittorio Meano e lo invita a partire con lui per l’Argentina.

Meano accetta di buon grado, perché questa nuova vita gli permette di coronare il suo sogno d’amore, parte con la compagna Luigia che, pur di seguirlo, abbandona marito e figlio. Possiamo solo immaginare il dolore straziante dell’abbandono del figlio che quella donna provò allora in una società che non solo la condannava moralmente per aver scelto la propria felicità, ma le precludeva addirittura il diritto di madre; i figli erano tutelati per legge come proprietà del padre.

La bellissima Luigia parte con Meano, non sapendo a quale tipo di vita sarà destinata, probabilmente non immaginava che presto Meano avrebbe raggiunto grazie al suo talento, il successo sociale e uno stato di ricchezza ragguardevole.

 La morte prematura di Francesco Tamburini nel 1891, causato probabilmente dal forte stress dovuto al tracollo finanziario per la crisi inflazionistica che colpi l’Argentina, lascia Vittorio Meano a capo dello studio di architettura più importante di Buenos Aires.

L’ architetto Meano, modifica ed apporta migliorie sostanziali al progetto iniziale di Tamburini, si avvale della collaborazione per i lavori della impresa di costruzioni Ferrari che dopo pochi anni fallisce. Responsabile dei lavori maneggia i fondi destinati alla costruzione e li distribuisce, il sospetto di illeciti si fa strada, la stampa e l’opinione pubblica chiedono chiarezza.

Ne nasce un processo che lo vede unico imputato e responsabile di corruzione complessiva.

Oggi lo definiremmo un sistema di tangenti.

Meano non ci sta, lo fa capire probabilmente ai suoi amici di merenda, poco dopo, lo scandalo, assassinato per mano dell’amante della bella Luigina.

Una storia di passione dove il coltello è l’arma con la quale si regolano i conti tra uomini, avrà infiammato l’opinione pubblica distogliendo l’attenzione sui possibili politici corrotti, un dramma verdiano, amore tradimento e sangue, un richiamo alle storie cantate dal tango, questo è il sangue che scorre nelle vene del Teatro Colón.

Le linee intrecciate delle vite parallele di questi invisibili protagonisti, sarebbero andate perdute nell’oblio della storia, se non fosse per il certosino lavoro di ricostruzione storica di Pedrini e Martino.

Alla morte di Vittorio Meano nel 1904, subentra l’architetto Julio Dormal che porta a termine i lavori rispettando i disegni di Meano, sia per il teatro Colón che per l’imponente Palazzo del congresso che accoglie il Parlamento Argentino.

Nel 1908 i lavori sono conclusi, seppur non definitivamente; proseguiranno negli anni successivi, arricchendo il teatro di decorazioni pittoriche. Ciò nonostante il teatro con i suoi 2487 posti, è pronto ad accogliere i più grandi artisti nella sua meravigliosa sala con 7 ordini ed un’acustica tra le migliori del mondo, frutto di calcoli precisi, del materiale utilizzato e di un gioco di spazi, rifrazioni. Nessuno aveva previsto un risultato simile.

Un sogno si realizza, il teatro assume per l’intera Argentina il valore della rinascita, rappresenta il suo riscatto sociale e nell’immaginario collettivo è la fenice che risorge dalla povertà.

Questa ora si presenta all’ Europa ed al resto del mondo con il volto di una nazione colta e ricca.

La prima assoluta è il 25 Maggio 1908. L’Aida di Giuseppe Verdi, diretta da Luigi Mancinelli, la quale sarà anche l’opera più rappresentata negli anni a seguire.

Il programma lirico di apertura è degno dei più prestigiosi teatri internazionali, grazie alla collaborazione artistica manageriale dello Stin (Società teatrale internazionale) fondata nel 1908, per contrastare la crisi profonda che l’opera stava attraversando in quegli anni, dei più bei nomi della cultura artistica presente in Italia: Ettore Mascagni, gli editori Sozogno l’agente Walter Mocchi e Emma Carelli.   Si creò una rete di collaborazione con i teatri di maggior prestigio estero. Lo scambio delle compagnie tra l’Italia ed il Sud America, diventa un business internazionale, gettando le basi di una collaborazione proficua  tra Il Costanzi , la Scala , Il Colón, l’Operà Comique e l’ Operà di Parigi.

Questo è lo scenario con il quale il teatro Colón diventa il tempio della lirica.

Il Colón è argentino, è espressione di un forte sentimento nazionale e le sue porte si aprono da subito anche al tango.

Nel 1910 si ballava all’interno del Colón per Carneval e  la banda comunale diretta da Alfonso Paolantonio nel suo programma inserì anche dei tanghi. Questi eventi ricorrenti crearono le basi per il “Grande Festival artistico”, che dal 1928 in poi sdoganò il tango definitivamente venendo riconosciuto ed apprezzato nella sua forma artistica e poetica.

Nel 1931 una gara di canto dette il titolo di “regina del tango” a Libertad  Lamarque, voce splendida, la sua interpretazione di “El dia que me quieras” rivaleggia e tiene testa con le più belle voci di oggi e di sempre, come Mercedes Sosa e Susana Rinaldi.   Attendo con curiosità l’ascolto di voci nuove che sappiano con profondo equilibrio trasmettere la poeticità di questo testo, una voce come quella di Lucia Conte, potrebbe stupirci.

Da lì in poi, fu un susseguirsi sul palco del Colón le più belle orchestre di tango, Francisco Cannaro, Miguel Calo, Juan D’ Arienzo, Carlos di Sarli, Julio de Caro,  Mariano Mores e tanti altri.

Nel 1964 venne presentato lo spettacolo “Tango” con Anibal Troilo, come figura centrale, lasciò il pubblico letteralmente senza fiato; ma l’ovazione più forte che il tango ancora oggi ricorda nel tempio della lirica è per Pugliese quando nella esibizione del 1985, all’età di 80 anni incantò con la grazia del suo magnetismo ed una platea intera si alzò in piedi all’urlo “ Al Colón”.

Per concludere, il 10 Marzo 2021 il Teatro Colón ha riaperto le sue porte per omaggiare il rivoluzionario del tango “Piazzolla”.

Che augurio mi faccio? Quello di poter assistere allo sdoganamento del Tango anche in Italia, la possibilità di apprezzare la sua voce grazie all’acustica perfetta dei nostri teatri lirici.

Buon Ascolto!

La vostra Rosaspina.

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

Aida di Giuseppe Verdi – Teatro Colón 1968 -Carlo Bergonzi e Martina A rroyo
Anibal “Pichuco” Troilo
Libertad Lamarque – El dia que me quieras di Carlo Gardel
Susana Rinaldi – El dia que me quiera – di Carlo Gardel
Osvaldo Pugliese – Desde el Alma – concerto 1985 teatro Colón

Fonte :

Professore Matteo Paoletti : Mascagni, Mocchi, Sonzogno Società Teatrale Internazionale (1908-1931) e i suoi protagonisti

European Musical Heritage and Migration.

Articolo di Paola Mildonian del 26 Settembre 2003

Articolo del 17 Gennaio 2016  “Il signor nessuno a Buenos Aires.”

Paolo Pedrini e Claudio Martino

http://www.vivilargentina.com/signor-nessuno-buenos-aires/

Rivista Wam articolo Columa de tango: El teatro Colón

http://www.revistawam.com/columna-tango-duo-la-vida-2-2/

https://teatrocolon.org.ar/es/historia

8 Marzo 2021, il giorno del non ricordo

8 Marzo

J’ accuse .

L’ipocrisia galante della cultura, della politica, della religione di mascherare la disfunzionalità dell’ individuo, della famiglia, della società, camuffando e legittimando sentimenti e azioni in profonda contradizione tra loro.

Investire nell’essere umano, significa, investire nella conoscenza di se stessi, partendo da un educazione dei sentimenti e la capacità di esprimerli anche attraverso una comunicazione conflittuale, un processo che si inizia da piccoli e non si finisce mai d’imparare.

Ecco che le donne hanno un ruolo chiave in questa evoluzione di crescita dell’ essere umano. La nostra è una consapevolezza in movimento che, è tanto più efficace, quanto come individuo singolo siamo in grado darci valore. Riconoscere ed opporsi a comportamenti e messaggi disfunzionali, offensivi, di violenza psicologica e ricattatori, nella quotidianità significa oggi, come ieri, essere esclusi e talvolta isolati. Si inizia in famiglia, tra fratelli, genitori, nonni, tra i banchi dell’asilo, tra amiche all’aperitivo, tra colleghe in ufficio, tra mamme all’uscita di scuola e tra donne innamorate.

La conflittualità è una grande risorsa, un bene prezioso, se impariamo ad esprimerlo senza temerlo è il primo passo che ci porterà verso la conoscenza e quindi alla possibilità di scelta e di libertà.

VIva la Musica, Viva le Donne, per oggi è ancora un giorno di Festa !

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

LE “DIVINE” NELL’OPERA E NEL TANGO

Maria Callas – Paquita Bernardo

New York , 16 Settembre 1968

La luce dello specchio le rimandava il suo sguardo, ancora febbricitante per la grande emozione condivisa con il pubblico del Metropolitan.

Ricomporsi, ritornare emotivamente al qui e ora era uno sforzo intenso.

La voce era uno strumento tecnicamente perfetto, ma perché suonasse con quel pathos richiedeva l’immedesimazione totale e per fare ciò, lei si esponeva nuda, all’intimità emotiva.

La sua Lucia era lei stessa.

Sentì, in quell’attimo nel quale stava ancora vibrando per gli applausi ricevuti, un bussare deciso. Iniziò focalizzare il camerino attorno a sé, i piedi ancorati al pavimento e le mani non tremarono più. Silenzio.

Chi poteva essere?

 Gettò velocemente il batuffolo di cotone che teneva tra le mani nel cestino, si girò e disse: «Avanti.»

Non ci furono parole, entrambe nel silenzio con lo sguardo si abbracciarono, perché quell’energia inspiegabile illuminava ed inumidiva entrambe.

La consapevolezza del tempo e dell’orgoglio che le aveva tenute lontane, all’improvviso svanì……… non erano Divine erano Donne.

Oggi 8 Marzo 2021, ho voluto ricordare l’unico incontro avvenuto tra Callas e Tebaldi, perché anche la storia può essere riletta e possiamo noi donne evidenziare la collaborazione e non la rivalità, sia dal punto di vista artistico, lavorativo, familiare e sociale.

 Possiamo essere consapevoli dei ruoli e dell’immaginario che nei secoli ci sono stati cuciti addosso, ma di cui oggi abbiamo il diritto di rivendicare con determinazione. Siamo noi a decidere, perché valiamo e perché i tempi sono maturi per non farci tirare i fili come burattine, da stereotipi culturali che ormai ci stanno stretti.

L’inconscio archetipo ci vuole remissive e angeliche nell’immaginario collettivo o donne vampiro, estremamente sensuali in controllo del nostro potere seduttivo. Un contrasto forte con la realtà quotidiana, dove le donne sono invece sempre di più oggetto-sessuale e sempre di più economicamente non indipendenti, al punto tale, che la situazione attuale del Covid ne ha messo in evidenza la drammatica fragilità.

E se per l’opera ho voluto ricordare l’incontro tra Callas e Tebaldi, per il tango ho un solo nome da proporvi oggi: Paquita Bernardo, la signora del bandoneòn, giovanissima creò una sua orchestra in un momento storico non meno difficile di quello di oggi, dove la musica era il regno degli uomini e dove le donne in Argentina negli anni 20 erano come quelle di oggi ancora remissive.

Un talento, ed un amore per la musica che la porterà a rinunciare ad una dimensione femminile per rimanere completamente libera. Lo stesso Gardel desidera cantare sulle sue note e un giovanissimo Osvaldo Pugliese suona con lei, fu la sua fortuna, perché gli permise di accostarsi alla parte femminile che ogni uomo ha dentro di sé, confrontarsi con essa gli permise di rompere gli schemi musicali ed osare.

Paquita morirà a 25 anni per Tubercolosi, troppo presto, riuscì comunque a lasciare dietro di sé, le tracce del suo profumo.

Un altro profumo intenso, questa volta tutto italiano è quello di Emma Carelli, ma di lei parlerò nei prossimi appunti di viaggio. Anche il suo un profumo che rimase soffocato per troppo tempo, perso come tanti altri splendidi profumi di donne artiste, giornaliste, scienziate, politiche, profumi che la storia scritta da uomini per una società maschile tende a dimenticarsi.

È il profumo di donna che risveglia in ognuno di noi la parte migliore. Lasciatevi sedurre da questo profumo, non temetelo uomini e donne, noi ragazze siamo destinate a compiere cose grandi!

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

Paquita La flor de Villa Crespo
Renata Tebaldi: Cilea-Adriana Lecouvreur, “Io son l’umile ancella”.
Maria Callas: Bellini-Norma, “Casta Diva”

TOTI DAL MONTE E TITA MERELLO: L’indipendenza delle donne nella lirica e nel tango

Tita Merello – Toti Dal Monte

Il primo articolo di una pagina di blog non è mai facile da scrivere.

 La mente sollecitata da suoni e ricordi, mi ha messo profondamente in crisi. Scegliere, comportava la spiacevole sensazione di escludere qualcosa o qualcuno e questo non era l’inizio che volevo dare. Poi come spesso accade, la soluzione si presenta semplicemente davanti a te.

Due nomi, due icone opposte, con due vite profondamente diverse, ma la stessa autentica passione per la musica le accomuna.

Tita Merello, cresciuta in Argentina, Buenos Aires, nella povertà più assoluta, dove la paura e la vergogna, la spinsero ad esibirsi giovanissima al “Ba ta clan”, un teatro vicino al porto frequentato da marinai e gente malavitosa. Toti Dal Monte, giovane bambina orfana di madre all’età di sei anni, cresce protetta dall’affetto di suo padre, maestro di musica che intuisce la sua predisposizione musicale e la indirizza allo studio del pianoforte al conservatorio di Venezia. Per 8 anni vi si dedica con estremo impegno. Non sarà mai una pianista, le sue mani sono troppo piccole, non riesce a coprire un’ottava. È il sostegno del padre a darle forza di riciclarsi e l’insegnamento di Barbara Marchisio, celebre contralto, a curare la sua formazione di canto, senza chiedere alcun compenso. Ben diverso è il percorso di Tita Merello studia da sola e impara dalla vita di strada come proteggersi, utilizza il canto come arma di seduzione e prepotenza per difendersi. Arricchisce la sua voce di quella forza graffiante e passionale dettata da chi sa cosa significa soffrire la fame. Toti Dal Monte, nella cura ammirevole di chi credeva in lei, rafforza la sua volontà e determinazione tanto che a soli 23 anni debutta nel 1916, al Teatro alla scala di Milano in Francesca da Rimini di Zandonai nella parte di Biancofiore. La voce di Toti Dal Monte sapeva commuovere nel profondo chi l’ascoltava, aveva mantenuto la fiduciosa dolcezza che non si spezza difronte ai dolori più profondi della vita. Questo era il segreto della sua voce, la sua personale sensibilità e bontà d’animo le permisero di raggiungere interpretazioni così sincere da essere considerata da Toscanini la sua beniamina. Ragguardevoli le interpretazioni di Butterfly di Puccini, non disponiamo purtroppo di registrazioni con un suono pulito e l’ascolto diviene difficile se non si ha l’orecchio allenato. Il suo nome tra i giovani appassionati gira poco, perché le registrazioni storiche disponibili su youtube sono rare, ed è, soprattutto grazie a al concorso internazionali per cantanti che si tiene a Treviso ogni anno, che il suo ricordo rimane caro a tanti. Nel 1916 mentre Toti Dal Monte apre la sua carriera lirica nei più bei teatri italiani, Tita Merello compiva 12 anni e cantava a squarciagola scalza per strada, attirando già allora gli sguardi talvolta lascivi dei passanti, catturati dal quel suono angelico e passionale che la caratterizzò nel suo repertorio da adulta.   A soli 18 anni Tita Merello debuttò nel1922 come corista al Ba ta clan, cantò il suo primo tango “Trago Amargo” e conquistò il suo pubblico, con il suo sarcasmo e la sua presenza scenica. Da lì in poi nessuno più la fermò, teatro, cinema e radio, tutto prese con quella fame negli occhi che urlavano sono viva! Nello stesso anno Toti Dal Monte era ormai una soprana lirica internazionale: una primadonna mignon intimamente legata alla propria veneticità, da un cuore semplice e puro, perché, nella sua intimità non aveva mai lasciato la mano di quella bimba che nel suo lettuccio cercava ancora la mamma.

Ho scelto due brani tra i tanti che ho ascoltato. Una deliziosa Toti Dal Monte nel ruolo di Rosina, tratto dal Barbiere di Siviglia di Rossini e una mirabile interpretazione di Tita Merello nel tango milonga di Francesco Canaro “Se dice de mi” . Entrambe esprimono con il canto la voglia di non essere più la marionetta di nessuno e nella consapevolezza di sapere “chi sono” e “cosa vogliono” si oppongono ad una società patriarcale, che ahimè, ancora oggi vige. Tra i due testi scorre un secolo, ma la freschezza di dei brani e l’interpretazione di queste meravigliose “Divine” mette ancora oggi i brividi e rende attuale le due figure femminili.

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

TOTI DAL MONTE “Rosina” dal Barbiere di Siviglia di Rossini
TITA MERELLO “Se dice de mi” di Francesco Canaro

Note: Gazzettino 25 Gennaio 2015 Toti Dal Monte voce mai spenta

Note: La Tita de Buenos Aires di Marisa D’ Agostino