AMICI IN VIAGGIO: Prima puntata

IN VIAGGIO CON ROSASPINA BRIOSA

ll BLOG  “UN TANGO CON IL TENORE” ha raggiunto da poco un anno di vita.

Il Blog è nato per caso, sulla spinta di correnti sinergiche che inaspettatamente, senza nessun tipo di connessione si sono incrociate, un po’ come in fondo è accaduto per l’inizio del Big Bang, dando il via alla creazione del pianeta terra, così altrettanto ha preso forma l’idea di scrivere di tango e lirica.

La similitudine descritta è ovviamente in senso ironico, anche se il Blog è stato per la mia vita un vero Big Bang e le persone coinvolte, che hanno creduto e sostenuto Rosaspina Briosa, hanno in comune la stessa caratteristica: la forza di perseverare nei sogni.

Giuseppe Scarparo, Chiara Cecchinato,  Alessandro Uccello con Angela Lucerna, Nicoletta Santini e l’Inviato speciale in incognito, grazie !

In un mondo sempre più virtuale, dove tutto è raccontato a tempo immediato, senza più pause per assorbire e sviluppare un proprio senso critico, al punto tale che non riusciamo più a distinguere la realtà della vita da quella che ci viene raccontata, ho pensato di ringraziarli con una breve video intervista, cercando di cogliere la loro gioia per la vita.

Il primo è Giuseppe Scarparo che una mattina di Marzo, mi chiamò svegliandomi e  mi domandò: Svelta dammi un nome che sto registrando il blog per te!Così, spontaneamente e mezza addormentata il mio cuore parlò : “Un tango con il tenore

Il video che segue è il risultato di una piacevole chiacchierata sul tango con un Maestro fuori dalle righe …

Giuseppe Scarparo e Rosaspina Briosa

La violenza

Perché la violenza e il tango?  

Perché per superare la violenza, bisogna ritrovare la bellezza che c’è in noi e il tango ci prende per mano per aiutarci a riscoprirla.

Perché la violenza e il tango sono suoni e fisicità, si muovono insieme, crescono con noi, si camuffano tra le pieghe della vita, ma mentre la violenza, lentamente ci paralizza, il tango ci guarisce.

La violenza è fatta, di brividi, sudore, vuoto, disorientamento, un tormento che non trova pace al punto tale che lo si nega prima di tutti a se stessi.

Questa è la violenza, una scissione dell’anima tra il prima e il dopo, non si riaggiusta, senza rinascere da un nuovo “io”.

Un nuovo io che nasce da una nuova voce. Qual è quell’elemento che unisce le voci delle donne al Tango?

Il rispetto è l’anello di congiunzione.

Difronte alla devastazione, la musica in particolare è in grado di curare la ferita dell’anima.

Il tango è musica.

Si avvicina silenziosamente e nel suo abbraccio, ricerca una fisicità fatta di vita e ogni “tanda” diventa unica in quanto incontro tra due persone.   Nel ballo e nell’ascolto si esplorano le emozioni: la tenerezza, l‘accoglienza, la passione, la sensualità e il rispetto.

Il tango ha una storia lunga e complessa, nasce dal flusso migratorio di culture diverse che si sono incrociate tra Montevideo e Buenos Aires tra l’estuario del Rio della Plata tra la fine dell‘800 ed i primi del ‘900.

Attraverso il linguaggio della musica e del corpo, il tango è stato catalizzatore di un grande e continuo processo rivoluzionario sociale e culturale che ancora oggi è in atto, tanto da essere nominato, nel 2009, patrimonio immateriale dell’umanità.  

Il Tango è espressione di uno sviluppo dell’emancipazione femminile straordinario, per la prima volta la donna è legittimata, attraverso un ballo, ad esprimere la sua femminilità e sensualità in pubblico. Per ballar bene il tango, la donna deve contrapporsi all’uomo, riconoscendo la sua stessa importanza, non abbandonandosi ad un ruolo passivo.

Attraverso la letra, il testo della canzone del tango, diventa così possibile esprimere quello che diversamente non sarebbe stato possibile sulla condizione femminile, ma anche su quella sociale.

Ci si sofferma tropo poco a comprendere i testi delle letre, che balliamo, presi come siamo dalla musicalità, mai ci aspetteremmo di ballare su parole poetiche, crude e taglienti come solo la vita può esserlo.

I brani che vi propongo per l’ ascolto, mi sono stati suggeriti da cari amici tangueri di Genova. Gli ho trovati molto attuali e perfetti da dedicare oggi a tutti noi, senza distinzione di donna o uomo, perché la violenza non ha sesso, non ha età , non ha colore della pelle.

Naranja en flor”, musica di Virgilio Exposito, e letra di Homero Exposito, orchestrata da Anibal Troilo, cantata da Floreal Ruiz.

Era più pura dell’acqua sono le parole inziali di questo meraviglioso tango, si parla di stupro, attraverso una metafora, poiché negli anni ’20 non era ancora pensabile pronunciare questa parola ad alta voce. Solo l’acqua è l’elemento primario per la vita, nell’acqua nasciamo, dell’acqua necessitiamo per vivere e  per ripulirsi dopo uno stupro. Solo un poeta avrebbe potuto con occhi amorevoli trovare un simile paragone.

NARANJAN EN FLOR – Orchestrata da Anibal Troilo, musica di Virgilio Exposito, e letra di Homero Esposito, cantata da Floreal Ruiz

Il brano successivo è: “Un crimen”, musica e letra di Luis Rubistein, orchestrata da Miguel Calò, cantata da Raùl Beron.

Il tema purtroppo sempre attuale, il femmicidio, dramma che nasce dal sentimento della gelosia.

Le parole scritte nel 1942, possiamo  ritrovarle sulle testate giornalistiche di oggi: “La mia gelosia è finita in follia e nel mezzo dell’inferno mi sono perso…”.

Letra:

Mi drama señor juez es la historia
Que puede comenzar por el final
Ya se que en lo grotesco de mi gloria
No es facil parecer sentimental
La vida que le di fue una tortura
Y su alma soportó mi frenesi
Mis celos terminaron en locura
Y en medio de un infierno me perdi
Y vi neblina en sus ojos
Cuando mis dedos de acero
En su cuello de nacar
Bordaron un collar
Rodo besando mis manos
Y apenas pudo gritar
Su voz se ahogo sin reproche
Y así mansamente tu fin???
Tengo su angustia en mis ojos
Y no la puedo arrancar
Yo quiero señor juez con esta historia
De un crimen tan perverso y tan brutal
Que no haya ni una marca en su memoria
Ni sepan que era buena y le hice mal

Traduzione:

Il mio dramma signore giudice è  la mia storia
Che posso raccontare  dalla fine.

 La mia fama è grottesca e mi precede.
Non è facile sembrare innamorato
La vita che le ho dato è stata una tortura
e la sua anima ha sopportato la mia frenesia
La mia gelosia è finita in follia
e nel mezzo dell’inferno mi sono perso
e ho visto la foschia nei suoi occhi
Quando le mie dita d’acciaio
sul suo collo di madreperla
hanno ricamato una collana
Rotolò baciandomi le mani
e riusciva a malapena a gridare
La sua voce era soffocata, senza rimproveri
E così dolcemente è stata la tua fine ???
Ho la sua angoscia nei miei occhi
e non posso dimenticarlo
Desidero  signore giudichi che questa storia

un crimine così malvagio e  brutale
non ne rimanga il segno della sua memoria
Non so più se fu bello e le feci  male

Non ricordo più se fosse buona e le feci del male

UN CRIMEN, orchestrata da Miguel Calò, musica e letra di Luis Rubistein, cantata da Raùl Beron.

Per ultimo, per chiudere in leggerezza, dimensione di cui necessitiamo, per avere speranza e fiducia, un tango, la cui poeticità e il ritmo melodico e turbinoso, rende consapevoli che la felicità è l’istante di un momento.

“Lavida es una milonga”: musica di Fernando Monton, letra di Rodolfo Sciammarella, orchestrazione di Pedro Laurenz,  cantata da Martin Podestà.

La vita è una milonga e devi saper ballare, perché è triste star seduto mentre gli altri ballano.”

E con queste parole, Rosaspina Briosa, augura a tutte le donne di ritrovare se stesse!

Rosaspina Briosa ®️

LAVIDA ES UNA MILONGA. orchestrazione di Pedro Laurenz, musica di Fernando Monton, letra di Rodolfo Sciammarella,  cantata da Martin Podestà.

LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio IV

Episodio IV

I giorni si susseguivano, uno accanto all’altro in una ripetitività come solo lo scorrere del tempo può generare: l’attesa del giorno nuovo.  

Elena, si rifugiava nel tango, rappresentava una bolla nella sua quotidianità esistenziale che le permetteva di fermare il tempo.

L’attrazione ed i giochi di sguardi precedevano l’euforia pre mirada; è sottile il confine tra complicità di coppia e amore per il tango.

Ridacchiava ed ammirava con un velo di sarcasmo quelle tanguere che pur non essendo più giovani, si trasformavano nelle braccia del partner al punto da non poter più dare loro un’età.

Quel tipo di sicurezza derivava solo ed unicamente dalla femminilità di ogni donna porta dentro di sé.

Talune ne avevano talmente in abbondanza che neppure si rendevano conto dell’effetto che provocavano; queste rare ballerine, rimanevano inconsapevoli del loro potenziale. Spesso ballavano al di sotto delle loro capacità, non osando mirare o contraccambiare lo sguardo con coloro che definivano bravi.  La scelta di rimanere nella loro zona confort, le proteggeva dalla delusione di provarci.

Che spreco, si disse tra sé e sé, l’autostima è fondamentale.

Un sorriso amaro le increspò il labbro pensando a Francesca, non le mancava l’autostima, eppure, anche lei, non voleva vedere la vera natura di Marco.

Marco è un bluff!

Il giorno della resa dei conti si stava avvicinando sempre di più.

Lo aveva capito da come ultimamente ballavano in milonga e presto nel gioco delle coppie, si sarebbero ritrovati a rimescolare le carte … niente era destinato a rimanere come sembrava.

L’ estate con le sue lunghe notti, la carezza dell’aria fresca, l’inganno delle stelle predisponevano gli animi ad incontri talvolta fugaci, raramente autentici, ma quando questo accadeva faceva tremare le fondamenta anche della coppia apparentemente più stabile.

Non è vero che il tango inganna, eppure porta a confondere ciò che non si vuol riconoscere.

Il bip del suo cellulare l’avviso dei messaggi in arrivo su WhatsApp.

Sorrise, si divertiva a tenere vivo l’interesse di più uomini, ognuno non collegato all’altro, in modo tale che le possibilità che si incontrassero o condividessero amicizie o passioni comuni era praticamente nullo.

Aveva una preferenza accentuata per quelli fuori regione, le permetteva di vederli con meno regolarità, riuscendo a mantenere vivo la curiosità verso di loro.

Il guaio vero era che pochi riuscivano ad intrigarla con una conversazione ricca al punto tale da farle scattare il desiderio di approfondire la conoscenza.

Ahimè quello era il suo limite grande… al terzo incontro quando le cose stavano prendendo la piega giusta e tra una risata profonda e dell’allegra euforia, regalo di un buon bicchiere di Amarone, accadeva quasi sempre una caduta di stile, talmente inappropriata da rivelare tutta l’arroganza maschile, così ben camuffata da un accentuato narcisismo, al punto che si chiedeva se non fosse meglio essere un po’oca e scopare di più.

Ma ecco che il retaggio culturale, invece di aiutarla sostenendola a ragion veduta, di non perdere una , che erano le ultime cartucce, fregatene e concludi la serata, tutte le volte le faceva l’auto sgambetto…

Si ritrovava a girare le chiavi nella toppa di casa, tutta sola.

Ridendo si toglieva le scarpe e gettandosi nel letto quasi vestita, ripensava ancora a quella prima volta dopo la sua vedovanza, aveva bevuto talmente tanto che a forza di farlo ridere, gli era diventato piccolo e non avevano concluso più niente.

 Si erano addormentati abbracciati.

Si guardò allo specchio con uno sguardo nuovo e si chiese, se anche lei non facesse parte di quelle poverine che fino a pochi minuti prima aveva scanzonato.

Si guardò allo specchio, aveva poco seno per attizzare, la vita sottile e le gambe lunghe, le garantivano alla sua età una figura ancora armoniosa e slanciata.

Non si stupiva degli sguardi accesi nei suoi confronti, quello di cui si meravigliava, ora ripensandoci con calma, era che benché riconoscesse la sua passionalità femminile, al punto tale da comprendere di desiderare un uomo, poi di fatto non riusciva ad instaurare una comunicazione che perdurasse oltre il periodo canonico dei due mesi. Come se ci fosse una tacita regola non scritta tra il “gentil sesso maschile”, che allungare il periodo dei due mesi, avrebbe provocato una paralisi fulminante alle articolazioni inferiori ed il cervello sarebbe andato in pappa. Addirittura sembrava, che l’emotività affettiva, sprigionata dall’intimità fisica di due persone, non dovesse superare lo strato protettivo intimo dell’anima, altrimenti era la fine.

Una volta attivato il processo dell’innamoramento, il rischio di creare una dipendenza emozionale era talmente alto, tanto quanto la persona difronte a te risplendeva di sincero affetto.

Gira che ti rigira il tango visto da questa prospettiva diventava catalizzatore di energie cariche di erotismo, infiammando le fantasie di taluni e portando in milonga una brezza di euforica confusione.

Ma veramente il tango è in grado di allontanarti da ciò che ti è più caro?

La sua mente, come un filtro della macchina del caffè, tralasciava solo ciò ritenuto corretto: un insieme di valori e convinzioni, il resto, rimaneva ben nascosto.

 Il persistente bip del cellulare le impose l’attenzione su dinamiche familiari più complesse.

Uscì dal bagno guardando l’orologio, lo sguardo oltrepassò quel disordine distribuito in modo uniforme, i vestiti indossati la sera prima spiegazzati adagiati un po’ sulla poltroncina e un po’ a terra.

Le scarpe invece non si ricordava che fine avessero fatto, ecco, una si intravedeva da sotto il letto, ma l’altra?  Percorse la stanza senza trovarla fino all’ angolo della scrivania dove una catasta di libri, ogni giorno si alzava sempre di più, storcendosi come la torre di Pisa.

La situazione sarebbe stata recuperabile, se avesse perso meno tempo dietro ai suoi pensieri, avesse fatto andare le mani invece che rincorrere i ricordi.

L’occhio scanzonato e di sufficienza con i quali i suoi figli erano soliti a commentare quello stato di cose, la catapultò nello sconforto di sentirsi una madre inadeguata.

L’ansia fece capolino, inducendola a muoversi nel più breve tempo possibile, almeno le lenzuola e far cambiare l’aria, “la stanza con i letti in ordine ha subito un altro aspetto” era solita a dirle su nonna.

Nel tirare le lenzuola, sentì le mani rugose di sua madre, accarezzavano le sue, nella semplicità di quel gesto, rivide per un breve attimo la stanza di sua madre come la sua, anche lei da giovane donna osservava e giudicava.

Vedova, non divorziata, un’eccezione alla sua età e tra le sue amiche si riteneva fortunata, aveva potuto preservarne il profumo dei fiori di arancio, e dalla distruzione la terra calpestata, giorno dopo giorno, aveva riassorbito la perdita del dolore.  I ragazzi un faro nelle notti più buie. 

Matteo rientrava da una vacanza con gli amici in campeggio e Stephy da Ferrara. L’ affitto del monolocale la costringeva a continue piccole economie, aveva rinunciato all’auto pur di vivere in uno spazio tutto suo.

Si era trasferita da un anno a Ferrara , per completare il dottorato   in poliambulanza nel reparto pediatrico, ultimo arduo step, fatto di sacrifici e rinunce, senza quelle tranquillità sul futuro e l’aiuto economico dei genitori che la sua generazione aveva goduto.

 Stephy sarebbe arrivata in stazione per le 13:00 realizzò tutto di colpo.

La sua spinta affannosa nel coprire con la mente tutte le mancanze sottolineate dai suoi ragazzi le si rivoltò contro in una smania di compiacere; cercava di recuperare una metodicità che non le apparteneva.

I cinque minuti necessari per finire un lavoro, diventavano dieci di ritardo su quello successivo e il rincorrersi delle lancette l’avvisavano del limite che si era data.

 Alle 12:30 avrebbe dovuto trovarsi in macchina se voleva assolutamente arrivare puntuale.

Nell’azionare la macchina, l’orologio sul cruscotto segnava le 12:40.

Traffico, il cellulare iniziò a squillare. “Pronto, ciao Mamma”

“È arrivata?”

“Sto andando a prenderla in stazione, ti chiamiamo noi..”

“Si, va bene , aspetto. Baci”

Doveva riconoscere che sua madre aveva due grandi capacità: la prima, chiamarla sempre nel momento di maggiore tensione tra la partenza o l’arrivo. La seconda capacità mantenere una serena accondiscendenza sugli imprevisti della vita, ed un innegabile tocco contorto nel farti sentire in colpa ed inadeguata, tanto quanto l’inconsapevolezza di questo suo atteggiamento, aveva finito di minare il loro rapporto, al punto che un meccanismo di dipendenza affettiva, giocato sulla sudditanza dei ruoli aveva garantito alcune certezze a sua madre a discapito della sua sicurezza.

Chi con forza affermava che l’amore materno è sempre e solo protettivo e benevolo, lo guardava con perplessità, non esprimeva una parola, in coscienza sapeva che sarebbe andata incontro ad una conversazione sterile.

Già tanto era comprenderlo da sola, per non riproporlo, nel fagocitante gioco al massacro nella comunicazione familiare con i suoi figli, impossibile metterlo in discussione con gli estranei.

La mente e il cuore possono parlarsi? Si chiedeva Elena aspettando sua figlia.

“Mamma, ciao, come stai?”

 Stephy era sciupata, le piangeva il cuore quando la vedeva spenta. A ventisette anni dovresti sorridere sempre.

“Sei magra,” nel dirlo Elena si morse il labbro.

“Guarda non iniziare, sono appena salita ma faccio presto a scendere e chiedere a Laura se posso stare da lei.”

“Ma, no cosa dici è che sono così contenta di vederti, ho già tutto pronto a casa”.

“Matteo dovrebbe arrivare a momenti. Perché non lo chiami? Cerchiamo di capire tra quanto arriva”.

Stefania, la guardò di sott’occhi prese la sigaretta se l’accese.

“Posso? Ti dà fastidio?”

“ Ma no, apri il finestrino. Il viaggio dura poco, ma dovevi proprio fumare ora?”

“Se ti dà fastidio spengo” nel dirlo schiacciò la sigaretta.

Ogni volta che la vedeva, le si stringeva lo stomaco, solo il suono della sua voce lo percepiva come aggressivo, la mortificava, ogni parola implicava un giudizio mascherato di disapprovazione nei suoi confronti. Si girò ad osservarla, le mani stringevano con forza il volante e lo sguardo fisso sulla strada segnavano un volto stanco almeno quanto il suo. Ma che cazzo aveva fatto? Si domandò.

Elena non capiva, ma perché aveva dovuto sottolineare in quel momento il fatto se fumava o no in macchina sua? Che cosa voleva dimostrare? Non poteva accettare che sua figlia vivesse la sua vita come voleva? Doveva per forza mascherare le sue domande. Eppure ci doveva essere un altro modo per comprendersi, la felicità ha senso solo nel momento che la condividevano, ma tra loro non c’era una vera condivisione.

Le emozioni sovrastavano la sua capacità di ascolto, un ascolto dell’altro che il tango ben le aveva insegnato, lasciarsi andare nel respiro.

Cos’è fare tango? Non è forse tango parlare senza parole?

Il silenzio, non è necessariamente il vuoto, crea chiarezza e nel percepire l’aggressiva esclusione dell’altro, comprendi il confine protettivo di te stesso.

Qualunque cosa lei avesse fatto in passato per creare una protezione simile in sua figlia, non avrebbe rinnegato la sua responsabilità ma la capacità di andare oltre comprendere e lasciare andare era qualcosa che poteva insegnare a se stessa e a lei non con le parole ma solo con l’esempio. 

Vi sono degli attimi nella vita di ognuno di noi dove smettiamo di diventare figli per evolverci in genitori ed è quando ci riconosciamo fragili.

Mi voltai e le sorrisi.

“Possiamo riprovare? “

“Non lo so mamma, credimi lo vorrei tanto, ma tu sei perpetuamente lo schema di te stessa”.

Entrammo in casa e qualcosa di veramente insolito ci attendeva, Matteo aveva già buttato la pasta e la stava scolando.

Ci guardò entrambe: “Giusto in tempo, belle donne sedetevi a tavola che ora vi servo subito.”

Stehpy , gli andò incontro un bacio veloce sulla guancia “Stai bene fratellone, le vacanze ti hanno donato”.

Mi guardai intorno, mi morsi il labbro, la cucina non era proprio come l’avevo lasciata ed il mio arrosto era rimasto in forno con le patate.

Mi azzardai a dire. “Avevo già preparato tutto.” Mi bloccai, improvvisazione, contaminazione e inclusione …. forse significava mettersi a tavola, ridere, bere e gustarsi la pasta anche se fosse stata scotta e soprattutto esclusa dal mio programma di dieta.

“Ma è mille volte meglio venir servita, l’arrosto lo teniamo per questa sera..”

“Io non ci sono, sono a fare un ape cena in centro con i miei amici” Matteo, mi guardò aspettandosi da me la solita replica … ma come sei appena tornato a casa ed esci nuovamente…

Stefania aggiunse “Sono a cena a casa dei genitori di Manu”.

“Direi che ora mangiamo la pasta prima che si raffreddi e all’arrosto ci pensiamo domani “.

La carbonara veniva proprio bene a Matteo, si sentiva la cucina con il cuore, vederli seduti accanto a me, anche solo per quei dieci minuti tanto era la fretta che avevano di mangiare velocemente per poi ognuno ritirarsi nelle proprie stanze.

No, non avrei lasciato quella voce malinconica disturbante, lasciarmi reinterpretare la realtà del presente con le lenti dell’amarezza. No, non ci sto, amo me stessa, amo la mia vita e amo i miei figli perché abbiano la loro.

Il cellulare suonò, riconobbi la suoneria di Francesca.

 Risposi: “Cara ho i ragazzi a pranzo ci sentiamo dopo”.

“Un attimo solo, ti ho inviato diversi messaggi, stiamo prenotando per stasera andiamo tutti in Villa Balestri, Milonga con ape cena sei dei nostri?”

Sorrisi, talvolta le cose si incastrano nel modo più imprevedibile, ripensando a come tutto può cambiare in un attimo, la percezione della vita, l’intensità della morte, l’accettazione folle di essere innamorati ci vuole un atto di armoniosa fede verso noi stessi.

“ Si sono dei vostri”.

LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio III

Terza puntata

Marco si chiese perché proprio quella mattina gli erano tornate in mente
le parole del Maestro Francesco. Non le aveva comprese allora:  “Amara è la vita in fuga.”
La sua non era stata una vita amara.
Guardiamo la realtà, aveva un lavoro stressante, sì, ma gli piaceva.
Possedeva una bella casa e una vita sociale soddisfacente.
Aveva interessi suoi ed una compagna con la quale sarebbe invecchiato, alla fine si sarebbero presi cura l’uno dell’ altro.
L’ insoddisfazione macinava lentamente all’ interno del suo stomaco come quei vecchi macinini del caffè, bastava poco a lasciare andare la tensione accumulata.
La vista del giorno che sorgeva, il suono del mattino, le sue passeggiate solitarie in montagna, le fotografie a scorci paesaggistici, il respiro ritmato del suo cuore nel silenzio della natura, erano strategie create  allo scopo di riequilibrare la sua ansia.

Due bei seni e lo sguardo intenso di occhi sinceri, anime solitarie, intimidite, strapazzate dalla fatica del vivere, completavano il cocktail di antidepressivi naturali creati ad hoc per lui.

In fondo, lui e Francesca non si facevano del male, reciprocamente, e nelle relazioni che instaurava, sentiva di donarsi quella libertà che per qualche convinzione sociale era definita tradimento.
Oggi però, si percepiva come una contraddizione vivente o un’amarezza sottile, forse nata dalla consapevolezza di non aver cercato con coraggio la reciprocità con Francesca.
Il tango, dopo anni e anni, lo stava mettendo davanti ai suoi limiti, lui vi si era avvicinato solo per  divertimento, terreno di caccia, e senza saperlo, alla fine si era lasciato catturare dal suo fascino e dalla lenta maturazione.
Cambiare se stesso ?
Troppo faticoso, forse era anche pronto a farlo, se avesse avuto accanto una donna d’amare…
Con questa convinzione che cullava il suo alter ego, ogni futile considerazione venne lasciata lambire nell’ inconscio, dimenticandosi, di ascoltare quella piccola parte di lui che coraggiosamente gli aveva riproposto un ricordo lontano.

 Francesca, una volta salita in macchina, si era completamente allontana dal pensiero di Marco, la guida l’aiutava a rimanere focalizzata sulla giornata che l’attendeva in ospedale. Il telefono di Francesca suonò. Guardò il display, era Elena.
Mentalmente non aveva tempo per Elena, eppure, come si fa tra amiche, a turno e, senza dirsi niente, in quel mutuo soccorso di abbracci e di ascolto, Francesca decise di rispondere.
«Hola! Buongiorno. Come va?»
«Ciao bene, sto facendo colazione. Hai sentito la novità?» le chiese Elena.

Francesca rise, le novità di Elena quasi sempre riguardavano pettegolezzi relativi alla vita privata di qualcun altro, non lo faceva con malizia, ma sembrava divenuto un modo tutto suo per rimandare le decisioni che doveva prendere sulla sua vita.
La risata di Elena era sempre stata contagiosa, al punto da essere la sua migliore arma di seduzione.
Purtroppo, neppure se ne rendeva conto, troppo ingabbiata nel suo ruolo professionale, faceva fatica a lasciarsi andare, vi riusciva solo quando inserita nella comunità della sua scuola di tango o in milonga, nell’atto di togliersi le scarpe ed infilare i tacchi, si trasformava in qualcuno che era lei ma nello stesso tempo no.

Francesca ed Elena si erano piaciute subito.

I loro sguardi si erano incrociati, perché l’una osservava i piedi dell’altra. Sia Elena che Francesca, utilizzavano il rituale dell’osservazione del piede come misura di valutazione dell’altro. Entrambe si vergognavano di questo metro di giudizio scelto, ritenendolo non solo superficiale, ma talvolta anche fuorviante, ciò nonostante rimaneva la convinzione che le scarpe e i piedi nudi, da sempre fossero fonte di importanti informazioni sulla persona presa in esame.   L’osservazione, attenta e puntigliosa, condizionava la scelta di un’amicizia divenendo più o meno intima.

Scopertesi a guardarsi rispettivamente, Francesca aveva cercato di ovviare alla situazione, allontanando lo sguardo e fermandosi ad allacciare il cinturino. Con la coda dell’occhio, aveva colto il mezzo sorriso sornione di Elena; a quel punto, la risata di Elena, squillante e sfacciata aveva tolto entrambe dall’imbarazzo.

«Ordunque che nuove mi porti?» chiese Francesca.

Elena non se lo fece ripetere due volte.

«Walter e Roberta si sono lasciati. Te lo aveva anticipato, ultimamente in Milonga arrivavano con visi tirati e non ballavano quasi mai con nessuno».

«Ma dai, non posso crederci, ma tu come lo hai saputo?» chiese con curiosità Francesca.

«Da nessuno, ho visto con i miei occhi. Sono andata a Vicenza, con Andrea e Chiara, al Gattomatto, e chi ci trovo? Walter che balla con Marialisa, tutta sera. Una milonga fuori mano, non conosciuta, sicuramente, volevano mantenere l’anonimato.»

«Ma dai! Nel mondo del tango, non sono mica così ingenui. Ti sembra poi che Marialisa sia una che si nasconda? Era inevitabile. Hai presente Roberta, troppo accondiscendete, surclassata dalla presenza di lui. – Dove la metteva lei stava, sempre in ordine e perfetta, un bel corpo, un bellissimo sorriso ma a ballare, non era certo all’altezza di lui.»

Elena dispiaciuta per Roberta, riconosceva un fondo di verità nelle parole di Francesca, ma vi leggeva anche una dose di repressa invidia per una posizione di centralità che per quanto ambigua Roberta aveva goduto in questi anni con Walter, Francesco ormai da molto tempo non le concedeva più neppure quello.

Roberta non si era resa conto dell’egoismo un po’ narcisista di Walter.

Walter in quei cinque anni di relazione, aveva cercato di gestirla nel modo più sincero che poteva. Ma lei, aveva conosciuto la moglie di Walter, Silvia, sapeva che di questa donna non ne era profondamente innamorato. Invaghito, anestetizzato dalla dolcezza e bellezza di Roberta, orgoglioso e caparbio nel non voler ammettere di aver sbagliato, questi erano gli elementi fondamentali che tenevano unita la coppia.

Elena aveva osservato in silenzio e le tensioni tra loro, non erano solo un aggiustamento nell’unione di vite professionali e private, per quanto nelle foto apparissero sereni e felici, mancava la rinuncia del proprio bene per l’altro.  Walter non si era volutamente dato il tempo di elaborare la separazione.

La scelta affettiva di Roberta ed il lavoro estenuante di questi anni, gli avevano permesso di ricontrollare la sua vita ed assorbire gradualmente il grande vuoto lasciato da Silvia, la sua compagna di vita.

Meglio un amore dove era lui a governare le emozioni che viceversa.

Elena aveva provato un’infinita tenerezza quando aprendo facebook le era comparso il post di Roberta di pochi giorni prima. Sorridente con un’amica, sottolineava la capacità e la dignità di non scendere a compromessi e forse pensava Elena, in quella frase, ella aveva anche voluto difendersi dalle malelingue e da, quei pensieri oscuranti alla sua felicità di coppia.

Probabilmente, avvertiva, senza legittimarsela, quella leggera ansia nata dall’insicurezza di una relazione basata su una forte attrazione fisica e condizioni lavorative favorevoli. Sapeva a cosa sarebbe andata incontro, ma lo aveva sempre voluto ed ora che il conto stava per presentarsi alla cassa, le assaliva la rabbia dell’impotenza.

Il gioco ne era valsa la candela?

Amarezza, amarezza di compromessi, Roberta ne aveva ingoiati diversi, per assaporare quel brivido di entrare in milonga al braccio di Walter, il posto riservato nei locali, lo sguardo invidioso delle altre donne, il sorriso compiaciuto degli uomini.

Le erano state offerte su un piatto d’argento l’opportunità di una crescita personale e artistica della quale da sola non avrebbe mai neppure varcato la soglia.

Eppure ora, tradiva non solo sé stessa, ma tutte le donne, risplendeva di luce riflessa, non si accorgeva di come l’immagine di geisha servizievole e solo apparentemente conturbante, avesse creato un fascino dal potenziale seduttivo, attraverso il quale era riuscita fino ad allora ad incantarlo e tenerlo legata a lei.

Roberta, senza accorgersene, perdeva quella indipendenza e sicurezza in sé stessa, lentamente le sue opportunità di lavoro ruotavano sempre e solo intorno a lui.

Si era adattata ad un regime alimentare rigido e ad un allenamento fisico costante per rimodellare il suo corpo in base alle aspettative di Walter.

Lo aveva accompagnato nelle occasioni ufficiali, stando un passo indietro, sia come partner nelle esibizioni, sia come insegnante nelle lezioni di tango.

Non si era risparmiata in niente, ci aveva creduto con tutta sé stessa e nonostante la grande differenza di età, aveva accolto i momenti di silenzio e di riposo che lui necessitava, proteggendolo da tutti, rinunciando silenziosamente alla sua esuberante giovinezza.

Un sassolino, tutto era iniziato casualmente, comprese la non sincera reciprocità.

Aveva detto basta, ma poi in Walter, che si era sentito rifiutato, ma non era riuscito ad ammetterlo a sé stesso, perché questo gli avrebbe fatto realizzare il fallimento, della sua relazione, qualcosa cambiò. Automaticamente la sua psiche, si era attivata.

Nel subconscio, il dolore dell’abbandono creava quella tensione emotiva che lo portava al piacere, alimentando il bisogno di Roberta.

Lui, Walter, l’uomo dal fascino silenzioso e conturbante, aveva la capacità di erotizzare la parola, quel chiacchierare intimo profondo e attento, riusciva ad alimentare l’ attesa, una lenta seduzione, giocata sull’emozioni di passionalità che così bene sapeva creare, proprio come gli accadeva quando preso dalla creatività del ballo trasmetteva le stesse vibrazioni a chi lo stava guardando mentre si esibiva.

Roberta lo sapeva bene, era sempre stata consapevole, come solo una donna innamorata sa esserlo, di non essere profondamente amata da lui.

Quello di cui non era consapevole, era di essere caduta nel tranello più antico del mondo, riflettere all’esterno un’immagine di serena gaiezza non vera di se stessa.

Le sue affermazioni di dignità erano parole prive di azione.

«Sai, non credo che Roberta ancora lo sappia» affermò Elena.

«Non mi sorprenderebbe affatto, a lasciarsi ufficialmente ne avrebbero da perderci entrambi. Lui dovrebbe ammettere, o che non era innamorato di lei o che non lo era della prima moglie. Passare da una relazione all’altra, senza neppure il tempo di un caffè, non è certo segno di maturità e neppure di un uomo di sentimento e di valore. La sua immagine pubblica ne risentirebbe troppo, dovrebbe togliersi la maschera e risultare quello che è un opportunista.»

Le parole crude di Francesca avevano innescato in Elena un certo turbamento.

«Fermati Francesca, non sono d’accordo su quello che stai dicendo di Walter, lo giudichi senza saperne niente. Inoltre stai sovrapponendo cose tue che forse riguardano la tua relazione con Francesco ma non la persona di Walter. Un uomo confuso, forse sì, ma chi è che non lo è oggi, ma soprattutto non prendi inconsiderazione quello che ha sofferto.

Forse ho visto un inizio di una parentesi tra Walter e Marialisa l’altra sera. Io ero presente, li ho osservati attentamente.

L’affiatamento di quei due mentre ballavano era palpabile, creava un’energia di comunicazione con il tango.

Diamo tutti per scontato che una relazione sia per sempre.

Ma non lo è.

È la più grande costrizione sociale che ci siamo imposti senza rispettarne la natura, non riconoscendo e legittimando un sentimento d’amore, come qualcosa che si rigenera e si rinvigorisce, perché si sceglie di amare. Probabilmente Roberta e Walter hanno vissuto un innamoramento intenso e vero, ma non amore.

Il vero problema è l’ipocrisia che accettiamo, nel momento che comprendiamo di esserci sbagliati.

Vendiamo i nostri sogni.

Davanti alla paura della solitudine e della vecchiaia mascheriamo il sentimento d’amore per qualcos’altro.

Fosse vero che Roberta riuscisse a lasciarlo per prima.

Invece rimarrà, accettando anche tutte le sue nuovi brevi o lunghe ed intense passioni, sapendo che alla fine Lassie torna sempre a casa.»

«Che palle che mi fai venire, io ho bisogno di leggerezza la quotidianità di un amore toglie la leggerezza…e sto per entrare in Ospedale.»

Francesca rallentò era in coda all’uscita della tangenziale.

«Ti lascio ora. Ne riparliamo sabato.»

«Va bene, mi raccomando tienitelo per te vedremo nelle prossime milonghe che cosa accadrà. Certo che Walter e Marialisa… ma come si saranno conosciuti?».

A conversazione chiusa, Francesca si sentì infastidita, lo stomaco le si era leggermente contratto.

Si disse che doveva smetterla di rispondere alle chiamate di prima mattina di Elena.

Le piaceva molto quando sapeva con leggerezza risultare frivola, ma la sua era una frivolezza acuta, tanti non si rendevano conto della profondità dei sentimenti espressi da Elena.

Non era un aspetto della sua personalità immediata, ma Elena nell’analisi degli altri, nel confrontarsi con se stessa e nel costringerti a riflettere toglieva ogni velo protettivo, mettendo a nudo la tua vulnerabilità.

Non si rendeva nemmeno conto di farlo, ma la comunicazione era priva di quei doppi binari che gli adulti utilizzano, sembrava quasi che la capacità di visione sulle cose fosse rimasta ferma all’età della fanciullezza, una trasparenza lineare, alla quale si sommava la profondità di una vita trascorsa.

Tutto ciò era disarmante e contemporaneamente complesso.

Vostra Rosaspina Briosa®️

MARIA CARUSO: Il tango, la cura dell’anima, nell’abbraccio si rinasce

Le parole scorrono veloci quando si parla di argomenti a noi cari, l’ esperienza si accumula e diventa occasione per riflettere.

Maria Caruso ci guida nella comprensione del Tango, un contributo significativo la sua adesione alla Maratona Tangoroyal2021 Genova: “La speranza in un abbraccio” a sostegno dell’Associazione Alzheimer Liguria.

Buon ascolto

Vostra Rosaspina Briosa ©️

Rosaspina Briosa – MARIA CARUSO – “La speranza in un abbraccio”

La speranza in un abbraccio (facebook.com)

Alzheimer Liguria – Post | Facebook

LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio II

Seconda puntata

La frenesia del risveglio fu il primo pensiero con il quale si confrontò Marco.

Il letto vuoto acconto a sé. La stanza leggermente schiarita dalla luce del mattino. I vestiti accumulati dalla sera prima, il pensiero delle carezze di Elena.

I primi 5 minuti determinano la riuscita della giornata.

Richiuse gli occhi e lentamente la sua mano percorse con leggerezza, dall’alto verso il basso e viceversa, l’intera lunghezza del braccio.

I piacevoli brividi lo cullavano, nella carezza.

Il sorriso si increspò sul suo viso, non chiedeva molto quella mattina, solo la forza di credere ancora un po’. A che cosa?   La coccola che si stava regalando venne interrotta bruscamente.

Il caffè è pronto”.

Né un buongiorno, né un bacio.

La quotidianità della vita con Francesca gli tolse il sogno del risveglio.

Si alzò e a sua volta non rispose, si diresse verso il bagno.

 La routine quotidiana, l’impegno ormai assunto nei confronti di Francesca, la donna con la quale viveva da quindici anni, non gli impediva di instaurare un’intimità profonda con altre donne.

Sentirle definire dentro di sé in carnali e non carnali, donne espressioni del suo desiderio erotico,   volgarizzava e riduceva l’arte e l’ingegno della sua seduzione, quando in verità era una vera dichiarazione d’amore verso la vita.

Ritrovò, ripensando ad Elena, la poesia che con Francesca, non sentiva più da lungo tempo.

Il riflesso del suo viso allo specchio lo bloccò, un tremore, durò una frazione di secondo, ma abbastanza da costringerlo ad appoggiare le mani al lavandino per sostenere il suo peso.

Nella sua mente rilesse l’ultimo messaggio di Elena: “Saperti sveglio accanto a lei che prendi il caffè e le sorridi, mi disturba, nella dimensione in cui gli ideali rendono coerente la mia vita”.

Le mancava, ma non poteva alla sua età pensare di abbandonare tutto per una persona appena conosciuta, per la quale, si, provava una profonda affettività; legata al piacere del sentire nella voce di Elena la reviviscenza di una sessualità assopita, di cui lui ne era l’artefice nel risveglio.

L’ aveva corteggiata con raffinata delicatezza, la stessa identica attenzione avuta per il suo braccio, in quella languida carezza mattutina.

Il loro primo incontro, un bacio al cioccolato.

Non capiva, l’incapacità intellettuale con la quale rinunciava a quella gioia terrena, che per pochi anni ancora la vita avrebbe loro concesso.

Fece scorrere l’acqua fresca e si bagnò il viso, nella testa sentì risuonare la musica di Bizet e la sua Carmen gli mormorava solleticandogli l’orecchio “ l’amour, l’amour est un oiseau rebelle”.

Elena lo avvisò “mi definisco una seduttrice di anime”.

Il sesso è solo la più piccola parte del potere di una donna, può ubriacarti intensamente anche per anni, ma la comprensione dell’accoglienza della tua anima senza giudizio, accompagnata dal calore della sessualità può far impazzire un uomo ed Elena lo stava facendo impazzire.

Francesca, gli sorrise quando entrò in cucina: “Il pane è appena tostato come piace a te, com’è andata la lezione dal maestro Francesco ieri sera?

Un’ovazione di potenza, la grandeur del Tango, il solito discorsetto, masticato e rimasticato, ma ha sempre il suo appeal sui principianti.

Rise “Comunque entra perfettamente nella parte, al punto che pensi che sia vero.

Mi è spiaciuto non esserci, ma dovevo assolutamente completare le slides per il seminario, a proposito vuoi venire con me? Starò via tutto il weekend.

Potrei, devo vedere come si conclude la trattativa con la PackEnergy, siamo ad un passo per chiudere il contratto.  A Mantova siamo già stati diverse volte.

Si passò la mano sui capelli un gesto che non sapeva di fare coscientemente, ma agli occhi di Elena assumeva il giusto significato, stava mentendo, non aveva nessuna intenzione di accompagnarla.

 Lo sapeva, eppure si perdeva nel suo sguardo dolce e delicato, il suo sognatore concreto.

Si alzò e gli posò un bacio sulla fronte e gli susurrò “Grazie, per ieri sera“.

Uscì dalla cucina in tutta fretta, doveva essere all’Ospedale entro le nove ed era già in ritardo.

Marco, sospirò, quando faceva così si sentiva pagato, era talmente umiliante, ma lei, neppure se ne rendeva conto.

Lei dominava, il suo saluto falso, ormai presa dagli impegni con l’ospedale i suoi studenti, lui diveniva l’uomo di casa funzionale negli aspetti organizzativi, fuori dal letto e dentro il letto.

Il tango li aveva uniti all’inizio della loro storia d’ amore, una passione travolgente tanto da trovare la forza per interrompere il suo primo matrimonio. Francesca, aveva abbandonato la sua Roma per trasferirsi a Milano e progettare una vita assieme.

Riprese il caffè, non capiva la distorsione angosciosa di questo vuoto interiore, eppure guardandosi attorno, non c’era niente fuori posto, tutto era in ordine. Ordine: la parola magica con la quale si tranquillizzò.

Passava ore a riorganizzare gli spazi e grazie alla sua predisposizione manuale a creare dove fosse necessario soluzioni di contenitori, in questo modo, ogni cosa aveva una sua collocazione.

Perché, si domandò, le donne non potessero adeguarsi ad un ordine prestabilito in natura, ognuna di loro aveva una fragranza unica, di una bellezza tale. Eppure non se la riconoscevano, rimanevano bloccate nei bozzoli di seta, non volavano; lui con le sue parole era in grado di gratificarle, vederle librarsi nel cielo, lo appagava del bisogno di umanità.

Le amava profondamente tutte, ognuna in modo diverso, risaltando le qualità intrinseche della loro personalità, soddisfacendo istintivamente le loro fragilità, le fiutava come un cane da tartufi, il suo naso e la sua bocca sceglievano per lui. 

Il tango nella sua mutualità ebbe all’inizio un effetto energizzante, sia su di lui che su Francesca. Ritrovarono un nuovo equilibrio, ascoltarsi attraverso la musica gli permise di riscoprirla, l’impegno settimanale, il mettersi in gioco entrambi, qualcosa si fece strada lentamente, nell’intimità dei loro pensieri si sentirono diversi.

Il cambiamento non fu evidente a tutti, ma il maestro Francesco lo intuì.

Ricordava ancora come fosse ieri, quella conversazione, avvenuta alla fine del corso di sei anni fa.

Tutto era iniziato con un messaggio su WhatsApp, il maestro gli chiedeva di fare da supporto per una nuova allieva del corso intermedio.

Scoprì che essere ballerino uomo nel tango è una grande risorsa per il maestro ed una grande opportunità per un allievo.

I primi anni, se procedi spedito nell’apprendimento, hai l’occasione di duplicare le ore di studio gratuitamente.

 Questo sodalizio, comune tra allievo e maestro che si instaura all’interno dei corsi di tango, ha poi un risvolto: quando raggiungi un livello intermedio o avanzato nel tuo studio personale, ti viene richiesta la disponibilità in ore, per inserire nei corsi donne senza partner. Può diventare in alcuni momenti pesante da gestire.

Fare da supporto per permettere l’iscrizione ad una donna senza ballerino è un vero atto di generosità soprattutto quando l’inserimento è di una principiante, pertanto un livello intermedio era interessante e piacevole.

Ancora più piacevole fu conoscere Carla.

Fu sorpreso a fine lezione sentire la mano sulla spalla e la voce di Francesco chiedergli, se avesse un momento, per fare due parole.

Due parole” non è il termine giusto da associare a Francesco.

Non lo sopportava quando faceva così, sconfinava nei ruoli, si poneva come maestro di vita ed ora era certo che avrebbero avuto una conversazione complessa.

In effetti fu così, ma la profondità di quello che si dissero quel giorno, lo vide chiaramente solo ora.

Il tuo istinto è cacciatore, lo si pensa e lo siamo profondamente convinti tutti, io per primo. Questo è quello che ci viene insegnato. Questo è quello che socialmente abbiamo costruito nei secoli. Non sono qui a dirti o a farti la morale, ma Carla lasciala stare.

Mi misi a ridere, mi sentì offeso: “Ma scusa cosa dici?   A me, ma tu sei il primo che prendi le misure a tutte le new entries.”

Primo, io sono libero e tu no. Secondo, che ne sai che sia un modo mio per capire anche la persona che ho davanti. Cerco una compagna, a nessuno piace stare solo. Il mio è un messaggio chiaro e diretto potrà non piacerti, ma non uso due pesi.”

Beh, trovo più onesto dirmi che ti interessa. E chiudiamo qui il discorso, perché se vai avanti mi offendi, ora non si può più ridere e parlare con una persona interessante per il piacere della conversazione, ma ti rendi conto almeno di quello che stai blaterando?”

Francesco, si prese il volto tra le mani, si tirò indietro i capelli, era uno sforzo tremendo contenere la rabbia che gli montava dentro, quella voce le parole di Marco, rivedeva la porta che sbatteva sua madre in cucina, il silenzio di lui bambino, non intervenne, non reagì.

Cristo, ma non lo vedi, dove pensi che ti condurrà questo tuo modo di fare, il tango vi ha unito, vi ha dato tanto sia a te che a Francesca, vuoi buttare via tutto?  È su te stesso che devi riflettere, il tuo asse lo devi centrare da solo.  Sai che ti dico, non puoi scappare sempre, in fuga la vita diventa amara.”

Rosaspina Briosa ©️

FLORENCIA y HERNAN RODRIGUEZ: Nell’ abbraccio fiorisce la speranza

La coppia di vita e di tango, di cui a breve vedrete l’intervista, sono dei grandi professionisti, Florencia Labiano e Hernan Rodriguez, vivono a Genova dal 2014, da quando sono divenuti i direttori artistici dell’Accademia di Tango.

Non hanno esitato a cambiare le loro vite per realizzare un sogno, lasciarsi trascinare, governando le opportunità che la vita ha messo loro difronte. Non è facile e richiede un grande e rispettoso riconoscimento.

 È qualcosa, che in questo ultimo periodo, tutti noi abbiamo compreso: le cose possono cambiare all’improvviso.

Il tango aiuta, nell’ascolto dell’altro ci insegna a fare della resilienza, l’opportunità di unire e creare dove vi siano le condizioni di sinergie positive.

La dinamica della comunicazione è complessa tra le persone, perché ci muoviamo a passi di danza rallentati dalle sensibilità reciproche e quando ci abbracciamo non dovremmo mai dimenticarci, delle cicatrici dell’altro e riconoscere le nostre.

Un messaggio, nasce forte da parte di Flor e Hernan, è la speranza.

 La speranza in movimento, costruttiva, un messaggio innovativo per il tango che con coraggio e chiarezza Hernan ha espresso, esattamente come ha fatto in termini diversi, ma con lo stesso obiettivo, il direttore d’orchestra Omer Meir Wellber del Teatro Massimo di Palermo.

Il teatro non deve rimanere ancorato al passato, ma dovrebbe potersi integrare con l’innovazione, per rimanere vivo e vissuto da una platea più ampia che coinvolge anche i giovani, nello stesso modo il Tango rimane vivo nel momento in cui riesce a fare ciò.

 Buona visione a tutti.

Vostra Rosaspina Briosa ©️

Tango Royal 2021Flor & Hernan Rosaspina BriosaCuore solidale

LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio I

Prima puntata

 Un sospiro e poi seguì la voce dirompente.

Giacomo, quante volte te lo devo dire che non è una zavorra che si sposta con forza. Se il tuo segnale non è chiaro, lei non lo capisce. Angela non lo devi anticipare. Dai ragazzi, ormai l’anno sta per finire, ma se non vi vedo impostati come Dio comanda sull’abbraccio e sulla camminata, si ricomincia da zero.

Il maestro Francesco diventava leggermente irascibile, quando si accorgeva dell’intento di qualche suo allievo di far conversazione con la compagna di studio, invece di ascoltare con attenzione le sue parole.

Quante volte ormai lo aveva detto, pensavano di venire a scuola come se andassero all’ happy hour sotto casa e poi magari volevano anche andare in Milonga e tornare a casa avendo ballato tutte le tande.

Interruppe la lezione.

«Fermi tutti, mettetevi in circolo, ho due parole da dirvi e spero che questa sia l’ultima volta»

Quando si avvide che tutti avevano preso postazione si mise in centro alla sala.

La scuola, non era grande, ma aveva tutto quello che serviva, un pavimento di parquet, una lunga parete a specchio ed una sbarra indispensabile per gli esercizi di tecnica.

Quando 18 anni fa, nel 2001 aveva aperto la sede, nessuno avrebbe scommesso su di lui; il maestro Francesco ne era consapevole, mentre camminava avanti e indietro.   La scuola di tango era la sua casa, le ore spese tra lezioni collettive, lezioni private, riordinare gli spazi, organizzare le attività di marketing, tenere le relazioni e aggiornarsi sull’insegnamento lo assorbivano al punto tale che gli rimaneva poco spazio per una vita privata al di fuori del tango.

Il tango per un professionista diventava un compagno di vita e chiedeva un prezzo alto da pagare, totale dedizione. La consapevolezza di ciò lo portava ora ad osservare, uno ad uno gli sguardi dei suoi allievi.

Nei volti di quelli più vecchi, vi leggeva dall’espressione dei loro visi, la noia, sapevano quello che avrebbe da lì a poco detto.

I principianti invece erano perplessi, quello era il primo richiamo collettivo a cui assistevano e probabilmente ne sarebbero rimasti turbati per il linguaggio crudo delle parole che avrebbe usato, forse fino al punto di abbandonare la scuola per iscriversi da qualche altra parte.

Francesco questo lo sapeva bene ed era il motivo per il quale si imprimeva nella memoria il volto di ognuno di loro.

Sapeva che nel momento in cui si fosse espresso con rudezza, ma fermezza, avrebbe posto il limite tra chi sarebbe stato con lui e chi sarebbe stato contro di lui.

Eppure su questo punto non ammetteva nessun tipo di compromesso, scegliendo di essere una voce fuori dal coro.

Tra la ballerina e il ballerino in mezzo c’era il tango e non il sesso quando ballavano. Urtava la sensibilità di molti quando si esprimeva in questo modo, ma la parola stessa acquisiva un suono disturbante tanto più si voleva camuffare una verità scomoda.

Quello, se lo volvevano, lo cercavano fuori dalla milonga, ma non in milonga.

Era dura farlo capire agli uomini, ma tanto lo era anche farlo comprendere alle donne. Non amava cogliere questo aspetto perché si perdevano le mille sfumature della cultura legata al tango.

Istintivamente era protettivo nei confronti dei suoi allievi e se fosse stato per lui, non avrebbero dovuto andare in Milonga prima di due anni di studio. Non erano pronti: non stavano in ronda, non erano in grado di ballare sulla musicalità del tango, ma soprattutto non avrebbero compreso il linguaggio segreto e misterioso del cabaceo e della mirada. La mancanza della maturità nel gestire questi aspetti, facevano diventare la Milonga un luogo di confusione, invece che di divertimento e di conviviale socialità.  Partecipare ad una Milonga poteva significare anche pensare di non ballare, questo metteva a dura prova sia gli uomini che le donne.

Centrarsi sul presente, sull’incontro di persone, uomini e donne, che sono lì per uno scambio anche solo il piacere dell’ascolto musicale.

Ma questa era  la realtà degli anni ‘90 quando lui ne aveva solo ventotto .

Due pratiche a settimana si tenevano nella sua scuola, da sempre, e una delle due aperta anche alle altre scuole del territorio.

In venti anni di insegnamento non aveva mai visto venire altri allievi, per carità non fosse mai che la comunità tanguera si interrogasse del perché ciò non accadesse.

Avevano lasciato che in questi ultimi anni il business commerciale prendesse troppo spazio, al punto che si era sviluppata una concorrenza agguerrita, laddove non si dava più risalto ad iniziative di inclusione per allargare la platea di possibili utenti. Tutto era lasciato all’iniziativa privata di ogni singola scuola.

Questo atteggiamento aveva influito sul modo con il quale si andava poi in Milonga. Ogni allievo era il biglietto da visita della sua scuola, ci si osservava e ci si studiava, sempre di più con malizia e sempre di meno con il piacere dell’evasione, della ricerca di spontaneo divertimento e di una scoperta personale. L’abbraccio perdeva quel significato intenso di crescita e spontanea condivisione. L’amara verità, alla quale era arrivato, lo portava a riconoscere l’incapacità dell’essere umano di comprendere i propri impulsi ed impararli a gestirli nell’ascolto dell’altro.

La Milonga non era altro in forma ridotta lo specchio della cultura e del benessere sociale del territorio nel quale si svolgeva, motivo per cui quella italiana non avrebbe mai potuto essere comparata a quella argentina.

Il percorso di conoscenza era diverso ed il tango come la creta si adattava alle mani di chi lo toccava.

Venti anni d’insegnamento gli pesavano, aveva studiato e ballato molto per costruirsi il suo stile.

 La statura e la massa corporea, non gli avevano reso facile apprendere questa disciplina.

Vent’anni, tale era stato il tempo necessario per completare un percorso di maturazione per definirsi oggi Maestro.

 Imparare ad ascoltare il corpo era un processo prima mentale e poi fisico, il riconoscimento delle diverse parti di sé e dell’altro, richiedeva un esercizio di quotidianità.

Francesco lasciava, l’amarezza fuori dal suo stato presente. L’accoglieva solo quando a porte chiuse, ascoltando Barrio de Tango di Anibal Troilo, ballava da solo.

 Il distacco era tale nell’ abbraccio musicale, da rinnovare in lui, l’innamoramento del tango nel suo messaggio di umanità, ritrovava il desiderio per l’insegnamento.

Una risata tanto amara quanto seria si levò nel suo cuore, osservando quei volti che lo fissavano.

Vedeva i suoi sogni, sogni di un ideale di gioventù, mal espressa con rabbia e frustrazione. A lui, in quegli anni ’90, il tango non aveva insegnato la pazienza della pausa, la pazienza dell’attesa che si apprende in milonga dopo milonga, nel corteggiare con lo sguardo la tanguera per la tanda perfetta.

Osservandosi, riconosceva che in gioventù aveva travestito il suo carisma di aggressività, era funzionale per nascondere ferite personali.

Il ruggito delle sue parole e la litigiosità dei suoi comportamenti avevano finito per condizionargli il suo sé, al punto di non piacersi più.

L’appellativo di “attaccabrighe” gli era stato affibbiato al punto da venire escluso, isolato, dalla comunità tanguera.

I suoi allievi, mentre lo fissavano, non leggevano tutto questo, di fronte a loro vi era un uomo ormai non più giovane, la cui esperienza era messa onestamente a loro servizio, chi resisteva ne sarebbe uscito un milonguero, perché nell’animo lui portava la fierezza del porteño.

“Rispetto ed educazione, queste sono le due parole chiave del tango.

Toglietevi dalla testa di poter ballare con sentimento ed interpretare la musica, prima di averlo praticato in modo continuativo.”

Continuò elencando i fondamentali: “Asse, abbraccio, ascolto del ballerino e rispetto della Ronda. Queste sono i quattro punti  che dovete sapere oggi per passare dal corso base al livello successivo.”

Elisa se ne stava zitta e nella sua timidezza, il discorso del maestro Francesco l’aveva decisamente destabilizzata, lei non era entrata lì per il sesso e neppure la maggior parte dei presenti.

Si sentì dare un colpo con il gomito sul braccio, si girò, Carlo aveva voluto   attirare la sua attenzione.

 Abbassò la testa e le sussurrò all’ orecchio le seguenti parole:

Ascoltalo ora viene il bello, è sempre così, è il suo cavallo di battaglia, il prelavaggio di testa prima della prima uscita in milonga dei suoi allievi principianti.”

Si sentì farsi piccina, piccina non si raccapezzava più. Ma dove era finita?

La scelta di iniziare a studiare il tango era nata una sera, distesa in camera sola, navigando su internet, le comparve la scritta della parola tango.

Guardò dei video su YouTube e come tutti ne rimase colpita dalle esibizioni dei professionisti, musicalità, movimento, eleganza e femminilità. Così si chiese se ci fossero scuole di tango sul territorio.

Rimase sorpresa quando si rese conto che vi era un mondo di opportunità, persone vere, la chance di riconquistarsi una dimensione di donna, prendersi cura di sè, esplorare attraverso il ballo se stessa e il contatto che non riusciva più ad avere.

La possibilità di crearsi nuovi amici, muoversi, prima che fosse troppo tardi, prima che la giovinezza sfiorisse del tutto, lasciandola legata ai suoi ricordi, alla sua casa e alle sue solitudini.

Forse non aveva scelto la scuola che faceva per lei?

Era da settembre che studiava e non le sembrava di aver visto grandi miglioramenti e non erano ancora mai andati una volta in Milonga ed ora questo discorso paternalistico sul sesso e tango.

Non riusciva a seguirne il nesso, stava generalizzando e dando per scontato una serie di risposte che toccavano l’intimità personale di ognuno di loro e dell’abbraccio.

O forse ero lei che a sua volta si mascherava? La parola connessione che per così tanto tempo avevo sentito dire ad alta voce durante la lezione, acquistò un significato diverso.

Si rese conto che le motivazioni personali di ogni allievo erano profondamente diverse, l’uno dall’altro.

Si chiedeva cosa avesse spinto Carlo verso il tango, la risposta che il tango gli avrebbe dato era solo per lui e sicuramente diversa dalla sua.

Una lettura unicamente sessuale era fortemente limitante.

La connessione nel respiro rendeva il tango simile all’abbraccio di due amanti, le cui braccia e gambe si fondono, il ballo attraverso il contatto, creava continuità tra una e l’altro, ma la musica e la capacità di ascolto richiedeva un passaggio di maturità giocata solo su se stessi e sull’improvvisazione.

Il ballo era quella chiave intima che attraverso l’abbraccio mette in circolazione endorfine e ossitocina, più si balla, più non se ne può fare a meno, il giovamento è immediato.

 Come applicare con consapevolezza nel ballo tanta potenzialità con tre concetti chiave: Rispetto, educazione e il tango sempre in mezzo.

Riprese ad ascoltare, ma questa volta la sua attenzione era diversa, il tango, nel suo modo, aveva trovato la sua via per cambiarla da dentro.

Guardò i suoi compagni con occhi diversi, difronte a lei vi erano persone, con emozioni, ferite personali, difficoltà e gioia per la vita.

Rosapina Briosa ©️

L’AMORE DISPERATO TRA LIRICA E TANGO: Oh mio Babbino caro e Gricel

L’amore disperato, un nome ed un aggettivo che, accoppiati, innescano in noi immagini, sensazioni e ricordi.

Chi, nella propria vita, non ha provato almeno una volta l’esperienza di un amore disperato. Ogni epoca ha i suoi riferimenti. Storie vere ricordate da testimonianze di vita: poesie, canzoni o film, tutte forme espressive di una riflessione intima, messa in condivisione per crescere e maturare nella conoscenza dell’essere umano.

Amo questa parola: “essere umano”, nel dirlo mi sento libera di non dover usare, un maschile, ma neppure un femminile.

Se immagino questo concetto di “ essere umano” come la luce con la quale mi illumino la strada della conoscenza, mi appresto a riflettere sull’interpretazione dell’amore disperato.

Due sono i testi che ho comparato, la cui bellezza è condivisibile e comprensibile sia per chi ama l’opera, ma anche per chi ama il tango:

L’aria “Oh mio Babbino” tratta da Gianni Schicchi di Giacomo Puccini e il tango “Gricel” scritta da José Maria Contursi.

Alcuni brevi cenni sono necessari per contestualizzare ed apprezzare a pieno le due proposte di confronto che ho scelto e l’attualità che, ancora oggi, conservano.

Le tematiche importanti della vita sono sempre le stesse, siamo noi attraverso la comprensione di un linguaggio emotivo, come direbbe Massimo Recalcati, a dare una risposta diversa.

Giacomo Puccini scrisse molto velocemente il Gianni Schicchi, nel 1917 a 59 anni, durante la stagione invernale nel suo Villino di caccia. È l’ultima opera della composizione del Trittico, ossia tre opere di un atto solo, in un’unica rappresentazione: Tabarro (primo atto), Suor Angelica (secondo atto) e Gianni Schicchi (terzo atto).

La storia di Gianni Schicchi è raccontata da Dante nell’Inferno, che lo colloca nel girone dei Falsari.

 Siamo nella Firenze medievale, prospera e in pieno sviluppo economico, si iniziano a distinguere i “nuovi ricchi” dalle famiglie più importanti della città, le quali si ritrovano costrette a condividere aree di potere e di influenza con i nuovi arrivati.

La Famiglia Donati, di mercanti molto ricca e molto conosciuta, si trova d’improvviso a dover gestire una situazione delicata e quanto mai complessa. E’ morto il capofamiglia, Buoso Donati ed il testamento conferma la volontà del defunto di voler lasciare tutto in mano ad un convento di frati.

I parenti disperati si rivolgono a Gianni Schicchi per la sua fama di uomo astuto e capace di risolvere qualsiasi situazione incresciosa.

Gianni Schicchi è convocato e, si presenta per l’affetto della figlia Lauretta, che è innamorata del nipote del defunto, Rinuccio.

Ben presto, Gianni Schicchi si rende conto di essere in un vero nido di vipere, viene offeso e decide di lasciare la casa. Ma le parole e la disperazione che sente nel canto della sua Lauretta lo inducono ad indugiare.

 “O mio Babbino caro,

Mi piace è bello, bello.

Vo’ andare in Porta Rossa

a comperar l’anello!

Si, si ci voglio andare!

E se l’amassi indarno

andrei sul Ponte Vecchio

ma per buttarmi in Arno

Mi struggo e mi tormento

Oh Dio, vorrei morir

Babbo pietà, pietà

Babbo, pietà, pietà”

La commozione e l’intensità del sentimento di Lauretta sono tali che Gianni Schicchi desiste e decide di aiutare la giovane coppia a realizzare con furbizia il loro sogno d’amore.

Gianni Schicchi si sostituisce allo zio morto, nel frattempo viene chiamato il notaio e dettate le volontà in base agli accordi presi precedentemente con gli eredi.

Grande è la sorpresa quando si arriva a designare il podere e la proprietà più fruttifera al suo più caro amico, e non ai nipoti. Tra beffa ed inganno Gianni Schicchi ne esce più ricco di prima. Tutta l’opera è giocata su melodie veloci e orecchiabili, per tenere il ritmo serrato della storia.

L’unica aria intensamente drammatica è quella cantata da Lauretta nella supplica che rivolge al padre, il dolore sarebbe tale da considerare il suicidio, un amore disperatamente intenso e legato ad una grande passione.

È lo stesso sentimento che viene espresso nel testo di Josè Maria Contursi verso la donna che ama appassionatamente ma non può avere, Gricel.

Quest’ultima però è una donna vera, quello che il testo descrive con parole poetiche ed una lirica musicalmente struggente, è la storia reale di un uomo e di una donna che hanno segnato la storia del Tango.

Josè Maria Contursi, figlio di un grande drammaturgo e compositore Pascual Contursi, era partito bene avendo ereditato le capacità artistiche del padre e ne fa presto buon uso raggiungendo una fama tale da essere conosciuto come “Duque de la Noche Portena”.

Giovane, alto, moro, modi gentili e parlantina poetica, aveva in mano un poker d’assi.

L’incontro con Gricel, era predestinato, la fatalità di un amicizia in comune porta una giovanissima Gricel di soli 14 anni a sperimentare l’emozione di un colpo di fulmine.

L’incontro avvenne presso la trasmissione radio Stentor, dove delle amiche di Gricel,  Gory e Nelly Omar, hanno un’ audizione e lei le accompagna.

L’incontro è breve, ma tanto era bastato, perché si creasse quell’ alchimia tale che niente poteva più essere come prima.

Josè Maria Contursi, Katunga per gli amici, è già sposato e padre di una bambina a soli 23 anni.

Da questo loro primo incontro, trascorsero diversi anni prima che si rivedessero, sarà il destino a far incrociare nuovamente le loro strade.

La necessità di riprendersi da una lunga malattia porta Maria Josè Contursi a trascorrere un periodo di convalescenza in montagna, la scelta ricade proprio sul paesino dove viveva Susana Gricel Viganò.

L’amore ha un percorso tutto suo di farsi strada negli animi umani e stolto è lo sguardo dell’uomo se si sofferma a giudicare.

Maria Josè abbandona Gricel ritorna a casa da sua moglie e suo figlio, ma il pensiero di lei non lo abbandonerà mai.

La sofferenza di questo amore disperato, sarà la vena pulsante di tutto il suo repertorio artistico.

Le parole anche qui, come per “Oh mio babbino”, perdono d’ intensità se le leggiamo lontani dalla musica.

Il canto lirico, come il tango canción è una fusione di poesia in musica.

No debí pensar jamás
en lograr tu corazón
y sin embargo te busqué
hasta que un día te encontré
y con mis besos te aturdí
sin importarme que eras buena…
Tu ilusión fue de cristal,
se rompió cuando partí
pues nunca, nunca más volví…
¡Qué amarga fue tu pena!

Non ho mai dovuto pensare a conquistare il tuo cuore, tuttavia ti ho cercata fino al giorno che ti ho trovata e con i miei baci, ti ho stordita senza che mi importasse della tua bontà.. la tua illusione fu di cristallo, si ruppe quando partì poiché mai, mai più tornai… Quanto amaro fu il tuo dolore.”

Poche volte ho letto parole cosi coerenti e oneste nel riconoscere la responsabilità delle conseguenze di quando si ama con l’anima.

Buon ascolto di entrambe le arie.

Nella diversità che noterete, vi è una completezza che porta ad una comprensione profonda di noi stessi.

Gricel – letra di Maria Jósé Conturi, musica di Mariano Mores – canta Roberto Goyeneche – orchestra tipica Atilio Stampone
Gricel Anibal Troilo, Francisco Fiorentino – traduzione Carla De Benedictis
Puccini, Gianni Schicchi – Oh mio Babbino caro, Maria Callas – direttore d’orchestra Tullio Serafin
Puccini, Gianni Schicchi -Oh mio Babbino, Monteserrat Caballé – concerto Monaco 1990
Documento Intervista

RITRATTO AL FEMMINILE LE SFUMATURE INTENSE DI ROMINA GODOY: il rosso passione

Romina Godoy by endlessChic

Vivere la vita con convinzione e speranza nel cuore, questo è il messaggio forte di Romina Godoy.

La speranza in un abbraccio, tale è perché dato spontaneamente, un dono prezioso.

Ritrovare in noi questo benessere interiore, per poterlo condividere con altri, è possibile nella dimensione in cui riusciamo ad ascoltarci.

Il tango nel suo abbraccio ci manca, manca a noi tutti.

Siamo disposti a valorizzare la bellezza dell’Altro solo quando riconosciamo prima la nostra.

Una verità scomoda, un limite umano, come si superano i nostri limiti?

Guardandoli senza più temerli, riacquistando fiducia nel prossimo e comprenderci con un sorriso.

Romina di sorrisi in questa intervista ce ne ha regalati tanti.

Buona visione e soprattutto buon sorriso a voi!

Vostra Rosaspina.

Rosaspina Briosa – Un tango con il tenore – © Tutti i diritti riservati

Rosaspina Briosa intervista Romina GodoyLa speranza in un abbraccio

Romina Godoy & Leandro Palou – WRT 2012

Cuore Solidale

Romina Godoy

Alzheimer Liguria

La speranza in un abbraccio Evento solidale Genova

La speranza in un abbraccio

LuTangoPhoto Fotografo ufficiale della maratona Royal Tango 2021