Viva Rossini e il festival dedicato a lui, al coraggio dei primi fondatori che hanno saputo con arguzia riscoprire le opere considerate “minori” del Maestro e riproporle .
Un atto dovuto, un riconoscimento postumo comprenderne la delicatezza del messaggio rossiniano, raccolto in un arpeggio musicale e cantato, mascherato dal suono della risata. La sua musica suscita leggerezza nell’animo.
Questo termine “leggerezza” ha condizionato e limitato il giudizio affrettato con il quale i suoi contemporanei e non solo, lo hanno etichettato, riproponendoci sempre e solo le opere di maggior successo: Il barbiere di Siviglia, Guglielmo Tell, L’ italiana in Algeri, La gazza ladra e Semiramide.
Per secoli questa convinzione non ci ha permesso di scoprire l’intima complessità della sua anima.
In Rossini, la leggerezza mascherava la conoscenza profonda della vita, nell’affrontare il dolore ed il perdono.
Il festival di Rossini, non solo ci ha permesso di riscoprirlo ma contemporaneamente, ci ha offerto una seconda chance, occasione rara nella vita, ridare spessore e studio al bel canto italiano.
Rossini è un artista mitteleuropeo, seppe mantenere vive le sue radici culturali italiane, ma scelse di vivere in Francia, fece della resilienza il suo stile di vita e la sua musica ne è lo specchio.
Una chiave di lettura oggi più attuale che mai, la contaminazione se accompagnata dalla risata crea armonia e dove l’uomo distrugge la musica può risanare.
Il festival si conclude e ci dà appuntamento per l’anno prossimo, il gala di chiusura guidato da un giovane e brillante direttore Marco Spotti ha saputo dirigere con sicurezza l’orchestra della Rai ed il Coro del teatro Ventidio Basso.
Un matador, Juan Diego Flórez ha dato il meglio di sè, si leggeva nel volto la soddisfazione di essere presente a questa edizione 2021 segnata dal Covid.
Il confronto con le voci di Cuberli e Riamondi, ci fa sospirare, difficile trovare negli altri interpreti quello smalto, quella dolcezza e ritmicità nel legato.
Che sia andata persa la tecnica d’insegnamento per impostare la voce?
No! Ci assicura l’Accademia Rossiniana sta lavorando assiduamente perché questo non debba mai avvenire, speriamo di vederne presto i risultati al punto da poter dimenticarsi dell’uso del microfono su palchi.
Il soprano Marina Monzó ha le potenzialità di un autentica perla.
Per gli amici vicini che sento sospirare rimpiangendo la crescita del bel canto italiano degli anni ’90, mi sento fiduciosa nell’esprimere questa opinione del tutto personale: ci vuole tempo e dedizione per ricreare dove è stato distrutto per la fretta del business.
Astor Piazzolla fu anche lui un bambino, per capire l’artista occorre percorre i sassolini bianchi lasciati dal fanciullo… e per farlo bisogna saper ascoltare e guadare le cose solo come un bimbo può fare.
Tra bambini il linguaggio è immediato: tanto crudo quanto delicato.
Una contraddizione nata dal percorso di maturità che il bambino deve compiere per diventare una persona consapevole degli altri, per vivere all’interno di una società sana, direbbe l’osservatore adulto, uno schema istintivo dalle connotazioni inconsce, da osservare, specchio delle dinamiche familiari e sociali, direbbe lo psicologo, ma l’artista, che ha mantenuto lo sguardo di bimbo, riderebbe di tutto ciò.
L’artista porterebbe la sua visione, nello stesso modo Stefania Panighini ha dato la sua lettura di questa “operita”, Maria de Buenos Aires, come Astor Piazzolla e Horracio Ferrer, amavano definirla.
Partirò cercando di descrivervi un Piazzolla bambino, per arrivare a raccontarvi di Maria de Buenos Aires e del perché, tra le tante rappresentazioni andate in scena quest’estate, in commemorazione dei 100 anni di Piazzolla, abbia scelto quella della regia ed i costumi di Stefania Panighini.
Il 27 e 28 Agosto a Jesi, in piazza Ferdinando II con il perfetto cast di voci: il mezzo soprano Giuseppina Piunti, nel ruolo di Maria, il baritono Enrico Maria Marabelli nella parte di El Payador e Davide Mancini nei panni di El Duende, sarà possibile assistere ad una delle ultime rappresentazioni programmate per quest’Estate 2021. Il cast di voci, con la regia musicale e scenica raggiunge un pathos coinvolgente.
Astor Piazzolla nasce nel 1921 a Rio de la Plata, l’estuario formato dall’incontro dei due fiumi, Uruguay e Paraná, con l’Oceano Atlantico, traducibile come “fiume dell’argento”.
I suoi genitori sono immigrati italiani, Vicente Piazzolla originario di Trani in Puglia e la madre Assunta Manetti originaria di Massa Sassorosso in Toscana.
Da piccolo si trasferisce a New York tanto da conoscere meglio l’inglese e trova difficoltà ad esprimersi in spagnolo.
E’ un bambino vivace ed istintivo, la passione musicale è già lì, al punto che di notte scappa da casa con un amico polacco per andare ad Harlem al Cotton Club ad ascoltare l’orchestra di Cab Calloway ed ha solo 9 anni!
In casa il padre appassionato di tango ascolta sempre i dischi di De Caro, Pedro Laurenz e tanti altri, lo indirizza da bambino allo studio del bandoneón regalandogliene uno.
Studia musica classica, Bach lo prende per mano e le sue agili dita riescono a suonare il bandoneón come se fosse un piano; Jazz, Bach, i suoni del tango, tutto è mescolato all’interno della sua mente in un ordine ancora non prestabilito, come quando davanti ad un terrina vuota da bambino ti viene data la possibilità di creare un dolce nuovo: uova , farina, zucchero, burro e lievito quanto basta.
La fatalità del destino, l’incontro con Gardel e la sua partecipazione al film El dia que me Quiera, una piccola particina, lo strillone di strada, ma tanto basta perché scattasse una scintilla tra i due, parole d’incoraggiamento a non abbandonare lo studio musicale e piccoli ingaggi che lo mettono in contatto con il mondo artistico del tango e lentamente la liricità poetica si fa strada silenziosamente nell’anima porteña di Astor.
La famiglia Piazzolla fa ritorno a Rio de la Plata nel 1937 , Astor studia a Buenos Aires vive la città , vive il suo tempo, il peronismo e la sua fine, l’inizio del golpe da parte dei militari e gli anni a seguire fino a quando lascia l’Argentina per l’Europa.
La città di Buenos Aires è in pieno cambiamento culturale, come lo è il tango, sempre di più abbandonato a se stesso, assopito in un angolo di una sala vuota, dove alle prime luci dell’alba, risuona in lontananza le ultime note di un bandoneón.
Maria de Buenos Aires nasce il 1968 in questo clima di grandi fermenti, è la poesia musicale che negli anni si è fatta strada nel cuore di Piazzolla, dove solo un bambino puro poteva trovare la soluzione per creare un equilibrio nuovo di sonorità, jazz, swing, tango e musica sinfonica.
Operita, sta alla Turandotdi Puccini, un passaggio che divide in due parti tutto quello che era il mondo lirico prima della Turandot, da quello che venne in seguito, come altrettanto si può dire di Maria de Buenos Aires, segnò il tracciato per quello che oggi viene definito opera-tango.
La musica precede laLetra de Horacio Ferrer di quasi un anno.
La simbiosi tra le due parti è incredibile, se si pensa come la nascita delle opere liriche avvenisse in strettissima collaborazione tra il Maestro e il suo librettista, qui non accade, eppure la sintonia è totalizzante.
Maria de Buenos Aires simboleggia le traversie e le violenze che in quegli anni Buenos Aires stava vivendo, ed il tango se è il sangue di questa città, si trasforma rinasce o sopravvive nella sua ombra, come un fantasma si evolve in qualcosa che solo la struggente malinconica passione sa riconoscere.
La messa in scena originale di Maria de Buenos Aires vede la partecipazione degli autori diretti come interpreti e produttori. Il primo debutto è nella Sala Planet della città di Buenos Aires l’8 Maggio 1968.
Il cast era formato da Horacio Ferrer, poeta del testo lirico nel ruolo del recitatoreel Duende, Amelita Baltar come Maria ed Héctor de Rosas nel resto dei ruoli maschili, un bandoneón , Astor Piazzolla e dieci musicisti. La mancanza di denaro aveva imposto la scelta per un cast ridotto rispetto all’idea originale.
Lo spettacolo ha un debutto con “tutto esaurito”, ma non ottiene l’approvazione, anche se la critica ne scrive bene.
È un fallimento dal punto di vista economico e lascia gli autori con grossi debiti.
Lo sguardo perso, mai come in quel momento, Piazzolla deve aver assaporato l’intensità di una scelta di vita, il cui messaggio profondo risiedeva nella convinzione che la musica altro non era che la chiave di lettura di una vita per l’umanità possibile e migliore.
La partenza per l’Europa, aprirà una strada nuova alla compagnia di artisti che si muoverà con lui e la sua Maria prima bambina, poi donna e poi fantasma risuona e ricorda, nelle note nostalgiche del tango, che è sempre viva.
L’ Europa, il pubblico europeo meno legato alla tradizione musicale argentina è pronto ad accoglierlo a braccia aperte. Due sono le grandi protagoniste che si alternano nel ruolo di Maria, prima Amelita Baltar e poi Milva la Rossa, incontrerà il favore del pubblico riscuotendo un riconoscimento univoco.
La trama si sviluppa su due tempi nell’arco di un’ora e mezza.
Ogni tempo è incorniciato all’interno di 8 quadri, creando una simmetria sia musicale che visiva.
Prima parte:
1- Alevare
2- Tema de María (instrumental)
aggiunta yo so maria
3- Balada Renga para un Organito Loco.
4- Milonga Carrieguera.
5- Fuga y Misterio (instrumental)
6- Poema Valseado
7- Tocata Rea
8- Miserere Canyengue de los Ladrones Antiguos en las Alcantarillas
Seconda parte:
9-Contramilonga a la Funeral por la Primera Muerte de María.
10-Tango del Alba (instrumental)
11- Carta a los Árboles y a las Chimeneas.
12-Aria de los Analistas.
13-Romanza del Duende.
14-Allegro Tangable (Instrumental)
15-Milonga de la Anunciación.
16-Tangus dei
Maria è il filo conduttore con il quale Piazzolla esprime tutto se stesso, i ricordi della sua infanzia, l’amore per le donne, la sua terra e la sete di libertà
Maria nasce in un sobborgo povero di Buenos Aires, è una giovane operaia onesta, ingenua è sedotta dalla voce ipnotica della città e del tango.
Yo so Maria, è l’aria con la quale si presenta, una fusione di musicalità e poeticità romanticamente vitale, richiama il ricordo musicale di West Side Story, Maria, il sogno americano, di giustizia e amore il sogno argentino di libertà e amore, entrambi spezzati dalla realtà.
Maria diventa cantante e prostituta, è fiera come lo era Carmen, è lei padrona del suo destino e forse per questa impudenza viene condannata a morte dai tenutari dei bordelli.
Dopo la morte di Maria, il suo fantasma si muove in una città divenuta a sua volta lo spetro di se stessa. La sua vera identità, violata ripetitivamente sotto il regime militare, è andata persa.
Lo spettro di Maria si innamora di un folletto, che altro non è che un poeta, da questo amore non può che rinascere una nuova Maria, una nuova Buenos Aires, un nuovo tango.
Maria de Buones Aires – E.I.B.
Perché la regia di Stefania Panighini ha suscitato in me un interesse particolare?
Tre sono le ragioni:
Una visione femminile sulla regia che pone attenzione al dettaglio scenico come introspezione ed il riconoscimento di una capacità logica organizzativa, che il mondo teatrale, ancora oggi, fa fatica a riconoscere alle donne.
Là dove, solitamente la violenza è rappresentata con crudezza quasi palpabile, la Panighini sceglie di cogliere la delicatezza nel dolore violato del ruolo della donna : madre, figlia, amante, prostituta, Buenos Aires diventa il simbolo dell’intera umanità.
L’ atmosfera magica ricreata dai costumi e dalle scene, ci trasporta in un mondo fiabesco, nel quale l’opera stessa prende vita; la magia, una nuvola, il cui compito è solo quello di rendere accettabile la realtà dell’inaccettabile.
La coproduzione con il Teatro dell’Opera Giocosa di Savona, con il Teatro Pergolesi Spontinidi Jesi e con l’Ente Luglio Musicale Trapanese ha reso possibile questo innovativo progetto, al punto che per la prima volta la Fondazione Pergolesi Spontini rende l’opera accessibile a non vedenti/ipovedenti e non udenti/ipoudenti con un servizio di audio introduzione, audiodescrizione e soprattitoli, in collaborazione con la professoressaElena di Giovannihttps://www.fondazionepergolesispontini.com/lirica/opera-accessibile
La regista Stefania Panighini lei stessa ci spiega come:
” In Maria de Buenos Aires l’uso della metafora e della poesia rendono l’opera una magia. L’ambientazione scelta è volutamente povera per sottolineare il contesto in cui è nato il tango, ma ha il sapore dei film di Fernando “Pino Solanas“, scomparso l’anno scorso”.
30.06.2021
“Un tuffo nella poesia profonda, nel mondo del chiaroscuro del tango, un carpiato all’indietro proiettato verso il futuro, il debutto di Eléna sulle scene, il modo più bello di festeggiare i miei primi quarant’anni!”
Una produzione che mi auguro possa girare nei più bei parchi e teatri Italiani e viaggiare per l’Europa, portando quell’aria di freschezza: una visione di coerenza ed impegno, un nuovo femminile che sa porsi all’attenzione del grande pubblico internazionale.