10 luglio 2022, il concerto al Vittoriale di Vecchioni rimarrà una data storica per coloro che hanno potuto assistervi, uno spettacolo magistralmente gestito sotto lo sguardo della Luna, pure lei ieri sera ha pianto.
Vecchioni, un poeta, uno degli ultimi cantautori del ventesimo secolo, ha presentato ogni canzone partendo da una riflessione personale, arricchendola di aneddoti e citazioni che hanno strappato più di una risata.
Samarcanda questa volta ha aperto il concerto, un omaggio alle nipotine presenti in sala, che si erano lamentate con il nonno perché solito inserire questo brano in chiusura dei suoi spettacoli, e loro troppo stanche, addormentandosi lo perdevano.
Vecchioni ci ha preso per mano, uno ad uno e nelle due ore e mezza che sono seguite, ci ha fatto vedere una notte illuminata dalla parola amore.
Un amore grande per la vita e per l’uomo, rammentandoci che è la forza del nostro sorriso a determinare gli anni della nostra vita.
Le canzoni più belle si susseguono e sono i versi a rimanere leggiadri nella loro profondità:
“ogni destino nasce dentro un addio, oppure il mio mestiere è la mia ragazza e tutta la bellezza mi scappa via e mi lascia una malattia, tutta la bellezza se ne va in un campo, la bellezza che è la tua e la mia muore dentro in un canto.”
Gli applausi si susseguono e il pathos raggiunge il suo massimo alle prime note di caro amico Vincent, le parole, i colori è la voce del cuore che canta e senti sulla pelle gli ultimi raggi del sole che baciano i girasoli.
La band, lo segue nelle sue variazioni Massimo Germini alla chitarra, Antonio Petruzzelli al basso, RobertoGualdi alla batteria e Max Elli alla tastiera del pianoforte.
Le canzoni di Vecchioni, come le arie dei grandi compositori, siano essi lirici o di tango, lasciano nei nostri cuori una forza speciale che ci rende temprati alle sferzate della vita, perché la luce dei grandi artisti è contagiosa, perché appunto gli anni di vita si misurano … in sorrisi
Il buongiorno di Lucia Conte, è come il buon caffè alla mattina, rilascia un profumo avvolgente che ti accompagna per tutto il giorno. Le sue parole sono acqua pura, nascono da un profondo rispetto e amore per la musica e l’arte.
LUCIA CONTE: la voce del cuore tra Lirica e Tango
CARMEN, George Bizet – LUCIA CONTE, “Je dis que rien ne m’épouvante”
LA DIAVOLESSA, Baldassare Galuppi – LUCIA CONTE, “una donna che apprezza il decoro”
LA FUGA IN MASCHERA, Gaspare Spontini – LUCIA CONTE, “La mia lanterna magica”
LUCIA CONTE, “Histoira de un amor” – Letra y musica de Carlos AlmaránLUCIA CONTE
LETRA HISTORIA DE UN AMOR
Carlos Almarán
Ya no estás más a mi lado, corazón
Tu non sei più al mio fianco, cuore mio
En el alma solo tengo soledad
Nella mia anima tengo solamente solitudine
Y si ya no puedo verte
E se non posso averti
¿Por qué Dios me hizo quererte?
Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?
Para hacerme sufrir más
Solo per farmi soffrire di più..
Siempre fuiste la razón de mi existir
Sei sempre stata la ragione della mia esistenza
Adorarte, para mí, fue religión
Adorati per me è come una religione
En tus besos encontraba
Nei tuoi baci ho incontrato
El amor que me brindaba
L’amore che mi hai dato
El calor de tu pasión
Il calore della tua passione
Es la historia de un amor
Questa è la storia di un amore
Como no hay otro igual
Diverso da tutti gli altri
Que me hizo comprender
Che mi ha fatto comprendere
Todo el bien, todo el mal
Tutto il bene, e tutto il male
Que le dio luz a mi vida
Che ha dato luce alla mia vita
Apagándola después
Per poi spegnerla poco dopo
Ay, qué noche tan obscura
Oh, Che notte oscura
Todo se me ha de volver
Senza il tuo amore non vivrò
Ya no estás más a mi lado, corazón
Tu non sei più al mio fianco, cuore mio
En el alma solo tengo soledad
Nella mia anima tengo solamente solitudine
Y si ya no puedo verte
E se non posso averti
¿Por qué Dios me hizo quererte?
Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?
Para hacerme sufrir más
Solo per farmi soffrire di più..
Es la historia de un amor
Questa è la storia di un amore
Como no hay otro igual
Diverso da tutti gli altri
Que me hizo comprender
Che mi ha fatto comprendere
Todo el bien, todo el mal
Tutto il bene, e tutto il male
Que le dio luz a mi vida
Che ha dato luce alla mia vita
Apagándola después
Per poi spegnerla poco dopo
Ay, qué noche tan oscura
Oh, Che notte oscura
Todo se me ha de volver
Senza il tuo amore non vivrò
Ya no estás más a mi lado, corazón
Tu non sei più al mio fianco, cuore mio
En el alma solo tengo soledad
Nella mia anima tengo solamente solitudine
Y si ya no puedo verte
E se non posso averti
¿Por qué Dios me hizo quererte?
Allora perché Dio mi ha fatto innamorare di te?
Para hacerme sufrir más
Solo per farmi soffrire di più..
LUCIA CONTE, SOPRANO ITALIANO.
FONTI
Materiale fotografico reso disponibile da Lucia Conte
Macbeth è l’opera che più di altre Verdi ha profondamente amato.
Nei margini dello spartito originale, vi sono appunti e riflessioni intime, come spesso accade a tutti noi quando leggiamo qualcosa di molto caro, viene istintivo aggiungere qualcosa perché si teme di perderla.
L’attenzione per i dettagli come la sottolineatura dell’interpretazione recitativa e drammatica delle voci, che diverrà da qui in poi l’elemento di distinzione di tutti i lavori di Giuseppe Verdi, fa sì che il Macbeth, sia considerata l’opera di passaggio della sua formazione artistica, da quella giovanile a quella adulta.
Il libretto scritto quasi completamente dal Maestro, è la riduzione dell’opera di William Shakespeare, per poterla trasformare in quattro atti per il teatro lirico.
Verdi, grande ammiratore di Shakespeare, ha voluto riportare fedelmente la trama, motivo per il quale non concesse a nessuno questa operazione di taglio e scrisse il testo in prosa italiana, solo successivamente venne poi affidato alla penna di Francesco Maria Piave che ne curò la verseggiatura per il canto.
Il libretto subì ulteriori variazioni, una volta terminato, da parte di Maffei, che toccò due delle parti più importanti di tutta l’opera, il coro delle streghe e la scena del sonnambulismo di lady Macbeth.
Prima di addentrarci nel vivo della storia, procediamo con ordine.
I personaggi sono pochi: Ducano il re di Scozia, una figura che è quasi un’ombra, uno spettro ancora prima di essere ucciso, non canta e non parla.
Macbeth, baritono, protagonista di questa storia è colui che ucciderà Ducano e tradirà Banco, basso, suo amico, entrambi valorosi generali e compagni d’armi di Ducano.
Lady Macbeth, soprano, rappresenta la luce e l’oscurità per l’anima di Macbeth.
Verdi non ha bisogno di dare spessore psicologico ai personaggi, diremo noi oggi, attinge a piene mani dal lavoro originale di Shakespeare.
Il contributo del Maestro, consapevole dei forti tagli poetici che l’opera aveva subito, è tutto nel ridare poesia alla musica, quella ricerca melodica e drammatica che non lo abbandonerà più; la sua attenzione è poi rivolta nel trovare la voce giusta che possa esprimere l’anima di Lady Macbeth.
Questa, come afferma lo stesso Verdi, “non deve essere bella, ma una voce aspra, soffocata e cupa che avesse del diabolico“, questo è uno dei motivi per cui non si assiste spesso alle rappresentazioni di Macbeth al Teatro, occorre avere un soprano con queste colorature.
Macduff, tenore, nobile scozzese, Malcom figlio del re Ducano tenore e Flaenzo figlio di Banco, sono le altre figure presenti nel dramma, ruoli minori ai quali Verdi dedica molta cura.
Da subito Verdi vuole che sia ben chiaro l’importanza e la rilevanza che ha il coro.
Le streghe specifica chiaramente che devono essere divise in tre drappelli e sarebbe ottima cosa che fossero 6,6,6 in tutto 18.
Non certo quello che abbiamo assistito alla prima della Scala nell’ edizione del 2021, la movimentazione delle streghe coreograficamente non ha aggiunto niente, se non che, ha creato confusione nello spettatore, il Maestro avrebbe voluto che l’attenzione rimanesse sulla musica e il canto.
La trama sviscera le forme oscure in cui prendono forma: l’ambizione e il desiderio di potere, politica, donne e soldi, temi attuali a Shakespeare come a Verdi e anche oggi sono monito per la classe dirigente e colta del Paese.
Il pubblico che oggi ha assistito alla Prima, non era poi così tanto diverso da quello di Verdi e di Shakespeare quando lo rappresentò alla corte di Elisabetta I regina d’Inghilterra.
Ieri come oggi è un messaggio di monito di attenzione per la classe dirigente, dove l’aberrazione sfocia in un assassinio, premeditato e non passionale.
La profezia delle streghe, scatena l’ambizione in Macbeth e nella sua Lady, la complicità di coppia diventa terreno fertile per creare la congiura e manipolare la scalata sociale per arrivare al trono, al posto di potere, di comando decisionale.
Il teatro prende vita e quello che vediamo raccontato come una storia antica sul palcoscenico, non è poi tanto diversa dalle dinamiche che si svolgono all’interno di un palazzo politico, di una casa farmaceutica, di un’università o di un teatro stesso.
Non si arriva forse ad un omicidio morale, quando si utilizzano soldi pubblici per progetti non utili al bene comune? Quando si vendono vaccini ad un costo che genera un profitto eccessivo? Quando si nominano Rettori o Direttori artistici per garantire una cordata di alleanze a discapito di persone più preparate? O quando nei teatri di prosa come nella lirica si propongono contratti ad attori o cantanti per ruoli non adatti che devono interpretare?
Allora come oggi, sono gli artisti a sollevare quel velo di ipocrisia con il quale ci copriamo occhi. Purtroppo figure di riferimento, come fu Giovanni Zenatello per la lirica italiana, sono rarissime, al punto tale che non hanno la voce per imporsi nella confusione assordante del Foyer .
Shakespeare come Verdi, denunciano ruoli e comportamenti, che nella storia si ripetono e si perdono nella fragilità dell’essere umano.
Eppure anche questa edizione che voleva dare una lettura nuova e moderna, in realtà si è ritrovata intrappolata ancora prima di nascere nelle dinamiche del Macbeth stesso, non è riuscita ad evidenziare un archetipo storico.
“Condannare tutte le donne, per aiutare alcuni uomini fuorviati a superare il loro comportamento insensato, equivale a denunciare il fuoco, che è un elemento vitale e benefico, solo perché alcune persone ne vengono bruciate, o maledire l’acqua, solo perché alcune persone vi annegano”.
Sono parole della scrittrice Christine de Pisan, nata a Venezia nel 1364, storica bolognese che visse in Francia.
Già allora lei evidenziava come lo stigma di donna libera e determinata contenesse in sé un’ accezione come diabolica, ambiziosa e spregiudicata.
E’ Lady Macbeth la vera responsabile ed istigatrice dell’ambizione del marito?
La risposta ènella scena del sonnambulismo, Verdi si pone come se l’era posto Shakespeare, la stessa riflessione di Christine de Pisan.
Shakespeare ne fa una delle pagine poetiche più intense del Macbeth e Verdi non gli è da meno, scrivendo una delle più belle partiture musicali drammatiche, raccoglie nel tormento del canto di lady Macbeth, l’impossibilità di chiedere perdono: pietà, rispetto e amore era ciò che cercava.
La donna in questo ruolo identificato della fantasia collettiva, segnata marcata come diabolica, troviamo le origini di convinzioni collettive sul mondo femminile che ancora oggi la nostra società è portatrice. Verdi attraverso la musica e Shakespeare attraverso la prosa le donano, una chance di espiazione.
La mia conclusione personale è che Verdi era più moderno di noi tutti messi assieme e talmente lungimirante da scrivere che la sua opera non venisse rimaneggiata.
Vanità delle vanità, chi scaglia la prima pietra? Io di certo non lo farò.
Mi limito a suggerire agli appassionati di lirica una riflessione proposta da un canto tanguero, come ai tangueri che avranno letto questo breve articolo e si presteranno all’ascolto del Macbeth, sicuramente comprenderanno con più facilità la poeticità del linguaggio di questo tango.
La letra, è il termine utilizzato per il testo cantato nel tango, parla di un amore “senza parole questa musica ti ferirà, ovunque il tuo tradimento la ascolterà”.
Pentimento è il legame che ora unisce la coppia Macbeth, un tradimento reciproco è alla base del loro rapporto, h anno sacrificato il loro amore per l’ambizione del potere e del prestigio e genera dolore, così come l’amore perduto tra gli amanti è cantato in questo tango.
Sin palabras/Senza parole traduzione di Carla de Benedicts
Musica di Mariano Mores, Letra di Enrique Santos Discepolo
È nato da te
Cercando un canto che ci unisse,
e oggi so che è crudele, brutale, forse,
la punizione che ti do.
Senza parole questa musica ti ferirà,
ovunque il tuo tradimento la ascolterà…
nella notte più folle, nel giorno più triste,
sia che tu rida o che tu pianga la tua illusione.
Perdonami se è Dio
che ha voluto punirti infine
se ci sono lacrime che così possono continuare,
queste note che sono nate per amore tuo,
alla fine sono una tortura che rinnova le ferite di una storia…
sono pene, sono ricordi…
fantoccio ferito, il mio dolore, si alzerà ogni volta
che tu ascolterai questo canto!
Vostra Rosaspina Briosa®️, augura a tutti buon ascolto!
SIN PALABRAS, Robert Goyeneche
MACBETH, Giuseppe Verdi – 1 atto, Le Streghe
MACBETH, Giuseppe Verdi – PIETÁ RISPETTO AMORE, Ludovic Tèzier
MACBETH, Giuseppe Verdi – NEL DI DESLLAVITTORIA …VIENI T’ AFFRETTA …OR TUTTI SORGETE, Saioa Hernandez
MACBETH, Giuseppe Verdi – UNA MACCHIA É QUI TUTTORA, Anna Pirozzi
FONTE:
Charles Osborne; Tutte le opere di Verdi, (1979)
Carla De Benedictis; Parole Parole Parole di tango, (2018)
La lirica d’amore è un concetto che l’uomo da sempre ha cercato di capire, analizzare ed esprimere. L’umanità intera si è consumata nella ricerca degli elementi fondamentali dell’innamoramento che ne fanno scattare la combinazione, perfino la chimica è arrivata a definire la composizione degli attivatori ormonali, perché alla fine è di questo che stiamo parlando: la lirica, non è altro che quel processo di innamoramento poetico in cui il testo del canto ci induce a perderci.
L’ascolto dell’opera e del tango, come in tutte le cose della vita, si possono approcciare con diversi livelli di attenzione e molto dipende dalla intensità e dal coinvolgimento con il quale desideriamo conoscere qualcosa.
Si può ascoltare sia l’opera che il tango, abbuffandosi alla sua tavola, fermarsi ad un appagamento dei sensi, dato dalla bellezza della musica, il canto, la recitazione e l’ambientazione. Potremmo immaginarci di essere lupi affamati, ingolositi dalla elaborata preparazione artistica della “mise en place”, la tovaglia di broccato, la porcellana di Limoges, i bicchieri di cristallo, oppure una preparazione più rustica, ma accattivante, genuina, dove il cibo è esposto con il piacere goliardico di esaltarne la convivialità.
Ci si può fermare qui ed abbiamo già elementi più che a sufficienza per crearvici intorno un vero business commerciale.
Ahimè, come sempre i business commerciali stanno in piedi se ci sono dietro gli artisti. Prima di tutti gli scrittori, siano essi poeti, musicisti, giornalisti o persone che come me si dilettano a dare forma ai pensieri, pensieri che creano ed innescano movimenti di riflessione.
Al seguito degli scrittori si aggiungono uno alla volta altri personaggi, gli interpreti, i registri, i coreografi, i costumisti, gli addetti alle luci del suono, gli spettatori per l’opera, i ballerini per il tango, gli addetti alla sicurezza, al trasporto delle merci. In altre parole, il flusso economico di un sistema di mercato, che risponde alle regole della domanda e dell’offerta.
Il primo anello di questa catena di ricchezza e prosperità economica è lo scrittore, senza di esso non partirebbe niente.
Eppure oggi è il più bistrattato dal sistema stesso.
L’ironia della vita al tempo del Covid, dove la disponibilità della parola visiva data dal contatto è diminuita per le restrizioni imposte di assembramento, la scrittura sta rifiorendo.
Se lo scrittore non riesce con leggerezza a portarci verso l’obiettivo, in tempi rapidi, perdiamo la concentrazione e l’interesse, con una semplice pressione del dito chiudiamo la pagina.
Lo stesso accade con il testo della canzone del tango e dell’opera, se non ci addentriamo nel comprenderli, perdiamo il vero potenziale evolutivo che entrambi hanno, come nel non terminare la lettura di un articolo.
La capacità che ognuno di noi ha, di far propria una riflessione e di rielaborala in base al suo vissuto, è la chiave di comprensione per trovare le risposte giuste per la nostra storia di vita di fronte allo smarrimento della solitudine, della morte, della fame. Emozioni che in tempo di Covid sono tornate presenti nella vita di molti di noi.
Emblematici sono i casi raccolti dalle testate giornalistiche e televisive sulle testimonianze di persone che alla ricerca di risposte ad un malessere interiore si rivolgono a “personaggi ambigui” che sfruttano le debolezze personali.
Non c’è bisogno di tutto questo, i testi poetici del tango e dell’opera, ci potrebbero aiutare in un percorso d’ intima riflessione a porci le domande che abbiamo evitato a lungo e, magari a trovare delle risposte.
Nel tango e nell’opera lirica, il messaggio d’amore è comune e comprensibile a tutte le culture, è espressione fisica, terrena, nella sua sessualità, del qui e ora, si dilata nella sfera emozionale della lirica poetica, dove l’anima, la parte intangibile dell’uomo, lasciata libera, esprime il meglio o il peggio di sé; diventano così le parole il lume che indica l’uscita dal tunnel della disperazione, oggi potremmo dire dalla depressione.
La complessità dell’artista è muoversi all’interno di questi due confini rimanendo in equilibrio, in modo tale da garantire la “pagnotta” tutti i giorni, ma nello stesso tempo non perdere di vista l’obiettivo, una visione d’opportunità di cambiamento.
È con questo invito vi propongo due testi diversi, ma simili, leggerli da soli e ricercare le similitudini e le immagini che vi suscitano l’ascolto della musica è un approccio diverso per assaporare il bello della vita.
Per la lirica, vi propongo le parole di Medora nell’ opera di Verdi, “Il corsaro.”
Tra Medora e Corrado, capo dei corsari, vi è una relazione di profondo amore, ma l’ambizione ed il desiderio di lui lo portano ad allontanarsi a rischiare la propria vita.
Medora lo supplica di rimanergli accanto perché teme il suo non ritorno, sente che la sua vita senza di lui non ha valore. Questa aria intensamente drammatica è da monito; rivela la pericolosità di rimanere prigionieri di pensieri ricorrenti, dove immaginiamo ciò che non è accaduto e non corrisponde alla realtà. Restando in balia dei propri sentimenti al punto che sarà Medora stessa a rendere reale il dramma, suicidandosi perché aveva anticipato la morte di Corrado.
Egli non riede ancora! (romanza di Medora)
“Egli non riede ancora! Oh come lunghe, eterne, Quando lungi è da me, l’ore mi sono!
Arpa che or muta giaci, Vieni, ed i miei sospiri Seconda sì, che più veloce giunga Il flebile lamento Al cor del mio fedel, sull’ali al vento.
Non so le tetre immagini Fugar del mio pensiero, Sempre dannata a gemere All’ombra d’un mistero: E se di speme un pallido Raggio su me traluce, E passeggiera luce Di lampo ingannator. Meglio è morir! Se l’anima Se ‘n voli in seno a Dio; Se il mio Corrado a piangere Verrà sul cener mio: Premio una cara lagrima Chieggo all’amor soltanto, Virtù non vieta il pianto Per chi moria d’amor.”
Per il tango, vi propongo “ Toda mi vida” tango del 1940 , scritto da Jose Maria Contursi, musica di Anibal Troilo e cantata da Roberto Goyeneche. La traduzione del testo in lingua italiana è a cura di Carla De Benedicts, tratto dal suo libro Parole, Parole, Parole di Tango.
Toda mia vida
“Oggi, dopo tanto tempo
senza più vederti, né parlarti,
già stanco di cercarti
sempre…sempre…
Sento che sto morendo,
lentamente, perché mi hai dimenticato
e sulla mia fronte fredda
non lascerai più i tuoi baci.
So che mi hai amato molto
Tanto… tanto come io ti ho amato!
Però in cambio io ho sofferto
molto… molto più di te!
Non so perché ti ho perduta,
neanche so quando fu,
però accanto a te ho lasciato
tutta la mia vita.
E oggi che sei lontana da me
e sei riuscita a dimenticare,
sono un passaggio della tua vita…
niente di più!
Mi manca così poco
Per andare con la morte…
I miei occhi già non devono vederti
Mai… mai!
E se un giorno per colpa mia
Una lacrima hai versato,
perché mi hai amato tanto
so che mi perdonerai!”
Che dire, gli studi psicoanalitici, da Frued a Jung, concordano tutti nell’affermare che sia l’inconscio a governare la parte conscia e la consapevolezza di questo ci aiuta a raggiungere i nostri obiettivi, chiediamoci dove vogliamo andare e sapremo risponderci chi siamo.
Beniamino Gigli per il bel canto lirico italiano e Alberto Podestá come cantor del tango sono tra le voci più belle e rappresentative che abbiamo avuto.
Nelle leggere le biografie di entrambi, ricche di aneddoti, ho colto alcuni tratti in comune nel loro percorso di vita, al punto tale che mi è venuta spontanea l’idea di immaginarli, seduti al bar, come due nonni a parlare di nipoti. Sicuramente, si sarebbero piaciuti.
Tutti e due ricevettero alla nascita un grande dono: la voce.
I bambini crebbero in un ambiente amorevole, ma povero. Fu, la figura materna per entrambi a riconoscere il loro talento, e a nutrire una fiducia incondizionata nella loro voce, che li sorresse fin dai primi passi, rafforzandone l’autostima. Questo contribuì a formare nei ragazzi, un’immagine positiva di sé stessi, alla quale poter attingere per affrontare le avversità della vita.
A 18 anni Beniamino Gigli è solo a studiare a Roma, ha vinto la borsa di studio che gli permette di accedere alla accademia di Santa Cecilia, una delle più antiche istituzioni musicali al mondo. Non ha altri mezzi di sostentamento, sono anni difficili, il maestro Rosati, suo insegnante, lo stima e lo segue assiduamente, curandone minuziosamente la preparazione artistica riconoscendo, da subito, in lui grandi doti.
Nel 1905 si presenta, senza nessun appoggio, al concorso esordienti per giovani cantanti lirici di Parma, e su 105 concorrenti, lo vince. Le qualità naturali della sua voce, educata nello studio rigoroso di quegli anni, lo portano presto al massimo successo.
Alberto Podestá, non ebbe un percorso di studio musicale confrontabile con quello di Beniamino Gigli. Egli studiò solo fino alla prima media, ma non meno bella è la sua voce. Il primo esordio fu in tenera età, cantando le canzoni di Carlo Gardel in uno spettacolo radiofonico per l’infanzia “ Rayto del Sol “, al quale partecipò con il il suo insegnate, ottenendo, un tale successo da venir soprannominato dal pubblico “Gardelito.”
Anni dopo, lo sentì cantare per caso, il duo comico “Buono – Striano,” che intuendone le potenzialità, lo invitò ad andare a Buenos Aires e stabilirsi lì fisso, se avesse voluto tentare la fortuna e percorrere la strada del canto.
Ha solo 15 anni, quando conosce nel locale “Parabase” il musicista Migule Calò, che lo scrittura per la sua orchestra, ma sarà il passaggio contrattuale con Carlos di Sarli a 18 anni a dare una svolta alla sua carriera artistica. Da quel momento abbandonerà il nome di Alè, Alejandro Washington e per tutti sarà conosciuto come Alberto Podestá.
Il percorso artistico è segnato da continue collaborazioni con diverse orchestre, anche se con Carlo di Sarli manterrà sempre un canale preferenziale, intuisce che per crescere bisogna sperimentare e mettersi in gioco come Cantor e Compositor. Alberto Podestá non è uomo da tirarsi indietro di fronte a una sfida con sé stesso o con il destino.
Ascoltando i brani di queste due splendide voci, alternandole, anche se ad alcuni potrà sembrare una proposta inappropriata, non si può non riconoscere la continuità e l’unicità del loro suono, data da una rigorosa padronanza del respiro e dalla espressione del canto, decorata dalla perfetta dizione che nella propria lingua natale entrambi hanno.
La loro voce è sempre avanti, questa è la mia sensazione nell’ascoltare i loro brani, ed il suono delle parole chiaro al punto tale che tutti possono seguirne il testo.
Nella Masterclass del 55 che Gigli tenne a Vienna, davanti ad una domanda sulla dizione, postagli dalla platea di studenti, che pendono in totale ammirazione, Gigli non esita a rispondere.
La questione non dipende dalla buona volontà dello studente, né dalla capacità dell’insegnante, ma dalla conoscenza della lingua Italiana e la capacità di gestire le cinque vocali. Per pronunciare correttamente la parola “che io muoia” … dà tutto un altro pathos al canto. Ridare la centralità alla lingua italiana è un dono e un compito che per natura appartiene agli Italiani e fa dell’Italia la culla del bel canto.
La lezione, a cui mi riferisco e che invito ad ascoltare al link qui allegato, continua e si sviluppa intorno a tematiche ben note agli appassionati di canto come, il peso del respiro e quanto questo sia la pietra miliare su cui poi si studia e si imposta la voce. Trovare il proprio equilibrio è l ‘obiettivo di ogni cantante nel padroneggiare l’utilizzo o il non utilizzo del diaframma, diventa il fulcro attraverso il quale l’artista governa la sua voce.
Lo stesso accade anche per il cantor del tango, ma più in generale la respirazione ha un’importanza centrale persino per i tangueri.
Nella respirazione dell’abbraccio e il diaframma crea la connessione che i ballerini nell’ascolto dei loro corpi percepiscono. Il movimento iniziale della spinta nel tango, è così simile come mi immagino dover essere per il cantante l’emissione della prima nota. Il respiro è la porta che si apre.
La passionalità nel canto, quel calore per il quale le persone si animano di vita propria, superando la timidezza e la riservatezza personale, nasce da questo respiro profondo, che è sia tecnica, sia anima. Il respiro dà vita al canto, alla danza, genera spontaneamente un vortice di sinergia che coinvolge tutti, senza guardare distinzioni tra opera e tango.
Beniamino Gigli, per la lirica e Alberto Podestà, per il tango riuscivano a creare questa magia.
Magia che grazie all’incisione non è andata persa e che, tuttora, possiamo cogliere.