10 luglio 2022, il concerto al Vittoriale di Vecchioni rimarrà una data storica per coloro che hanno potuto assistervi, uno spettacolo magistralmente gestito sotto lo sguardo della Luna, pure lei ieri sera ha pianto.
Vecchioni, un poeta, uno degli ultimi cantautori del ventesimo secolo, ha presentato ogni canzone partendo da una riflessione personale, arricchendola di aneddoti e citazioni che hanno strappato più di una risata.
Samarcanda questa volta ha aperto il concerto, un omaggio alle nipotine presenti in sala, che si erano lamentate con il nonno perché solito inserire questo brano in chiusura dei suoi spettacoli, e loro troppo stanche, addormentandosi lo perdevano.
Vecchioni ci ha preso per mano, uno ad uno e nelle due ore e mezza che sono seguite, ci ha fatto vedere una notte illuminata dalla parola amore.
Un amore grande per la vita e per l’uomo, rammentandoci che è la forza del nostro sorriso a determinare gli anni della nostra vita.
Le canzoni più belle si susseguono e sono i versi a rimanere leggiadri nella loro profondità:
“ogni destino nasce dentro un addio, oppure il mio mestiere è la mia ragazza e tutta la bellezza mi scappa via e mi lascia una malattia, tutta la bellezza se ne va in un campo, la bellezza che è la tua e la mia muore dentro in un canto.”
Gli applausi si susseguono e il pathos raggiunge il suo massimo alle prime note di caro amico Vincent, le parole, i colori è la voce del cuore che canta e senti sulla pelle gli ultimi raggi del sole che baciano i girasoli.
La band, lo segue nelle sue variazioni Massimo Germini alla chitarra, Antonio Petruzzelli al basso, RobertoGualdi alla batteria e Max Elli alla tastiera del pianoforte.
Le canzoni di Vecchioni, come le arie dei grandi compositori, siano essi lirici o di tango, lasciano nei nostri cuori una forza speciale che ci rende temprati alle sferzate della vita, perché la luce dei grandi artisti è contagiosa, perché appunto gli anni di vita si misurano … in sorrisi
8 Marzo 2022, giornata internazionale della Donna.
Vi è un’opera, che a breve vi introdurrò, alla quale è successo, come purtroppo accade talvolta anche alle belle persone ricche di talenti, di “rimanere in panchina”, per i motivi più svariati, perché non si uniformano ad un modello idealizzato, o a causa di un preconcetto caratteriale che le ha segnate per sempre e rimangono nascoste, ingabbiate dal peso della vita.
Lo stesso è accaduto a quest’opera lirica, il cui giudizio espresso in forma fin troppo severa dall’autore, ha pregiudicato la sua leggera bellezza già dagli albori, come quando nasce un bambino e si dice: “Peccato ha preso il naso dal nonno.”
Ho scelto quest’opera, pensando a tutte le donne e quindi quale data migliore di quello di oggi: 8 Marzo.
In tanti abbiamo dedicato tempo, pensieri e piccoli gesti per diffondere la consapevolezza che un cambiamento è necessario e possibile. Occorre rendere reali le pari opportunità tra uomini e donne, perché vi sia un domani una società più eguale.
Altrettando quest’opera, come una persona dall’anima bella, può nel tempo acquisire sempre maggiore considerazione e prestigio, sedere accanto alle altre sorelle maggiori, nel tempio dell’opera, non sentendosi più la cenerentola.
Prima di proseguire a scrivere, vorrei invitare chi ama l’opera a fare questa prova seguendo le istruzioni passo per passo ed avendo fede!
Telefonino in mano, YouTube, cuffiette, scarpe da ginnastica. Liberate completamente la mente da tutto ciò di cui fino ad oggi avete letto e sentito di quest’opera.
Partite soli, in passeggiata, campagna, montagna o lago.
Lasciate che sia la musica e l’interpretazione del meraviglioso cast che vi propongo, nell’ edizione del 1966, a farvi compagnia.
Sarà la musica a raccontarvi la storia, le scene prenderanno forma davanti a voi, un viaggio verso sentimenti che ancora oggi ci segnano, gesti così femminili nei quali noi donne possiamo riconoscerci… come quando nel dialogo amoroso di seduzione… lei gli chiede: “Metto il rossetto?”
Mi sorprendo tutte le volte dell’attualità drammaturgica dell’opera, o forse, della bravura introspettiva dei librettisti e di questo magnifico Maestro che tanto amò le donne da difendere la loro dignità e libertà dai luoghi comuni, che le voleva rilegate solamente nel ruolo di custode del focolaio domestico.
Da subito, l’intermezzo si apre con una melodia che ritroviamo poi in tutti i momenti di maggiore pathos, un crescendo emotivo che rappresenta il filo rosso tra i protagonisti.
La lirica è una delle più delicate che Puccini abbia composto, richiama vagamente la Bohème, cosi come possiamo con attenzione cogliere qua e là in tuta l’opera richiami ad altre, un omaggio alla Traviata, nella figura di Magda, un richiamo a Turandot nelle dissonanze … eppure il maestro non era soddisfatto.
Come spesso accade, si aggredisce l’altro quando avremmo voluto esser noi i primi a portare l’innovazione, l’invidia, si sa, non è un compagno amichevole di viaggio.
Fu così che Puccini scrisse alla sua intima amica Sybil Seligman, che lui non avrebbe mai scritto un’operetta come Leoncavallo, la cui bellezza oggi noi tutti riconosciamo.
Puccini in effetti non scrisse un’operetta, lui anticipò i tempi: come non vedervi, il musical, My Fair Lady, ma più ancora Fred Astaire e Ginger Rogers, nel film Cappello a cilindro.
Nel secondo atto, l’ambientazione è in un famoso locale notturno di Parigi, al Bal Bullier, dove l’amore nasce da un incontro casuale, tra Magda e Ruggero, nell’allegria corale di una sera di primavera. Tutto è in fiore e la guerra che si avvicinava sempre di più, siamo nel 1915 mentre Puccini componeva, può per un breve momento non esistere.
Ci culla il motivo del sogno di Doretta, quel tocco ritmato, puntellato da una voce lirica e allo stesso tempo in grado di sostenere acuti e vibrazioni, che segnano il languore, avrete ormai capito che sto parlando de La Rondine.
Certo che ci vuole un direttore con i controfiocchi, in grado di sottolineare ogni passaggio per rendere la musica vibrante e non una accozzaglia dove o vi è troppa confusione o è monotona perché sembra tutta uguale, come se il tema musicale fosse sempre lo stesso, ma non lo è.
Alla riuscita dell’opera occorre anche disporre degli interpreti con grandi capacità recitative, il parlato ha il suo peso e la padronanza del fraseggio anche.
In alcuni punti oso perfino dire che Puccini si è divertito a ricordarci Rossini.
Perché il maestro non era felice?
Perché anche lui è umano e quando si è intristiti dentro per il peso dell’anima, compromessa forse per non aver scelto l’amore sentimentale, tema dell’opera, lo rendeva ipercritico, scettico, giudicava l’opera ma giudicava se stesso.
Più volte vi mise mano per cambiarne il finale e per fortuna lo lasciò come lo conosciamo, una Doretta consapevole di se stessa e sceglie di vivere la libertà e non la vita domestica e sicura di madre e moglie.
Magda e la sua fedele cameriera Luisetta non sono altro che Thelma e Luise dei giorni nostri.
La trama apparentemente è semplice.
E’ una fotografia sociale, consolidata di ruoli e dinamiche che ancora oggi possiamo ritrovare, ma qui non vi è la drammaticità della Traviata, è piuttosto il mettere in luce come le scelte pratiche della vita che ci portano ad allontanarci da un amore romantico.
Quella dolcezza di un bacio così soavemente decantata, rimane il ricordo.
Come la rondine, simbolo della fedeltà, riprende il suo volo per immigrare verso terre più calde, così Magda lascia il suo amato … anche lei è fedele.
È fedele alla sua libertà, al suo sentire. Magda è una donna che cammina libera, perle strade del mondo, fiduciosa che niente di male potrà accaderle.
Leggerezza, non significa essere banalmente sciocche, ma consapevoli che la felicità è un attimo, perché si sono provati dolori tali da comprendere la bellezza di un sorriso di pace.
Pace, oggi è la parola che le donne invocano, pace per le donne afghane, pace per quelle russe e per le ucraine, per noi e per quelle che sono talmente soggiogate da non ricordarsi neppure più cosa significa essere libere.
Un tango è sempre il collegamento che cerco con l’opera.
Ce ne sono tanti, romantici al punto tale che se Puccini fosse vivo ne farebbe un soggetto intero di un’opera.
Ma oggi non so perché, ho solo un tango che mi suona dentro, le cui parole sono tristi e in contrasto con il sogno evocativo di Doretta, se non che entrambe hanno una grande dignità.
Vi lascio all’ascolto della voce di Roberto Goyenche , Malena nessuna balla il tango come te….
Un po’ è come ricordare quel bacio …. tra Magda e Ruggero.
Malena, tango scritto nel 1941, musica di Lucio Demare, Letra di Homero Manzi, traduzione letra di Pablo Helman, dal libero: Canzoni di una vita, canzoni di tante vite.
Malena canta il tango come ninguna Malena canta il tango come nessuna y en cada verso pone su corazón. e in ogni verso mette il suo cuore. A yuyo del suburbio su voz La sua voce profuma, di erba perfuma selvatica del sobborgo Malena tiene pena de Malena ha la tristezza del bandoneòn bandoneon Tal vez allá en la infancia Forse laggiù nell’infanzia su voz de alondra la sua voce di allodola tomó ese tono oscuro de callejón, prese quel tono buio dal vicolo, o a caso aquel romance que sólo o forse da quel romanzo che solo nombra nomina cuando se pone triste con el alcohol . quando diventa triste con l’alcol.
Malena canta el tangocon voz Malena canta il tango con voce de sombra, d’ ombra, Malena tiene pena de bandoneón. Malena ha la tristezza del bandoneón
Vostra Rosaspina Briosa
LA RONDINE, Giacomo Puccini – Moffo, Barioni, Sereni, De Palma, Sciutti & Molinari-Pradelli
MALENA, Roberto Goyeneche – letra di Homero Manzi, musica di Lucio Demare
LA RONDINE, Giacomo Puccini – MAGDA, Renata Tebaldi, ” Chi il bel sogno di Doretta”
FONTI.
Michele Girardi; Puccini la vita e l’opera, Newton Compton Editori (1989)
Maria Giovanna Miggiani; La rondine, pubblicazione del teatro del Giglio. (Settembre 2008)
Daniela Goldin Folena; La rondine: un libretto inutile, pubblicazione del teatro del Giglio. (Settembre 2008)
Gianluca Cremona; Quando il kitsch diventa arte, dal Blog Quinte Parrallele.(7 Luglio 2017)
Perché per superare la violenza, bisogna ritrovare la bellezza che c’è in noi e il tango ci prende per mano per aiutarci a riscoprirla.
Perché la violenza e il tango sono suoni e fisicità, si muovono insieme, crescono con noi, si camuffano tra le pieghe della vita, ma mentre la violenza, lentamente ci paralizza, il tango ci guarisce.
La violenza è fatta, di brividi, sudore, vuoto, disorientamento, un tormento che non trova pace al punto tale che lo si nega prima di tutti a se stessi.
Questa è la violenza, una scissione dell’anima tra il prima e il dopo, non si riaggiusta, senza rinascere da un nuovo “io”.
Un nuovo io che nasce da una nuova voce. Qual è quell’elemento che unisce le voci delle donne al Tango?
Il rispetto è l’anello di congiunzione.
Difronte alla devastazione, la musica in particolare è in grado di curare la ferita dell’anima.
Il tango è musica.
Si avvicina silenziosamente e nel suo abbraccio, ricerca una fisicità fatta di vita e ogni “tanda” diventa unica in quanto incontro tra due persone. Nel ballo e nell’ascolto si esplorano le emozioni: la tenerezza, l‘accoglienza, la passione, la sensualità e il rispetto.
Il tango ha una storia lunga e complessa, nasce dal flusso migratorio di culture diverse che si sono incrociate tra Montevideo e Buenos Aires tra l’estuario del Rio della Plata tra la fine dell‘800 ed i primi del ‘900.
Attraverso il linguaggio della musica e del corpo, il tango è stato catalizzatore di un grande e continuo processo rivoluzionario sociale e culturale che ancora oggi è in atto, tanto da essere nominato, nel 2009, patrimonio immateriale dell’umanità.
Il Tango è espressione di uno sviluppo dell’emancipazione femminile straordinario, per la prima volta la donna è legittimata, attraverso un ballo, ad esprimere la sua femminilità e sensualità in pubblico. Per ballar bene il tango, la donna deve contrapporsi all’uomo, riconoscendo la sua stessa importanza, non abbandonandosi ad un ruolo passivo.
Attraverso la letra, il testo della canzone del tango, diventa così possibile esprimere quello che diversamente non sarebbe stato possibile sulla condizione femminile, ma anche su quella sociale.
Ci si sofferma tropo poco a comprendere i testi delle letre, che balliamo, presi come siamo dalla musicalità, mai ci aspetteremmo di ballare su parole poetiche, crude e taglienti come solo la vita può esserlo.
I brani che vi propongo per l’ ascolto, mi sono stati suggeriti da cari amici tangueri di Genova. Gli ho trovati molto attuali e perfetti da dedicare oggi a tutti noi, senza distinzione di donna o uomo, perché la violenza non ha sesso, non ha età , non ha colore della pelle.
“Naranja en flor”, musica di Virgilio Exposito, e letra di Homero Exposito, orchestrata da Anibal Troilo, cantata da Floreal Ruiz.
“Era più pura dell’acqua” sono le parole inziali di questo meraviglioso tango, si parla di stupro, attraverso una metafora, poiché negli anni ’20 non era ancora pensabile pronunciare questa parola ad alta voce. Solo l’acqua è l’elemento primario per la vita, nell’acqua nasciamo, dell’acqua necessitiamo per vivere e per ripulirsi dopo uno stupro. Solo un poeta avrebbe potuto con occhi amorevoli trovare un simile paragone.
NARANJAN EN FLOR – Orchestrata da Anibal Troilo, musica di Virgilio Exposito, e letra di Homero Esposito, cantata da Floreal Ruiz
Il brano successivo è: “Un crimen”, musica e letra di Luis Rubistein, orchestrata da Miguel Calò, cantata da Raùl Beron.
Il tema purtroppo sempre attuale, il femmicidio, dramma che nasce dal sentimento della gelosia.
Le parole scritte nel 1942, possiamo ritrovarle sulle testate giornalistiche di oggi: “La mia gelosia è finita in follia e nel mezzo dell’inferno mi sono perso…”.
Letra:
Mi drama señor juez es la historia Que puede comenzar por el final Ya se que en lo grotesco de mi gloria No es facil parecer sentimental La vida que le di fue una tortura Y su alma soportó mi frenesi Mis celos terminaron en locura Y en medio de un infierno me perdi Y vi neblina en sus ojos Cuando mis dedos de acero En su cuello de nacar Bordaron un collar Rodo besando mis manos Y apenas pudo gritar Su voz se ahogo sin reproche Y así mansamente tu fin??? Tengo su angustia en mis ojos Y no la puedo arrancar Yo quiero señor juez con esta historia De un crimen tan perverso y tan brutal Que no haya ni una marca en su memoria Ni sepan que era buena y le hice mal
Traduzione:
Il mio dramma signore giudice è la mia storia Che posso raccontare dalla fine.
La mia fama è grottesca e mi precede. Non è facile sembrare innamorato La vita che le ho dato è stata una tortura e la sua anima ha sopportato la mia frenesia La mia gelosia è finita in follia e nel mezzo dell’inferno mi sono perso e ho visto la foschia nei suoi occhi Quando le mie dita d’acciaio sul suo collo di madreperla hanno ricamato una collana Rotolò baciandomi le mani e riusciva a malapena a gridare La sua voce era soffocata, senza rimproveri E così dolcemente è stata la tua fine ??? Ho la sua angoscia nei miei occhi e non posso dimenticarlo Desidero signore giudichi che questa storia
un crimine così malvagio e brutale non ne rimanga il segno della sua memoria Non so più se fu bello e le feci male
Non ricordo più se fosse buona e le feci del male
UN CRIMEN, orchestrata da Miguel Calò, musica e letra di Luis Rubistein, cantata da Raùl Beron.
Per ultimo, per chiudere in leggerezza, dimensione di cui necessitiamo, per avere speranza e fiducia, un tango, la cui poeticità e il ritmo melodico e turbinoso, rende consapevoli che la felicità è l’istante di un momento.
“Lavida es una milonga”: musica di Fernando Monton, letra di Rodolfo Sciammarella, orchestrazione di Pedro Laurenz, cantata da Martin Podestà.
“La vita è una milonga e devi saper ballare, perché è triste star seduto mentre gli altri ballano.”
E con queste parole, Rosaspina Briosa, augura a tutte le donne di ritrovare se stesse!
Rosaspina Briosa ®️
LAVIDA ES UNA MILONGA. orchestrazione di Pedro Laurenz, musica di Fernando Monton, letra di Rodolfo Sciammarella, cantata da Martin Podestà.
La figura femminile, sia nella lirica che nel tango, viene valorizzata dall’abito indossato.
La sua creazione da parte dei costumisti aggiunge un valore importante per il gioco di illusione e fantasia creato nella immedesimazione del personaggio, sia essa la soprano che si esibisce nel ruolo di Mimì, oppure la tanguera che si presenta nell’arena della milonga, entrambe attraverso l’abito indossato rimandano un’immagine di sé, sensuale, fatale, romantica o timida.
I costumi teatrali fino al 1700, non rispondevano ai criteri di ricerca storica e realistica dell’opera eseguita, davano molto più valore all’estetica ed avevano il compito di valorizzare al massimo la ricchezza e la bellezza.
Occorrerà aspettare la nascita di Francois – Joseph Talma, perché si inizi a valorizzare l’ambientazione storica corretta, l’arte scenica era inquinata si usava rappresentare la tragedia classica con il vestiario contemporaneo. Talma nato nel 1793 a Parigi, morì il 17 Ottobre 1826, passò quindi attraverso la rivoluzione francese che cambiò profondamente il modo di fare teatro, iniziò così a curare la scenografia, i costumi e i dettagli storici delle pièces teatrali.
Dall’ 800 in poi il costume scenico acquista sempre più importanza, al punto tale che era consuetudine per i cantanti e gli attori comprarseli personalmente, venivano approvati i bozzetti, arricchiti da passamanerie impreziosite, talvolta perfino da gemme preziose.
Il vestito costruito “su misura” risultava comodo alla soprano che spesso si vedeva costretta ad indossare strutture articolate per rispettare i canoni storici, risultando così scomodi, basti pensare ai busti e alle crinoline.
La coreografia scenica ed i costumi indossati non sempre si armonizzavano tra di loro, in quanto non vi era ancora la figura del costumista che seguendo le indicazioni del regista avrebbe curato tutta la messa in opera. Perché occorrerà aspettare la fine dell’ 800, quando i grandi teatri inizieranno ad aprire la loro sartoria.
Successivamente si inizierà a portare sul palco gli abiti della vita contemporanea per un’interpretazione modernistica dell’opera. Gli abiti rivestono un significato simbolico, esoterico e, talvolta, perfino psicoanalitico, come è accaduto nell’ultima edizione di Salomè alla Scala con la regia di Damiano Michieletto.
Oggi possiamo grazie ad alcune collezioni private, come quella del MuseoTebaldi a Grosseto, che invito a visitare, non solo per la bellezza dei costumi scenici esposti all’interno del museo, ma anche per il percorso informativo sulla vita della signora Tebaldi, avendo così un’occasione per percorrere la storia degli anni d’oro della lirica italiana.
Il respiro dell’offerta proposta, dal Museo Teatrale alla Scala, è tale da coinvolgere non solo gli appassionati dell’opera, i tesori del museo sono alla portata di tutti e valgono un viaggio.
Un’altra collezione interessante è la Mostra permanente di costumi teatrali di Serrone. E’ l’unica mostra di questo genere esistente nella Regione Lazio ed una delle poche in Italia. I costumi teatrali sono stati realizzati nel corso della brillante carriera da Beatrice Minori, sarta della RAI tv e sarta personale di Eduardo de Filippo, oltre che collaboratrice di importanti registi italiani.
Non meno importanza riveste l’abito da tango con una storia più recente ma assai interessante.
Fin dagli albori della vita tanguera, l’abito e la scarpa rappresentano nell’immaginario collettivo della comunità tanguera, gli strumenti con i quali la tanguera valorizzava sia l’immagine voluta dare di sé, che lo stile di ballo.
Occorre distinguere gli abiti tra quelli utilizzati per le esibizioni dalle professioniste in Milonga, nelle competizioni o per spettacoli teatrali di tango scenario, da quelli indossati dalle tanguere per andare in Milonga.
La ricercatezza dei modelli, dei colori e dei lustrini ha avuto un’evoluzione nel tempo, un cambiamento dettato dagli influssi della moda dell’epoca e dai cambiamenti culturali e musicali.
In Europa il fenomeno delle sartine, giovani donne lavoratrici dei primi del ‘900 era talmente diffuso a Parigi che venne dedicato a loro una festa la patrona Santa Caterina d’Alessandria protettrice delle apprendiste sarte che presero il soprannome di “caterinette”, si deve a loro probabilmente i primi abiti da tango.
I drappeggi, i tessuti e i ricami evidenziano lo status sociale della tanguera.
Il satin divenne il tessuto più ricercato ed i colori arancio e giallo i più richiesti.
Vi erano abiti eleganti per le milonghe dell’alta borghesia ed abiti più semplici per le milonghe nei parchi e nei caffè. Gli uomini indossavano la divisa da gaucho, giacca nera, camicia bianca e cravatta, pantaloni a righe grigio e nero.
El Chacafaz indossava lo smoking in Milonga.
Negli anni ’50 la moda del tango ebbe un brusco fermo, il tango era stato surclassato dal Rock n’ Roll.
Occorrerà attendere l’uragano Maria Nieves e il suo compagno Juan CarlosCoppes, perché il tango ritorni in vita come una fenice, sono loro i protagonisti di questa rinascita, grazie ai loro spettacoli teatrali che riportarono il tango in auge calcando i palcoscenici più importanti d’ Europa.
La nuova musicalità richiedeva un’interpretazione del tango in sintonia con le giovani generazioni, l’abito si fa più morbido, con trasparenze e spacchi, le gonne larghe e fluttuanti, tutto centrato sulla comodità del movimento.
E’ stato inaugurato a Buenos Aires, il Museo de la storia del Traje, museo della storia del costume, con un padiglione interamente dedicata alla storia del tango e della moda tanguera “Se dice de Mi“, non poteva essere scelto un titolo più adatto per omaggiare l’evoluzione del femminile.
Esposti vi sono gli abiti di Maria Nieves indossati durante i suoi spettacoli.
Un abito sicuramente non ci dà l’esperienza e la conoscenza tecnica per ballare bene, ma ci aiuta a vederci belle e più sicure, la prospettiva cambia e con essa la modalità con la quale si affronta la milonga.
Seguono tre brevi interviste, una alla costumista di teatro e di abiti da tango Manuela Gandolfi con la sua linea Dancerie,e alle stiliste di tango Marigrazia Spinelli con il suo brand Nudapassione e Elena Cappelli con il marchio ElenaT dove la T sta per tango.
Come sempre buona visione, Vostra Rosaspina Briosa®️
Quando decisi di intraprendere questa piccola ricerca sulle prime ballerine della storia nel tango argentino, mi aspettavo di trovare indicazioni sul web con facilità.
La convinzione mi nasceva dal percorso e dall’evoluzione della figura femminile nella lirica, nel bellissimo libro di Renato Tomasini“Le divine” è ampiamente documentato, quanto queste abbiano da subito avuto un ruolo e riconoscimento importante, come questo sia evoluto con la storia della musica e dell’opera.
La possibilità di far emergere e riconoscere i talenti femminili, nella storia dell’umanità è da sempre un percorso ad ostacoli, solo oggi, si inizia a comprenderlo, nascono dibattiti culturali, libri e mostre per cercare di salvare e valorizzare la memoria artistica e scientifica di grandi donne.
Nelle arti come la pittura, la composizione musicale, la scultura, l’architettura e la scrittura, si è quasi scientificamente voluto perdere e nascondere le prove storiche della capacità di talune, per proteggere e non rivoluzionare un sistema sociale, religioso e culturale, nel quale la cultura maschile, patriarcale era predominante.
Ma negli anni ’70 le discussioni più accese tra gli adulti a tavola e tra (maschi e femmine) bambini erano difendere le proprie posizioni di ruolo, di capacità intellettuale e predisposizioni naturali verso la scienza piuttosto che l’arte. Il concetto accettato era il diritto allo studio alle donne, ma le vere capacità geniali erano nell’uomo.
Nella lirica, il ruolo delle donne confrontato ad altri campi dell’arte, è stato più semplice ed ha avuto un riconoscimento e legittimazione immediata, forse perché nell’immaginario collettivo la figura della Divina si sovrapponeva a quello delle Sirene di Omero.
Il materiale storico e bibliografico a nostra disposizione è notevole già a partire dal 2 Maggio 1589 nella sala degli spettacoli degli Uffizi, l’aristocrazia festeggia le nozze di Cristina di Lorena con il granduca Ferdinando con un grande spettacolo poetico musicale, di cui abbiamo testimonianza storica dettagliata.
Gli intermezzi musicali, a cui tutti attendevano di assister, avevano una duplice funzionalità, intrattenere ed inviare un messaggio politico culturale: Il potere della musica sulla civilizzazione umana, un ritorno ad un’età aurea garantita dai Medici, sotto il dominio delle arti.
Un messaggio molto attuale, quando leggiamo e ascoltiamo trasmissioni nelle quali si parla di un nuovo rinascimento italiano: dare forza e sostegno a quei progetti in cui la cultura, la valorizzazione del bello, possano essere il motore trainante alternativo alle logiche dell’economia globalizzata.
La prima figura scenografica era quella dell’ Armonia Doria, leggermente sospesa su una nuvola nel cielo blu, apparve la dea Minerva cantò con una voce celeste, Vittoria Archilei resterà nella memoria del tempo come “colei della quale ha avuto origine il vero modo di cantare delle donne”, la voce femminile diventa interprete musicale creando una simbiosi tra ascolto e visione.
Non inganniamoci, dall’ apparente libertà della donna nel teatro, “le cortigiane oneste” erano quelle che praticavano la professione del teatro, ovvero stavano sullo stesso piano delle cortigiane di altro rango Veneziane e a quelle della Roma pontificia e cardinalizia, che raggiungevano fama e potevano esercitare i loro talenti solo con lo scopo dell’intrattenimento attraverso la poesia, il canto, la composizione musicale e la retorica. Ancora oggi il peso di queste convinzioni sono modelli di riferimento nelle relazioni sociale e lavorative, condizionano la carriera professionale artistica del mondo femminile.
Il mondo maschile difficilmente accetta la condivisione ed il riconoscimento di pari capacità e opportunità con il mondo femminile, lo stesso accade nel mondo del tango, inizialmente ancora più marcato per il ruolo delle donne contestualizzato come semplice “follower” come compagnia di facili costumi del maschio, nei bar, nei caffè e nei postriboli del porto. L’immagine femminile ne esce totalmente penalizzata e il ballo è considerato costumato e licenzioso.
Bisognerà attendere, lo sdoganamento dell’ alta Borghesia, l’interesse profondo del duca Luigi Amedeo di Savoia, grande appassionato di tango, (tanto che la Stampa di Torino riporta il 15 Dicembre 1913 un grande evento in onore del duca dove si ballò il tango), infine il nulla osta papale, di cui abbiamo ben cinque versioni documentate dello stesso evento in periodi e con papi diversi, certo è che il ballerino Casimiro Ain ballò il tango davanti al Papa. Tanto il ballo suscitava scandalo da richiedere l’intervento papale per tranquillizzare i vescovi e legittimarlo!
Se le prime donne della Lirica sono citate come “Divine”, le prime ballerine di tango non stanno su un libro di letteratura, ma su quello della cronaca giudiziaria. In un diario del 1862 si leggono i nomi di Catalina Barsolo e Francisca Diaz, esse furono arrestate perché stavano ballando e “cortando”, questo era vietato.
Chissà come se la ridono oggi, vengono ricordate nei manuali mentre, delle signore dell’alta borghesia di allora nessuno sa assolutamente nulla.
La storiografia del tango, dal suo sdoganamento morale da parte della borghesia e del clero, riporta diverse testimonianze artistiche al femminile che hanno dato un contributo all’evoluzione musicale, nel ruolo di cancionistas (cantante professionale)Rosita Quiroga morta nel 1984, conosciuta come il Gardel al femminile, scoprì il tango intorno ai 25 anni, non amava esibirsi in pubblico tanto che si ritirò presto, incidendo dischi e partecipando qualche volta alle trasmissioni radiofoniche ed ad un unico film “El canto cuenta su historia” del 1976, in piena dittatura, testimone silenzioso della pressione militare e politica che impedì la partecipazione di Mercedes Sosa .
Altri nomi femminili risaltano nel panorama artistico, Nina Miranda, Tita Merello fino ad arrivare ai giorni nostri con Sandra Luna, una voce evocativa in grado di far vibrare la luce nel buio.
L’attività di compositrici e autrici di testi di tango, invece venne preclusa in modo sistematico e costante alle donne, furono innumerevoli le difficoltà incontrate da Francisca “Paquita” Bernardo (1900-1925) prima donna bandoneonista e sono risapute; visse troppo poco, a venticinque anni morì per tisi e compose solamente quindici brani, ma furono sufficienti a lasciare un segno nella musica del tango anche se non le permisero di registrare nessun disco.
Vanno ricordate la colta marchesa Eloisa d’Herbil, Rosita Melo, ” la dama del tango” Mercedes Simone e Eladia Blàzquez una delle cantautrici più longeve e stimate, scrisse per Piazzolla il testo di “Adios nonino”.
Desidero ricordare brevemente una grandissima artista che dette tanto al tango, ma purtroppo venne anche dimenticata nel momento del bisogno, l’Argentina in quegli anni non dimentichiamoci che stava passando il periodo più oscuro di tutta la sua storia: Azucena Josefa Maizani (1902-1970) una vita intensa per il tango, si esibì sia come cantante che come attrice. sieme a Gardel, da lui ammirata e stimata, ha imposto un nuovo modo di cantare il tango, aprendo le porte al periodo d’oro dell’interpretazione nostalgica dello stesso. Lasciò più di duecento registrazioni, di dove cantava con le orchestre più famose nel mondo, ciò non fu sufficiente a proteggerla dalla miseria, lavorò in locali di quart’ordine fino alla fine dei suoi giorni.
Nella lista infinita di splendide voci possiamo ricordare anche Libertad Lamarque e tantissime altre.
La documentazione dell’evoluzione al femminile nel tango come tanguera intesa nell’espressione del ballo è nella fase iniziale meno documentata. Maria Rangola, detta “La Vasca” iniziò a ballare nel 1884 ed aprì la prima milonga, una sala da ballo frequentata da studenti, fantini gente per bene. Oggi lo stabile esiste ancora, la facciata è rimasta intatta, ma ne è cambiato l’uso commerciale, è divenuto un laboratorio per analisi. La speranza di un sogno è il recupero architettonico e funzionale di quelli che sono stati i luoghi storici e rappresentativi del tango possano venir rivalorizzati?
La tanguera viene nominata solo in quanto compagna della figura maschile, i nomi delle donne sono quelle legate a due milongueros più famosi: Ovidio Jose Bianquet “El Cachafaz” e David Undarz ”El Mocho”.
Amelia “La Portuguesa” compagna di David e ballerina calcarono assieme i più bei cabaret di Buenos Aires tra il 1915 e il 1930.
E le ballerine legate al El Cachafaz ? tra il 1910 e il 1920, si alternano le tanguere Emma Boveda, Elsa O’Connor e Isabel San Miguel ; fino all’incontro nel 1933 con Carmencita Calderon.
Carmencita, alla morte di El Cachafaz nel 1942, divenne a sua volta una leggenda, con lei abbiamo la prima “Divina” del tango. Il sostantivo acquista lo stesso peso e valore di riconoscimento nella Lirica, Carmencita Calderon per grazia e per carisma è la Malibran del Tango.
Maria Malibran voce indimenticabile, dolcissima ed unica, a 16 anni debutta in un concerto parigino da soprano, una bellezza sontuosa e angelica, intelligente, esuberante, discuteva con fervore e passionalità tutto quello che riguardava l’arte la musica e il canto, incarnava l’ideale romantico, era in grado di affascinare come non mai.
Carmercita Calderon ha molto in comune con la Malibran , la stessa sensibilità con la quale la Malibran governava i saliscendi della voce, Carmercita inventava ed adornava i passi di tango.
Carmercita a differenza della Malibran, che morì a 28 anni cadendo da cavallo, visse per 100 anni, morì nel 2005, circondata d’ affetto e sincera ammirazione.
Occorre arrivare agli anni cinquanta prima che un’altra donna venga seguita e riconosciuta leader degli anni successivi, ribaltando il gioco dei ruoli nel tango per carisma e creatività: Maria Nieves è la compagna di Juan CarlosCopes, l’inventore del tango scenario.
Alla rottura della coppia di vita e artistica avvenuta dopo un sodalizio di cinquant’anni, Maria Nieves è l’ Alma del tango, quello vero quello in cui la donna ha la consapevolezza di essere femmina e femminile, rivoluzionerà per sempre l’immaginario femminile del tango. Il film che ricorda la sua vita ed il rapporto con Juan Carlos Copes, Un ultimo tango è un piccolo grande capolavoro.
Da qui in poi, i nomi di grande tanguere, interpreti del tango sono riconosciute con la stessa valenza ed importanza dell’uomo, non vi è più l’etichettatura di follower legata ad un concetto di guida passiva , ma di follwer come colei che con consapevolezza cede il controllo per la riuscita del ballo, nella ricerca della comunicazione e del piacere comune.
Concludo ricordando uno dei tanghi più famosi al mondo composto da una donna Rosita Melo, che scrisse il testo a soli quattordici anni, questo a dimostrazione che il tango non è uomo, non è donna, ma è sentimento reso in musica ”Desde el Alma”
L’amore disperato, un nome ed un aggettivo che, accoppiati, innescano in noi immagini, sensazioni e ricordi.
Chi, nella propria vita, non ha provato almeno una volta l’esperienza di un amore disperato. Ogni epoca ha i suoi riferimenti. Storie vere ricordate da testimonianze di vita: poesie, canzoni o film, tutte forme espressive di una riflessione intima, messa in condivisione per crescere e maturare nella conoscenza dell’essere umano.
Amo questa parola: “essere umano”, nel dirlo mi sento libera di non dover usare, un maschile, ma neppure un femminile.
Se immagino questo concetto di “ essere umano” come la luce con la quale mi illumino la strada della conoscenza, mi appresto a riflettere sull’interpretazione dell’amore disperato.
Due sono i testi che ho comparato, la cui bellezza è condivisibile e comprensibile sia per chi ama l’opera, ma anche per chi ama il tango:
L’aria “Oh mio Babbino” tratta da Gianni Schicchi di Giacomo Puccini e il tango “Gricel” scritta da José Maria Contursi.
Alcuni brevi cenni sono necessari per contestualizzare ed apprezzare a pieno le due proposte di confronto che ho scelto e l’attualità che, ancora oggi, conservano.
Le tematiche importanti della vita sono sempre le stesse, siamo noi attraverso la comprensione di un linguaggio emotivo, come direbbe Massimo Recalcati, a dare una risposta diversa.
Giacomo Puccini scrisse molto velocemente il Gianni Schicchi, nel 1917 a 59 anni, durante la stagione invernale nel suo Villino di caccia. È l’ultima opera della composizione del Trittico, ossia tre opere di un atto solo, in un’unica rappresentazione: Tabarro (primo atto), Suor Angelica (secondo atto) e Gianni Schicchi (terzo atto).
La storia di Gianni Schicchi è raccontata da Dante nell’Inferno, che lo colloca nel girone dei Falsari.
Siamo nella Firenze medievale, prospera e in pieno sviluppo economico, si iniziano a distinguere i “nuovi ricchi” dalle famiglie più importanti della città, le quali si ritrovano costrette a condividere aree di potere e di influenza con i nuovi arrivati.
La Famiglia Donati, di mercanti molto ricca e molto conosciuta, si trova d’improvviso a dover gestire una situazione delicata e quanto mai complessa. E’ morto il capofamiglia, Buoso Donati ed il testamento conferma la volontà del defunto di voler lasciare tutto in mano ad un convento di frati.
I parenti disperati si rivolgono a Gianni Schicchi per la sua fama di uomo astuto e capace di risolvere qualsiasi situazione incresciosa.
Gianni Schicchi è convocato e, si presenta per l’affetto della figlia Lauretta, che è innamorata del nipote del defunto, Rinuccio.
Ben presto, Gianni Schicchi si rende conto di essere in un vero nido di vipere, viene offeso e decide di lasciare la casa. Ma le parole e la disperazione che sente nel canto della sua Lauretta lo inducono ad indugiare.
“O mio Babbino caro,
Mi piace è bello, bello.
Vo’ andare in Porta Rossa
a comperar l’anello!
Si, si ci voglio andare!
E se l’amassi indarno
andrei sul Ponte Vecchio
ma per buttarmi in Arno
Mi struggo e mi tormento
Oh Dio, vorrei morir
Babbo pietà, pietà
Babbo, pietà, pietà”
La commozione e l’intensità del sentimento di Lauretta sono tali che Gianni Schicchi desiste e decide di aiutare la giovane coppia a realizzare con furbizia il loro sogno d’amore.
Gianni Schicchi si sostituisce allo zio morto, nel frattempo viene chiamato il notaio e dettate le volontà in base agli accordi presi precedentemente con gli eredi.
Grande è la sorpresa quando si arriva a designare il podere e la proprietà più fruttifera al suo più caro amico, e non ai nipoti. Tra beffa ed inganno Gianni Schicchi ne esce più ricco di prima. Tutta l’opera è giocata su melodie veloci e orecchiabili, per tenere il ritmo serrato della storia.
L’unica aria intensamente drammatica è quella cantata da Lauretta nella supplica che rivolge al padre, il dolore sarebbe tale da considerare il suicidio, un amore disperatamente intenso e legato ad una grande passione.
È lo stesso sentimento che viene espresso nel testo di Josè Maria Contursi verso la donna che ama appassionatamente ma non può avere, Gricel.
Quest’ultima però è una donna vera, quello che il testo descrive con parole poetiche ed una lirica musicalmente struggente, è la storia reale di un uomo e di una donna che hanno segnato la storia del Tango.
Josè Maria Contursi, figlio di un grande drammaturgo e compositore Pascual Contursi, era partito bene avendo ereditato le capacità artistiche del padre e ne fa presto buon uso raggiungendo una fama tale da essere conosciuto come “Duque de la Noche Portena”.
Giovane, alto, moro, modi gentili e parlantina poetica, aveva in mano un poker d’assi.
L’incontro con Gricel, era predestinato, la fatalità di un amicizia in comune porta una giovanissima Gricel di soli 14 anni a sperimentare l’emozione di un colpo di fulmine.
L’incontro avvenne presso la trasmissione radio Stentor, dove delle amiche di Gricel, Gory e Nelly Omar, hanno un’ audizione e lei le accompagna.
L’incontro è breve, ma tanto era bastato, perché si creasse quell’ alchimia tale che niente poteva più essere come prima.
Josè Maria Contursi, Katunga per gli amici, è già sposato e padre di una bambina a soli 23 anni.
Da questo loro primo incontro, trascorsero diversi anni prima che si rivedessero, sarà il destino a far incrociare nuovamente le loro strade.
La necessità di riprendersi da una lunga malattia porta Maria Josè Contursi a trascorrere un periodo di convalescenza in montagna, la scelta ricade proprio sul paesino dove viveva Susana Gricel Viganò.
L’amore ha un percorso tutto suo di farsi strada negli animi umani e stolto è lo sguardo dell’uomo se si sofferma a giudicare.
Maria Josè abbandona Gricel ritorna a casa da sua moglie e suo figlio, ma il pensiero di lei non lo abbandonerà mai.
La sofferenza di questo amore disperato, sarà la vena pulsante di tutto il suo repertorio artistico.
Le parole anche qui, come per “Oh mio babbino”, perdono d’ intensità se le leggiamo lontani dalla musica.
Il canto lirico, come il tango canción è una fusione di poesia in musica.
No debí pensar jamás en lograr tu corazón y sin embargo te busqué hasta que un día te encontré y con mis besos te aturdí sin importarme que eras buena… Tu ilusión fue de cristal, se rompió cuando partí pues nunca, nunca más volví… ¡Qué amarga fue tu pena!
“Non ho mai dovuto pensare a conquistare il tuo cuore, tuttavia ti ho cercata fino al giorno che ti ho trovata e con i miei baci, ti ho stordita senza che mi importasse della tua bontà.. la tua illusione fu di cristallo, si ruppe quando partì poiché mai, mai piùtornai…Quanto amaro fu il tuo dolore.”
Poche volte ho letto parole cosi coerenti e oneste nel riconoscere la responsabilità delle conseguenze di quando si ama con l’anima.
Buon ascolto di entrambe le arie.
Nella diversità che noterete, vi è una completezza che porta ad una comprensione profonda di noi stessi.
Gricel – letra di Maria Jósé Conturi, musica di Mariano Mores – canta Roberto Goyeneche – orchestra tipica Atilio Stampone
Gricel – Anibal Troilo, Francisco Fiorentino – traduzione Carla De Benedictis