LA LEZIONE DI TANGO “Feuilleton de Rosaspina” – Episodio I

Prima puntata

 Un sospiro e poi seguì la voce dirompente.

Giacomo, quante volte te lo devo dire che non è una zavorra che si sposta con forza. Se il tuo segnale non è chiaro, lei non lo capisce. Angela non lo devi anticipare. Dai ragazzi, ormai l’anno sta per finire, ma se non vi vedo impostati come Dio comanda sull’abbraccio e sulla camminata, si ricomincia da zero.

Il maestro Francesco diventava leggermente irascibile, quando si accorgeva dell’intento di qualche suo allievo di far conversazione con la compagna di studio, invece di ascoltare con attenzione le sue parole.

Quante volte ormai lo aveva detto, pensavano di venire a scuola come se andassero all’ happy hour sotto casa e poi magari volevano anche andare in Milonga e tornare a casa avendo ballato tutte le tande.

Interruppe la lezione.

«Fermi tutti, mettetevi in circolo, ho due parole da dirvi e spero che questa sia l’ultima volta»

Quando si avvide che tutti avevano preso postazione si mise in centro alla sala.

La scuola, non era grande, ma aveva tutto quello che serviva, un pavimento di parquet, una lunga parete a specchio ed una sbarra indispensabile per gli esercizi di tecnica.

Quando 18 anni fa, nel 2001 aveva aperto la sede, nessuno avrebbe scommesso su di lui; il maestro Francesco ne era consapevole, mentre camminava avanti e indietro.   La scuola di tango era la sua casa, le ore spese tra lezioni collettive, lezioni private, riordinare gli spazi, organizzare le attività di marketing, tenere le relazioni e aggiornarsi sull’insegnamento lo assorbivano al punto tale che gli rimaneva poco spazio per una vita privata al di fuori del tango.

Il tango per un professionista diventava un compagno di vita e chiedeva un prezzo alto da pagare, totale dedizione. La consapevolezza di ciò lo portava ora ad osservare, uno ad uno gli sguardi dei suoi allievi.

Nei volti di quelli più vecchi, vi leggeva dall’espressione dei loro visi, la noia, sapevano quello che avrebbe da lì a poco detto.

I principianti invece erano perplessi, quello era il primo richiamo collettivo a cui assistevano e probabilmente ne sarebbero rimasti turbati per il linguaggio crudo delle parole che avrebbe usato, forse fino al punto di abbandonare la scuola per iscriversi da qualche altra parte.

Francesco questo lo sapeva bene ed era il motivo per il quale si imprimeva nella memoria il volto di ognuno di loro.

Sapeva che nel momento in cui si fosse espresso con rudezza, ma fermezza, avrebbe posto il limite tra chi sarebbe stato con lui e chi sarebbe stato contro di lui.

Eppure su questo punto non ammetteva nessun tipo di compromesso, scegliendo di essere una voce fuori dal coro.

Tra la ballerina e il ballerino in mezzo c’era il tango e non il sesso quando ballavano. Urtava la sensibilità di molti quando si esprimeva in questo modo, ma la parola stessa acquisiva un suono disturbante tanto più si voleva camuffare una verità scomoda.

Quello, se lo volvevano, lo cercavano fuori dalla milonga, ma non in milonga.

Era dura farlo capire agli uomini, ma tanto lo era anche farlo comprendere alle donne. Non amava cogliere questo aspetto perché si perdevano le mille sfumature della cultura legata al tango.

Istintivamente era protettivo nei confronti dei suoi allievi e se fosse stato per lui, non avrebbero dovuto andare in Milonga prima di due anni di studio. Non erano pronti: non stavano in ronda, non erano in grado di ballare sulla musicalità del tango, ma soprattutto non avrebbero compreso il linguaggio segreto e misterioso del cabaceo e della mirada. La mancanza della maturità nel gestire questi aspetti, facevano diventare la Milonga un luogo di confusione, invece che di divertimento e di conviviale socialità.  Partecipare ad una Milonga poteva significare anche pensare di non ballare, questo metteva a dura prova sia gli uomini che le donne.

Centrarsi sul presente, sull’incontro di persone, uomini e donne, che sono lì per uno scambio anche solo il piacere dell’ascolto musicale.

Ma questa era  la realtà degli anni ‘90 quando lui ne aveva solo ventotto .

Due pratiche a settimana si tenevano nella sua scuola, da sempre, e una delle due aperta anche alle altre scuole del territorio.

In venti anni di insegnamento non aveva mai visto venire altri allievi, per carità non fosse mai che la comunità tanguera si interrogasse del perché ciò non accadesse.

Avevano lasciato che in questi ultimi anni il business commerciale prendesse troppo spazio, al punto che si era sviluppata una concorrenza agguerrita, laddove non si dava più risalto ad iniziative di inclusione per allargare la platea di possibili utenti. Tutto era lasciato all’iniziativa privata di ogni singola scuola.

Questo atteggiamento aveva influito sul modo con il quale si andava poi in Milonga. Ogni allievo era il biglietto da visita della sua scuola, ci si osservava e ci si studiava, sempre di più con malizia e sempre di meno con il piacere dell’evasione, della ricerca di spontaneo divertimento e di una scoperta personale. L’abbraccio perdeva quel significato intenso di crescita e spontanea condivisione. L’amara verità, alla quale era arrivato, lo portava a riconoscere l’incapacità dell’essere umano di comprendere i propri impulsi ed impararli a gestirli nell’ascolto dell’altro.

La Milonga non era altro in forma ridotta lo specchio della cultura e del benessere sociale del territorio nel quale si svolgeva, motivo per cui quella italiana non avrebbe mai potuto essere comparata a quella argentina.

Il percorso di conoscenza era diverso ed il tango come la creta si adattava alle mani di chi lo toccava.

Venti anni d’insegnamento gli pesavano, aveva studiato e ballato molto per costruirsi il suo stile.

 La statura e la massa corporea, non gli avevano reso facile apprendere questa disciplina.

Vent’anni, tale era stato il tempo necessario per completare un percorso di maturazione per definirsi oggi Maestro.

 Imparare ad ascoltare il corpo era un processo prima mentale e poi fisico, il riconoscimento delle diverse parti di sé e dell’altro, richiedeva un esercizio di quotidianità.

Francesco lasciava, l’amarezza fuori dal suo stato presente. L’accoglieva solo quando a porte chiuse, ascoltando Barrio de Tango di Anibal Troilo, ballava da solo.

 Il distacco era tale nell’ abbraccio musicale, da rinnovare in lui, l’innamoramento del tango nel suo messaggio di umanità, ritrovava il desiderio per l’insegnamento.

Una risata tanto amara quanto seria si levò nel suo cuore, osservando quei volti che lo fissavano.

Vedeva i suoi sogni, sogni di un ideale di gioventù, mal espressa con rabbia e frustrazione. A lui, in quegli anni ’90, il tango non aveva insegnato la pazienza della pausa, la pazienza dell’attesa che si apprende in milonga dopo milonga, nel corteggiare con lo sguardo la tanguera per la tanda perfetta.

Osservandosi, riconosceva che in gioventù aveva travestito il suo carisma di aggressività, era funzionale per nascondere ferite personali.

Il ruggito delle sue parole e la litigiosità dei suoi comportamenti avevano finito per condizionargli il suo sé, al punto di non piacersi più.

L’appellativo di “attaccabrighe” gli era stato affibbiato al punto da venire escluso, isolato, dalla comunità tanguera.

I suoi allievi, mentre lo fissavano, non leggevano tutto questo, di fronte a loro vi era un uomo ormai non più giovane, la cui esperienza era messa onestamente a loro servizio, chi resisteva ne sarebbe uscito un milonguero, perché nell’animo lui portava la fierezza del porteño.

“Rispetto ed educazione, queste sono le due parole chiave del tango.

Toglietevi dalla testa di poter ballare con sentimento ed interpretare la musica, prima di averlo praticato in modo continuativo.”

Continuò elencando i fondamentali: “Asse, abbraccio, ascolto del ballerino e rispetto della Ronda. Queste sono i quattro punti  che dovete sapere oggi per passare dal corso base al livello successivo.”

Elisa se ne stava zitta e nella sua timidezza, il discorso del maestro Francesco l’aveva decisamente destabilizzata, lei non era entrata lì per il sesso e neppure la maggior parte dei presenti.

Si sentì dare un colpo con il gomito sul braccio, si girò, Carlo aveva voluto   attirare la sua attenzione.

 Abbassò la testa e le sussurrò all’ orecchio le seguenti parole:

Ascoltalo ora viene il bello, è sempre così, è il suo cavallo di battaglia, il prelavaggio di testa prima della prima uscita in milonga dei suoi allievi principianti.”

Si sentì farsi piccina, piccina non si raccapezzava più. Ma dove era finita?

La scelta di iniziare a studiare il tango era nata una sera, distesa in camera sola, navigando su internet, le comparve la scritta della parola tango.

Guardò dei video su YouTube e come tutti ne rimase colpita dalle esibizioni dei professionisti, musicalità, movimento, eleganza e femminilità. Così si chiese se ci fossero scuole di tango sul territorio.

Rimase sorpresa quando si rese conto che vi era un mondo di opportunità, persone vere, la chance di riconquistarsi una dimensione di donna, prendersi cura di sè, esplorare attraverso il ballo se stessa e il contatto che non riusciva più ad avere.

La possibilità di crearsi nuovi amici, muoversi, prima che fosse troppo tardi, prima che la giovinezza sfiorisse del tutto, lasciandola legata ai suoi ricordi, alla sua casa e alle sue solitudini.

Forse non aveva scelto la scuola che faceva per lei?

Era da settembre che studiava e non le sembrava di aver visto grandi miglioramenti e non erano ancora mai andati una volta in Milonga ed ora questo discorso paternalistico sul sesso e tango.

Non riusciva a seguirne il nesso, stava generalizzando e dando per scontato una serie di risposte che toccavano l’intimità personale di ognuno di loro e dell’abbraccio.

O forse ero lei che a sua volta si mascherava? La parola connessione che per così tanto tempo avevo sentito dire ad alta voce durante la lezione, acquistò un significato diverso.

Si rese conto che le motivazioni personali di ogni allievo erano profondamente diverse, l’uno dall’altro.

Si chiedeva cosa avesse spinto Carlo verso il tango, la risposta che il tango gli avrebbe dato era solo per lui e sicuramente diversa dalla sua.

Una lettura unicamente sessuale era fortemente limitante.

La connessione nel respiro rendeva il tango simile all’abbraccio di due amanti, le cui braccia e gambe si fondono, il ballo attraverso il contatto, creava continuità tra una e l’altro, ma la musica e la capacità di ascolto richiedeva un passaggio di maturità giocata solo su se stessi e sull’improvvisazione.

Il ballo era quella chiave intima che attraverso l’abbraccio mette in circolazione endorfine e ossitocina, più si balla, più non se ne può fare a meno, il giovamento è immediato.

 Come applicare con consapevolezza nel ballo tanta potenzialità con tre concetti chiave: Rispetto, educazione e il tango sempre in mezzo.

Riprese ad ascoltare, ma questa volta la sua attenzione era diversa, il tango, nel suo modo, aveva trovato la sua via per cambiarla da dentro.

Guardò i suoi compagni con occhi diversi, difronte a lei vi erano persone, con emozioni, ferite personali, difficoltà e gioia per la vita.

Rosapina Briosa ©️

Lascia un commento

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...